Per la Cassazione è possibile sequestrare la prima casa al debitore per reati tributari (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 4 agosto 2021, n. 30342).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente – 

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere –

Dott. GAI Emanuela – Rel. Consigliere –

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Italo, nato a (OMISSIS) il 10/02/19xx;

avverso l’ordinanza pronunciata in data 02/03/2021 dal Tribunale del riesame di Trento;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Emanuela Gai;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Valentina Manuali, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale del riesame di Trento ha accolto l’appello cautelare, ex art. 322-bis cod.proc.pen., del Procuratore della Repubblica di Trento avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del medesimo Tribunale che aveva respinto la richiesta di sequestro preventivo del profitto del reato di cui all’art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, nei confronti di (OMISSIS) Italo e, per l’effetto, ha disposto il sequestro preventivo dei beni immobili, meglio indicati nel dispositivo dell’ordinanza, limitatamente alla somma di €. 180.270,50, oggetto di fraudolento trasferimento, nonché in caso di incapienza dei beni per il corrispondente valore.

Il Tribunale cautelare, premesso che si procede nei confronti di (OMISSIS) Italo per il reato di cui all’art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, quale socio unico amministratore della (OMISSIS) Italo e & s.n.c., riteneva sussistente il fumus commissi delicti in relazione alla alienazione simulata di due immobili di proprietà di (OMISSIS) Italo che venivano ceduti in favore della figlia (OMISSIS) Emanuela, in data 06/07/2017, che rientrava in possesso del prezzo della cessione, previo mantenimento dell’usufrutto sui beni, nonché dell’alienazione, in data 10/03/2017, di altro terreno di sua proprietà con incasso del prezzo di vendita, eseguendo successivi atti fraudolenti sulla somma introitata che veniva bonificata alla di lui moglie, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte e sanzione per un ammontare pari a €. 180.270,50 e per l’effetto, ai sensi dell’art. 321 comma 2 cod.proc.pen. disponeva il sequestro preventivo a fini di confisca dei beni oggetto di fraudolento trasferimento in favore della figlia, mediante trascrizione fino alla concorrenza di €. 180.270,50, in caso in incapienza di beni equivalenti.

2. Propone ricorso per cassazione (OMISSIS) Italo, a mezzo del difensore di fiducia, e chiede l’annullamento dell’ordinanza per i seguenti motivi enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod.proc.pen.:

2.1. Con il primo motivo deduce la mancanza di motivazione, motivazione apparente e violazione degli artt. 292 e 309 cod.proc.pen.

Secondo il ricorrente il Tribunale avrebbe omesso di considerare quanto dedotto dalla difesa nella memoria depositata in data 24 febbraio 2021 nella quale si argomentava come l’operazione posta in essere dal ricorrente fosse una normale compravendita al prezzo giusto e regolarmente pagato e che oggetto di sequestro era l’immobile prima casa del ricorrente che, a mente dell’art. 76, d.P.R. n. 602/1973 come sostituito dall’art. 52, comma 1, lett. g) del D.L. 69/2013, conv. con modificazioni nella legge 98/2013, non sarebbe sequestrabile a fini di confisca nei confronti del soggetto indagato per il delitto di cui all’art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74.

2.2. Con il secondo motivo deduce la mancanza di motivazione, motivazione apparente e violazione degli artt. 292 e 309 cod.proc.pen.

Secondo il ricorrente il Tribunale avrebbe omesso di considerare quanto dedotto dalla difesa nella memoria circa la ricorrenza del c.d. beneficio di escussione del socio illimitatamente responsabile in presenza di un patrimonio della società tutt’altro che risibile.

Nel caso in esame il debitore era la società e l’operazione di vendita con trasferimento alla moglie del ricavato trovava giustificazione nella necessità di pagare in primo luogo i debiti personali e successivamente di pagare i dipendenti della società, creditori privilegiati con grado di privilegio precedente rispetto al fisco.

Anche su questo punto il tribunale avrebbe omesso qualsiasi valutazione.

2.3. Con il terzo motivo deduce l’omessa motivazione sul periculum in mora.

3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso non mostra ragioni di fondatezza.

Va preliminarmente osservato che, in tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen. consente il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge.

Secondo le Sezioni Unite (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; ), nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, gli “errores in iudicando” o “in procedendo“, ma anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093).

Non può, invece, essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di cui alla lett. e) dell’art. 606, stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).

5. Ciò premesso, non è fondata la censura che si appunta sull’omessa motivazione circa il fumus del reato di cui all’art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74.

L’ordinanza impugnata contiene una congrua e sufficiente motivazione, situazione che esclude il vizio denunciato di violazione di legge per motivazione assente o apparente, sulla natura simulata e fraudolenta degli atti di alienazione del patrimonio posti in essere, in un lasso di tempo da marzo a luglio 2017, volti a sottrarre i beni alla garanzia del pagamento delle imposte e a rendere inefficace la procedura di esecuzione.

Ferma la ricostruzione in punto di fatto operata dal tribunale, le due operazioni di dismissione del patrimonio personale del (OMISSIS), complessivamente considerate nella loro interezza, sono state correttamente ritenute “atto fraudolento”.

A tale riguardo per il concetto di “alienazione simulata” è sufficiente attingere alle comuni definizioni civilistiche, preesistenti alla norma in questione, secondo le quali la simulazione è finalizzata a creare una situazione giuridica apparente diversa da quella reale.

Sicché, l’alienazione è simulata quando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione assoluta) o in parte (simulazione relativa) alla effettiva volontà dei contraenti.

Ove il trasferimento sia effettivo la relativa condotta non può essere considerata alla stregua di un atto simulato, ma deve essere valutata esclusivamente quale possibile atto fraudolento.

In conformità alla “ratio” della norma, per “atto fraudolento” deve intendersi qualsiasi atto che, non diversamente dalla alienazione simulata, sia idoneo a rappresentare ai terzi una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o comunque rendendo più difficoltosa l’azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell’Erario.

Si è così affermato che integra la condotta, rilevante come sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte dovute da società, la messa in atto, da parte degli amministratori, di più operazioni di cessioni di aziende e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire ai nuovi soggetti societari immobili, dal momento che nella fattispecie criminosa indicata rientra qualsiasi stratagemma artificioso del contribuente tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario (Sez. 3, n. 19595 del 09/02/2011, Vichi, Rv. 250471), la costituzione di un fondo patrimoniale (Sez. 3, n. 5824 del 18/12/2007, Soldera, Rv. 238821; si veda però Sez. 3, n. 9154 del 2015, infra), la vendita simulata mediante stipula di un apparente contratto di “sale and lease back” (Sez. 3, n. 14720 del 06/03/2008, Ghiglia, Rv. 239972), la costituzione fittizia di servitù, di diritti reali di godimento, la concessione di locazione, la ricognizione di debito, insomma ogni atto di disposizione del patrimonio che abbia la sua causa nel pregiudizio alle ragioni creditorie dell’Erario.

Tale è la situazione nel caso in esame per come descritta dal tribunale che ha ritenuto la natura fraudolenta degli atti di dismissione del patrimonio immobiliare con ritorno del corrispettivo nelle mani dell’acquirente (vendita alla figlia) e con versamento su conti di terzi (moglie) del prezzo ottenuto dalla vendita del terreno con evidenti riflessi sulla garanzia patrimoniale e sulla inefficacia della procedura esecutiva.

6. La censura di violazione dell’art. 76, d.P.R. n. 602 del 1973, che secondo la prospettazione propugnata dal ricorrente impedisce la confisca (e prima il sequestro) della c.d. prima casa del debitore, non è fondata.

Ritiene il Collegio maggiormente condivisibile, pur in presenza di una isolata pronuncia di segno contrario anche citata dal ricorrente, l’orientamento giurisprudenziale, secondo cui in tema di reati tributari, il limite alla espropriazione immobiliare previsto dall’art. 76, comma 1, lett. a), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lett. g), del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98), opera solo nei confronti dell’Erario, per debiti tributari, e non di altre categorie di creditori, riguarda l’unico immobile di proprietà, e non la “prima casa” del debitore, e non costituisce un limite all’adozione né della confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, né del sequestro preventivo ad essa finalizzato (Sez. 3, n. 8995 del 07/11/2019, Piscopo, Rv. 278275 – 01, successivamente ribadito da Sez. 3, n. 5608 del 20/10/2020, Telesca non mass.).

Premesso che, come osservato dalla citata pronuncia Piscopo, dalla formulazione letterale della norma emerge, in primo luogo, che il limite posto dal legislatore all’espropriazione immobiliare non riguarda la “prima casa”, ma “l’unico immobile di proprietà del debitore”.

Si tratta di un concetto evidentemente diverso da quello di “prima casa”, perché ha a che vedere con la consistenza complessiva del patrimonio del debitore e non semplicemente con la qualificazione del singolo immobile oggetto di pignoramento.

Ne consegue che, per invocare l’applicazione della disposizione in tema di espropriazione immobiliare, il debitore non può limitarsi a prospettare che l’immobile pignorato è la sua “prima casa”, perché una tale prospettazione non esclude di per sé che lo stesso debitore sia proprietario di altri immobili.

E già sotto questo profilo la censura non coglie nel segno. In ogni caso, prosegue la citata sentenza, “la disposizione in questione non fissa un principio generale di impignorabilità, perché si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco per debiti tributari e non a quelle promosse da altre categorie di creditori per debiti di altro tipo.

Né, a ben vedere, la disposizione in questione può trovare applicazione in relazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, perché l’oggetto della confisca è il profitto del reato e non il debito verso il fisco”.

Anche la successiva pronuncia n. 5608/2021, Telesca, si è posta sulla stessa linea giurisprudenziale ribadendo che la disposizione di cui all’art. 76, comma 1, lett. a), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lett. g), del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98) trova applicazione esclusivamente nel processo tributario e pertanto impedisce il sequestro preventivo dell’abitazione dell’indagato solo in tale ristretto ambito (cfr. Sez. 5, n. 48616 del 20/09/2018, M., Rv. 274145).

Si è chiarito nella citata pronuncia che il principio dell’inapplicabilità del limite dell’espropriazione nel procedimento penale per reati tributari, trova fondamento anche in ragione del fatto che, a norma dell’art. 2740 cod. civ., il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, e che le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge. Che, in specie, non sussiste.

A tale riguardo, osserva il Collegio, al fine di dare continuità dell’orientamento sopra richiamato, che nel caso di reato di cui all’art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, l’immobile oggetto di trasferimento fraudolento rileva di per sé quale oggetto materiale della condotta e costituisce il profitto del reato da confiscare ai sensi dell’art. 12 bis cit. e prima sequestrabile.

Va rammentato che il profitto del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte coincide con il patrimonio sottratto alla garanzia dell’esazione e non già con il debito tributario evaso (Sez. 3, n. 4097 del 19/1/2016, Tomasi Canovo, Rv. 265843) e consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase costituenti oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma (Sez. 3, n. 10214 del 22/1/2015, Chiarolanza, Rv. 262754).

Sul punto, anche, Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv. 251077, ha chiarito che l’oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte non è il diritto di credito del fisco, bensì la garanzia generica data dai beni dell’obbligato, potendo quindi il reato configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori.

Tali affermazioni sono coerenti con la struttura di reato di pericolo della fattispecie di cui all’art. 11 d. Igs. n. 74 del 2000, in cui il profitto del reato va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all’Erario viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, poiché già la sottrazione in sé integra la condotta di pericolo del bene protetto costituito dall’interesse fiscale dello Stato (cfr. Sez. 3, n. 33184 del 12/6/2013, Abrusci, Rv. 256850).

A tale riguardo osserva, incidentalmente, il Collegio che il provvedimento impugnato individua erroneamente il profitto del reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, confiscabile anche nella forma per equivalente, con il risparmio di spesa derivante dall’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto e per l’effetto limitata il sequestro degli immobili, oggetto materiale del reato e profitto della sottrazione al fisco, all’ammontare di €. 180.270,50, pari al debito fiscale.

In conclusione, si deve ribadire che il limite alla pignorabilità fissato dal comma 1, lettera a), dell’art. 76 del d.P.R. n. 602 del 1973 – nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lettera g), del dl. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013: si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco e non a quelle promosse da altre categorie di creditori; non riguarda la “prima casa”, ma “l’unico immobile di proprietà del debitore; non trova comunque applicazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, né al sequestro preventivo ad essa preordinato.

Consegue l’infondatezza del motivo di ricorso.

7. Non coglie nel segno l’ulteriore profilo di censura di violazione del c.d. beneficio di excussionis ex art. 2268 cod. civ.

Il reato commesso dall’indagato consiste nel compimento di atti simulati o fraudolenti commessi sui suoi beni per rendere inefficacie la procedura dì riscossione delle imposte e il sequestro colpisce i beni suddetti, profitto del reato, in funzione della confisca obbligatoria, essendo del tutto estraneo all’ambito applicativo della confisca la norma civilistica che prevede il beneficio di excussionis del socio illimitatamente responsabile richiesto di un pagamento del debito sociale.

8. Infine, escluso ogni automatismo tra bene oggetto di sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria e provvedimento di sequestro che deve essere sorretto da motivazione sul periculum in mora anche in caso di confisca obbligatoria, ad esclusione di quella di cui all’art. 240 comma 2 cod.pen. (vedi inf. provv. 9/2021), il provvedimento impugnato, pur succintamente, ha argomentato la necessità della misura e ciò in quando la libera disponibilità del bene aggravava le conseguenze del reato con pregiudizio dell’efficacia della procedura esecutiva.

9. Il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

10. La Corte manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.

Così deciso il 16/06/2021.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.