Per la Cassazione utilizzare animali vivi come richiamo di caccia può costare il carcere (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 13 aprile 2023, n. 15453).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALTERIO Donatella – Presidente

Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 28/6/2022 della Corte d’appello di Brescia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso, trattato ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giovanni Liberati;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Giordano Luigi, che ha concluso chiedendo di annullare la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminandolo, rigettando nel resto il ricorso;

lette le conclusioni presentate per la parte civile, Lega per l’Abolizione della Caccia, dall’avv. (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto del ricorso con conseguente conferma della sentenza gravata in ogni sua parte, e ulteriore condanna del prevenuto alle spese di rappresentanza e difesa della LAC anche per il terzo grado di giudizio;

lette le conclusioni per il ricorrente dell’avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28 giugno 2022 la Corte d’appello di Brescia ha respinto l’impugnazione proposta da (OMISSIS) nei confronti della sentenza del 7 ottobre 2021 del Tribunale di Brescia, con la quale lo stesso, a seguito di giudizio svoltosi con il rito ordinario, era stato condannato alla pena di sette mesi di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, Lega per l’Abolizione della Caccia, in relazione ai reati di cui alla n. 157 del 1992, articolo 2 e articolo 30, lettera b) e h), (ascrittogli per aver catturato e/o abbattuto vari esemplari di specie protette, capo A della rubrica) e articolo 544 ter c.p., comma 3, (per avere, per crudeltà e senza necessità, catturato e detenuto in piccole gabbie un esemplare di peppola e quattro esemplari di fringuelli, utilizzandoli come richiami, sottoponendoli a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche, rendendoli incapaci al volo; capo B della rubrica), con la sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento del risarcimento del danno entro 30 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.

2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo ha lamentato l’errata applicazione di disposizioni di legge penale a causa della qualificazione delle condotte di cui al capo b) ai sensi dell’articolo 544 ter p. anziché ai sensi dell’articolo 727 c.p..

Ha esposto che i cinque uccelli custoditi in gabbiette nei pressi del capanno da caccia utilizzato dal ricorrente, che non erano in condizione di volare, erano destinati a essere utilizzati come richiami vivi, ma tale sola circostanza, anche se idonea a consentire di ritenere configurabile il reato di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, di cui all’articolo 727 c.p., comma 2, non configurava di per sé il più grave reato di maltrattamento di animali di cui all’articolo 544 ter c.p., in quanto tale condotta non costituiva sottoposizione degli animali a sevizie insopportabili per le loro caratteristiche etologiche.

Benché’, infatti, la detenzione in gabbia a fini di richiamo di una peppola e quattro fringuelli, entrambi fringillidi appartenenti all’ordine dei passeriformi, sia pratica vietata, ciò, tuttavia, non costituiva una forma di custodia insopportabile per le caratteristiche etologiche dei volatili, tale da integrare il delitto di maltrattamento di animali, anche in considerazione del fatto che per altre specie appartenenti all’ordine dei passeriformi, come i fringillidi, era consentita la detenzione in gabbia a fini di richiamo (tra gli altri la cesena e il merlo), cosicché la detenzione in gabbia a fini di richiamo, pur se non lecita, non poteva essere qualificata come condotta maltrattante, proprio in considerazione del fatto che essa e’ consentita per altre specie appartenenti al medesimo ordine di volatili, non essendo, tra l’altro, stato accertato che i volatili detenuti dal ricorrente fossero stati sottoposti a condotte maltrattanti o costretti a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche.

Anche l’elemento soggettivo delle due ipotesi di reato é differente, occorrendo il dolo generico (senza necessità) o specifico (con crudeltà) per la configurabilità del delitto di maltrattamento di animali, mentre per la contravvenzione di cui all’articolo 727 c.p., comma 2, é richiesta la rappresentazione e volizione in ordine a tutte le componenti della fattispecie, essendo sufficiente a tal fine anche la sola colpa, e nel caso in esame anche l’elemento soggettivo dell’agente risultava più coerente con la contravvenzione che con il delitto, tenendo anche conto del fatto che una condotta maltrattante sarebbe stata incompatibile con l’utilizzo dei volatili come richiami.

2.2. Con il secondo motivo ha lamentato una ulteriore violazione di disposizioni di legge penale e un vizio della motivazione, a proposito dell’aumento di pena a titolo di continuazione o, comunque, di concorso formale per l’ipotesi di cui alla n. 157 del 1992, articolo 30, lettera h), di cui al capo a) della rubrica, in quanto, considerato più grave il delitto di cui al capo b), la pena era stata aumentata di due mesi di reclusione per la continuazione con la contravvenzione di cui alla L. n. 157 del 1992, articolo 30, lettera b) citata e di un mese di reclusione per quella di cui alla lettera h) della medesima disposizione, senza alcuna giustificazione dell’entità di tale aumento, tra l’altro disposto in misura illegale quanto alla contravvenzione di cui alla lettera h), punita con la sola pena dell’ammenda fino alla somma di Euro 1.549,00, ragguagliabile fino a un massino di 7 giorni ai sensi dell’articolo 135 c.p., in luogo dei 30 stabiliti dal Tribunale.

Al riguardo la Corte d’appello di Brescia, cui era stata devoluta tale questione, si era limitata ad affermare la congruità di detto aumento, giustificato con la pluralità di specie abbattute, in quanto la pluralità di specie di uccelli detenuti o abbattuti non determinava la configurabilità di più reati, ma poteva incidere solamente sulla gravità della condotta e, con essa, sulla misura della pena, con la conseguente insufficienza della motivazione in ordine all’aumento di pena per i due reati satellite di cui al capo a) della rubrica.

In ogni caso tale aumento risultava illegale in relazione all’aumento disposto per il reato di cui alla L. n. 157 del 1992, articolo 30, lettera h), punito con la sola pena dell’ammenda fino a Euro 1.549,00 e per il quale era stato disposto un aumento di pena di un mese di reclusione, alla luce del chiarimento interpretativo fornito dalle Sezioni Unite con la sentenza Giglia (n. 40983 del 2018), secondo cui “in tema di concorso di reati puniti con sanzioni eterogenee sia nel genere che nella specie per i quali sia riconosciuto il vincolo della continuazione, l’aumento di pena per il reato satellite va effettuato secondo il criterio della pena unica progressiva per moltiplicazione, rispettando tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena prevista per il reato satellite, nel senso che l’aumento della pena detentiva del reato più grave dovrà essere ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell’articolo 135 c.p.”, giacche’ l’aumento di pena disposto, operato il ragguaglio, risultava pari a 7.500,00 Euro, superiore di oltre il quadruplo al massimo edittale previsto per il reato satellite.

2.3. Con un terzo motivo ha denunciato l’errata applicazione dell’articolo 165 c.p. e la mancanza della motivazione nella parte relativa alla subordinazione della sospensione condizionale della pena all’intervenuto risarcimento in favore della parte civile costituita, in quanto l’apposizione di tale condizione non era in alcun modo stato giustificata, come invece richiesto dalla giurisprudenza di legittimità (si richiama la sentenza 4527 del 2011), che richiede anche la considerazione delle condizioni economiche del condannato e della sua capacità di sopportare tale onere, considerazione ancor più necessaria nel caso del ricorrente, pensionato dell’età di 72 anni, che, però, era stata del tutto omessa dalla Corte d’appello di Brescia, nonostante la incensuratezza dell’imputato medesimo.

2.4. Infine, con un quarto motivo ha lamentato l’errata applicazione degli articoli 133 e 175 c.p. e un ulteriore vizio della motivazione, che sarebbe carente nella parte relativa al mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, espressamente richiesto con i motivi d’appello ma negato dalla Corte d’appello senza alcuna giustificazione di tale diniego e nonostante il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, che presuppone una prognosi positiva di non recidivanza, con la conseguente necessità di indicare le ragioni per le quali gli elementi valutati in senso favorevole per la concessione di un beneficio non siano meritevoli di fondare il riconoscimento anche dell’altro, o di indicare quelli di segno contrario alla concessione del beneficio (si richiama la sentenza n. 32963 del 2021).

3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo di annullare la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminandolo, e di rigettare nel resto il ricorso, sottolineando la condivisibilità dell’indirizzo giurisprudenziale richiamato nella sentenza impugnata, secondo cui é configurabile il reato di cui all’articolo 544 ter c.p. laddove gli uccelli non solo sono stati rinchiusi in gabbie talmente piccole da procurare loro le lesioni indicate nella sentenza (“spiumati” e “senza coda”), ma, soprattutto, sono stati utilizzati come esche vive per attirare altri esemplari nelle reti che l’imputato aveva illegalmente steso (si richiama la sentenza n. 20221 del 11/04/2022), ed evidenziando l’erroneità del computo dell’aumento di pena per il reato satellite alla luce del principio stabilito nella sentenza 40983 del 2018 delle Sezioni Unite, in quanto la Corte di appello aveva determinato l’entità della pena in aumento per la continuazione per il secondo reato satellite ascritto al ricorrente (quello meno grave di cui al capo A), senza, però, procedere a ragguagliare l’aumento della pena detentiva del reato più grave a pena pecuniaria ai sensi dell’articolo 135 c.p..

Quanto agli ulteriori motivi ha evidenziato che la sentenza impugnata contiene adeguata motivazione in ordine alle determinazioni relative alla sospensione condizionale della pena e che le ragioni del diniego del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale possono ritenersi implicite nella motivazione con cui il giudice ha ritenuto congruo il trattamento sanzionatorio dal momento che il legislatore fa dipendere la concessione del predetto beneficio dalla valutazione degli elementi indicati dall’articolo 133 c.p..

4. La parte civile, Lega per l’Abolizione della Caccia, ha depositato memoria mediante la quale ha resistito al ricorso, di cui ha chiesto il rigetto, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute nel giudizio di legittimità.

5. Con memoria del 16 marzo 2023 il ricorrente ha insistito nelle proprie richieste, sottolineando la fondatezza, in particolare, del secondo, del terzo e del quarto motivo di ricorso, richiamando, con riferimento al terzo motivo, quanto esposto nella motivazione della sentenza 37503 del 2022 delle Sezioni Unite a proposito dell’obbligo del giudice della cognizione di procedere, secondo le evidenze disponibili, all’accertamento delle condizioni economiche dell’imputato nel caso in cui la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena sia subordinato all’adempimento dell’obbligo risarcitorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, peraltro pressoché’ riproduttivo dell’atto d’appello, é fondato solamente per quanto riguarda la determinazione della misura degli aumenti di pena per la continuazione con il reato di cui al capo a), censurata con il secondo motivo, e la mancanza di motivazione in ordine al diniego del beneficio della non menzione della condanna, oggetto del quarto motivo, mentre per il resto é infondato.

2. Il primo motivo, mediante il quale e’ stata lamentata l’errata applicazione dell’articolo 544 ter c.p., a causa della qualificazione della condotta di cui al capo b) ai sensi di tale disposizione, ossia come maltrattamento di animali, non é fondato.

Il reato di maltrattamento di animali, introdotto dalla L. 20 luglio 2004, n. 189, articolo 1, comma 1, prevede la condotta di chi “per crudeltà o senza necessità cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili”.

Perché possa dirsi integrata tale fattispecie e’ necessaria la volontarietà della condotta lesiva in danno dell’animale, ovvero la volontarietà di una condotta che sottoponga lo stesso animale a sevizie o comportamenti o lavori o fatiche insopportabili.

La fattispecie di cui all’articolo 544 ter c.p. si caratterizza quale reato a forma libera, modellato sullo schema dell’articolo 582 c.p., di guisa che é sufficiente che l’azione sia causale rispetto all’evento tipico.

Accanto a una condotta generatrice di lesioni, si colloca altra condotta, ugualmente rilevante sul piano penale, che attenti al benessere dell’animale e alle sue caratteristiche etologiche attraverso comportamenti incompatibili con le esigenze naturali dell’animale che vanno inscindibilmente salvaguardate.

Peraltro, la nozione di comportamenti insopportabili per le caratteristiche etologiche non assume un significato assoluto (come raggiungimento di un limite oltre il quale l’animale sarebbe annullato), ma un significato relativo inteso quale contrasto con il comportamento proprio della specie di riferimento come ricostruita dalla scienza naturale.

E, in questo senso, la collocazione degli animali in ambienti inadatti alla loro naturale esistenza, inadeguati dal punto di vista delle dimensioni, della salubrità, delle condizioni tecniche vale certamente a integrare la fattispecie nei termini oggi richiesti dal legislatore (così Sez. 3, n. 39159 del 27/03/2014, Muccini, Rv. 260295).

Questa Corte ha gia’ evidenziato, nel rilevare la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’articolo 544 ter c.p. (prospettata in riferimento all’articolo 3 Cost., articolo 27 Cost., comma 3, articolo 117 Cost., comma 1, nonché articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nella parte in cui esso punisce più gravemente chi sottopone un animale a comportamenti insopportabili per le sue caratteristiche etologiche rispetto a quanto previsto dall’articolo 727 c.p., per chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di grave sofferenza), le differenze tra la fattispecie prevista da tale disposizione e quella di cui all’articolo 727 c.p., comma 2, evidenziando come esse si riferiscono a ipotesi diverse e dotate di diversa gravità.

La fattispecie delittuosa, che punisce chi “cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”, é caratterizzata dal solo elemento soggettivo del dolo e non anche da quello della colpa, nonché dall’ulteriore presupposto della crudeltà o della mancanza di necessità.

La fattispecie contravvenzionale, invece, punisce, anche a titolo di colpa, la meno grave condotta di chi “detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”, senza richiedere la crudeltà o la mancanza di necessità, né la causazione di lesioni, o la sottoposizione a sevizie, comportamenti, fatiche, lavori insopportabili, escludendo che vi sia alcuna possibile identità fra le due fattispecie, perché la seconda, di portata piu’ ampia, rappresenta un’ipotesi residuale rispetto alla prima; e ciò giustifica sul piano costituzionale la previsione di due ipotesi di reato distinte, nonché di sanzioni proporzionate alla loro diversa gravità (cfr. Sez. 3, n. 10163 del 03/10/2017, dep. 06/03/2018, Rondot e altri, Rv. 27262).

Nella distinzione fra il delitto di maltrattamento di animali, previsto dall’articolo 544 ter c.p. e la contravvenzione di cui all’articolo 727 c.p., che punisce, al comma 2, “chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttivi di gravi sofferenze”, questa Corte ha anche già affermato che “la detenzione di uccelli in gabbie talmente piccole da cagionare il danneggiamento e l’avulsione del piumaggio, ed il loro impiego nell’attività venatoria quali richiami vivi, fuori dai casi e dai modi consentiti dalla L. 11 febbraio 1992, n. 157, articoli 4 e 5 costituiscono sevizie insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’avifauna, tali da integrare non gia’ la contravvenzione di cui all’articolo 727 c.p., ma il delitto di maltrattamento di animali di cui all’articolo 544-ter c.p.” (v. Sez. 5, n. 20221 del 11/04/2022, Rizzardini, Rv. 283079).

Ora, nel caso in esame, i giudici di merito hanno concordemente escluso la qualificabilità della condotta dell’imputato ai sensi dell’articolo 727 c.p. anziché ai sensi dell’articolo 544 ter c.p., comma 3, sottolineando come cinque degli esemplari di uccelli detenuti dal ricorrente (una peppola e quattro fringuelli) fossero custoditi al buio, in gabbiette poggiate a terra e di dimensioni assai anguste, due di essi privi della coda o delle piume della coda, o comunque con un piumaggio che rendeva loro impossibile volare (a causa della provocata compromissione delle penne remiganti e di quelle timoniere), tutti e cinque dunque in condizioni tali da non poter volare e da compromettere la loro stessa sopravvivenza, sottoposti alla pratica denominata “chiusa” (ossia alla custodia al buio per lunghi mesi allo scopo di falsare il loro ciclo annuale in modo che una volta portati all’aria aperta, in autunno e in inverno, durante la stagione venatoria, convinti che fosse giunta la primavera, richiamassero i loro simili, per essere poi abbattuti dai cacciatori), così determinando uno stravolgimento completo della fisiologia ed etologia degli uccelli e realizzando comportamenti incompatibili con le caratteristiche etologiche della specie.

E’ allora evidente come tale condotta configuri il delitto di cui all’articolo 544 ter c.p. contestato sub b), perché non solo “senza necessità” ma anche illecitamente (perché strumentalmente alla pratica proibita dell’uccellagione), il ricorrente ha sottoposto gli esemplari custoditi nelle gabbie a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche, provocando in alcuni di esse l’avulsione delle piume, tra l’altro allo scopo di utilizzarli come richiami vivi, pratica non consentita per la peppola e il fringuello.

Se e’ infatti vero che la stessa L. n. 157 del 1992 prevede l’utilizzo di esemplari di avifauna come richiami vivi (all’articolo 4, comma 5, e articolo 5, comma 7, peraltro con modalità che non risultano essere state rispettate dal ricorrente, essendo vietato l’uso di richiami che non siano identificabili mediante anello inamovibile, numerato secondo le norme regionali che disciplinano anche la procedura in materia), ciò viene consentito solo in relazione a specie (allodola, cesena, tordo sassello, tordo bottaccio, merlo, pavoncella e colombaccio) che non ricomprendono quelle indicate in imputazione (peppola e fringuello), con la conseguente corretta esclusione, anche sotto questo profilo, della liceità della condotta, e della affermazione della sottoposizione degli esemplari di uccelli detenuti nelle condizioni descritte a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche, in guisa tale da violare il precetto dei contestato articolo 544 ter c.p..

Ne consegue, in definitiva, l’infondatezza del primo motivo di ricorso, stante la assoluta correttezza della affermazione della configurabilità del delitto di cui all’articolo 544 ter c.p. contestato al capo b).

3. Il secondo motivo, mediante il quale il ricorrente ha lamentato una ulteriore violazione di disposizioni di legge penale e un vizio della motivazione, a proposito dell’aumento di pena a titolo di continuazione o, comunque, di concorso formale, per le ipotesi di cui alla n. 157 del 1992, articolo 30, lettera h), di cui al capo a) della rubrica, é fondato.

La Corte d’appello di Brescia nel confermare il trattamento sanzionatorio stabilito dal primo giudice, pari a 7 mesi di reclusione, determinato considerando quale pena base per il più grave reato di cui all’articolo 544 ter c.p. di cui al capo b) quella di 4 mesi di reclusione, aumentata di due mesi di reclusione per la continuazione con la contravvenzione di cui alla L. n. 157 del 1992, articolo 30, comma 1, lettera b), ulteriormente aumentata di un mese di reclusione per la continuazione con la contravvenzione con la contravvenzione di cui alla medesima L. n. 157 del 1992, articolo 30, comma 1, lettera h), ha omesso di considerare la censura formulata con l’atto d’appello circa l’illegalità di tale ultimo aumento di pena, limitandosi ad affrontare l’aspetto della congruità della misura di tali aumenti di pena, giudicati, con motivazione idonea, adeguati alla gravità della condotta, tenendo conto del numero di uccelli maltrattati e delle modalità organizzate della condotta, indicative della sua non occasionalità.

La censura di illegalità dell’aumento di pena di un mese di reclusione stabilito per il reato di cui alla L. n. 157 del 1992, articolo 30, comma 1, lettera h), è, però, fondata, in quanto, sulla base di quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza Giglia (Sez. U, n. 40983 del 21/06/2018, Giglia, Rv. 273751, secondo cui ” In tema di concorso di reati puniti con sanzioni eterogenee sia nel genere che nella specie per i quali sia riconosciuto il vincolo della continuazione, l’aumento di pena per il reato “satellite” va effettuato secondo il criterio della pena unica progressiva per “moltiplicazione”, rispettando tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena prevista per il reato “satellite”, nel senso che l’aumento della pena detentiva del reato più grave dovrà essere ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell’articolo 135 c.p.”), l’aumento di pena per detta contravvenzione, punita con la sola pena dell’ammenda fino alla somma di Euro 1.549,00, poteva essere determinato nel massino a 7 giorni di reclusione, da ragguagliare ai sensi dell’articolo 135 c.p. secondo il criterio indicato dalle Sezioni Unite, in luogo dei 30 stabiliti dai giudici di merito, onde non superare il massimo edittale stabilito per detta ipotesi contravvenzionale.

Ne consegue l’illegalità di detto aumento, non essendo stato rispettato, nel determinare l’aumento, né il limite massimo previsto per la pena prevista per detta contravvenzione (punita con l’ammenda fino a Euro 1.549,00), né il genere di pena, in relazione alla cui determinazione occorre una nuova valutazione da parte dei giudici di merito, da compiere tenendo conto di detto limite, alla luce del chiarimento interpretativo fornito dalla citata sentenza Giglia e del criterio da questa stabilito.

4. Il terzo motivo, mediante il quale sono state denunciate l’errata applicazione dell’articolo 165 c.p. e la mancanza della motivazione, nella parte relativa alla subordinazione della sospensione condizionale della pena all’intervenuto risarcimento in favore della parte civile costituita, é inammissibile.

Va ricordato che, in tema di sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento del danno, il giudice, pur non essendo tenuto a svolgere un preventivo accertamento delle condizioni economiche dell’imputato, deve tuttavia effettuare un motivato apprezzamento di esse se dagli atti emergano elementi che consentano di dubitare della capacità di soddisfare la condizione imposta ovvero quando tali elementi vengano forniti dalla parte interessata in vista della decisione (così, da ultimo, Sez. 5, n. 3187 del 26/10/2020, dep. 2021, Genna, Rv. 280407; in senso conforme gia’ Sez. 5, n. 40480 del 24/06/2019, P., Rv. 278381; Sez. 5, n. 48913 del 01/10/2018, Asllani, Rv. 274599; Sez. 3, n. 29996 del 17/05/2016, Lo Piccolo, Rv. 267352).

Ora, nel caso in esame la Corte d’appello, nel disattendere l’identico motivo di impugnazione, ha evidenziato come la sola condizione di pensionato del ricorrente, sottolineata anche nel motivo di ricorso per cassazione, unita all’età del ricorrente medesimo, non sia di per sé indicativa della incapacità di soddisfare la condizione apposta al beneficio della sospensione condizionale della pena, anche in considerazione dell’entità del risarcimento, pari a 10.000,00 Euro, liquidato a favore della parte civile e che lo condiziona, e tali considerazioni, non manifestamente illogiche, proprio alla luce della genericità della allegazione del ricorrente tenuto conto della misura del risarcimento, sono state censurate dal ricorrente in modo generico e assertivo, omettendo di confrontarsi con tali argomenti e senza nulla aggiungere circa la condizione patrimoniale del ricorrente medesimo o a proposito della sua situazione reddituale, con la conseguente genericità della censura, che, così come articolata, risulta anche manifestamente infondata.

5. Il quarto motivo, relativo al mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, é fondato.

Giova, al riguardo, ricordare che il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale persegue finalità diverse rispetto a quello della sospensione condizionale della pena perché, mentre quest’ultima ha l’obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilità di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilità di revoca, un’efficace remora a ulteriori violazioni della legge penale, il primo ha lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l’eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato, sicché’ non é contraddittoria la decisione che neghi uno dei due benefici e conceda l’altro (così, da ultimo, Sez. 3, n. 51580 del 18/09/2018, P., Rv. 274106; in precedenza già Sez. 6, n. 34489 del 14/06/2012, Del Gatto, Rv. 253484).

Ora, nel caso in esame, benché’ la richiesta di riconoscimento di tale beneficio fosse generica, consistendo, come si rileva dalla lettura dell’atto d’appello a pag. 20, nella sola richiesta di riconoscimento di tale beneficio, unita alla sottolineatura della incensuratezza dell’imputato, la Corte d’appello ha del tutto omesso di considerarla, benché’ fosse stata sollecitata a esercitare, positivamente o negativamente, il potere discrezionale conferitogli dalla legge al riguardo, cosicché’ non rileva la genericità di detta richiesta, che, in quanto volta a sollecitare l’esercizio di un potere esercitabile anche d’ufficio, avrebbe comunque dovuto essere considerata (cfr. Sez. 3, n. 48376 del 13/07/2018, Iannaccone, Rv. 274702; v. anche Sez. 2, n. 18742 del 06/04/2018, Gadaleta, Rv. 272991), cosicché’ occorre un nuovo giudizio anche su tale punto, nel quale esaminare detta richiesta.

6. In conclusione, stante la fondatezza del secondo e del quarto motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata impugnata limitatamente all’aumento di pena relativo alla contravvenzione di cui alla n. 157 del 1992, articolo 30, comma 1, lettera h), di cui al capo a) e alla applicabilità del beneficio della non menzione della condanna, con rinvio per nuovo giudizio su tali punti ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia, che si atterrà, nella determinazione di tale aumento, ai ricordati principi stabiliti nella sentenza Giglia, e provvederà a prendere in esame la richiesta di riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna.

7. Il ricorso deve, nel resto, essere rigettato, stante l’infondatezza del primo motivo e l’inammissibilità del terzo motivo di ricorso.

8. Al rigetto del primo e del terzo motivo di ricorso consegue la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e assistenza sostenute dalla parte civile, i cui interessi sono estranei ai punti che hanno determinato l’annullamento con rinvio, relativi al solo trattamento sanzionatorio, liquidate in conformità alla richiesta.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aumento ex articolo 81 c.p., comma 2 relativo alla contravvenzione di cui alla L. n. 157 del 1992, articolo 30, comma 1, lettera h), di cui al capo a) e alla applicabilità del beneficio della non menzione con rinvio per nuovo giudizio su tali punti ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia.

Rigetta nel resto il ricorso.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 1.970,00, oltre accessori di legge.

Roma, 23/03/2023.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.