REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MENICHETTI Carla – Presidente
Dott. TANGA Antonio Leonardo – Rel. Consigliere
Dott. PICARDI Francesca – Consigliere
Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LA ROSA Paolo, nato a Catania in data 13/05/1972;
avverso la sentenza n. 2512/19 del giorno 06/06/2019, della Corte di Appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Leonardo Tanga;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Assunta Cocomello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udite le richieste del difensore, avv. Baldassarre Mistretta, del Foro di Venezia, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13/11/2017, il Tribunale di Venezia dichiarava La Rosa Paolo responsabile del reato di cui all’art. 589 c.p. per aver cagionato per colpa, in qualità di medico ginecologo in servizio di guardia il 30 settembre 2007 presso l’ospedale “Villa Salus” di Mestre, la morte di Canuto Matteo che il 22/03/2012 decedeva per complicanze respiratorie in grave quadro di encefalopatia ipossico-ischemica conseguente alla rottura dell’utero materno a termine di gestazione, e lo condannava alla pena di mesi otto di reclusione.
L’imputato, unitamente a Capoti Cosimo, era stato tratto a giudizio per rispondere del reato suddetto, cagionato -secondo l’imputazione- per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia per avere:
– omesso di verificare, all’inizio del proprio turno, i dati clinici relativi alla paziente Libera Francesca; dati che, se conosciuti e correttamente apprezzati, avrebbero imposto particolare attenzione nella valutazione del caso;
– omesso di verificare le condizioni di Libera Francesca che non sottoponeva ad alcun controllo, limitandosi a somministrarle antidolorifici, nonostante la stessa e i familiari ripetutamente segnalassero la persistenza di dolore addominale ingravescente;
– omesso di verificare le condizioni del feto e in particolare di esaminare l’ultimo tracciato cardiotocografico, acquisito durante il turno medico precedente e ripreso solo alle ore 20,27 ad iniziativa del collega che gli subentrava; tracciato che se proseguito dopo la sospensione del mattino, avrebbe consentito, di rilevare la grave sofferenza in atto nonché il protrarsi della stessa fino al punto da rendere obbligatorio ed emergente l’accelerazione del parto.
Condotte tutte a causa delle quali non rilevava la grave sofferenza del feto (risultata poi dovuta alla rottura dell’utero materno a termine di gestazione) che se prontamente individuata avrebbe suggerito ed imposto un intervento tempestivo -anche a mezzo taglio cesareo- e idoneo a ridurre massimamente le complicanze per il nascituro che invece, a causa del ritardo con cui venivano diagnosticato il peggioramento delle condizioni fetali e decisa l’estrazione, andava incontro all’encefalopatia e alla paralisi cerebrale in cui si inseriva in ultimo, in un continum fisiopatologico di concatenazioni morbose. casualmente correlate alla grave condizione di asfissia intrapartum, l’insufficienza respiratoria che ne determinava la morte.
1.1. Con la sentenza n. 2512/19 del giorno 06/06/2019, la Corte di Appello di Venezia, adita dagli imputati, in parziale riforma della sentenza appellata, assolveva Capoti Cosimo dal reato ascrittogli per non aver commesso fatto, e applicava a La Rosa Paolo il beneficio della non menzione della condanna, confermando nel resto.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione La Rosa Paolo, a mezzo dei propri difensori, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.):
I) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione mancata assunzione di una prova decisiva o, comunque, alla mancata disposizione di un mezzo di valutazione delle prove, essenziale al fine del decidere.
Deduce che, nel caso in esame, l’unico supporto scientifico alla declaratoria di responsabilità è costituito dalla consulenza espletata su incarico della parte civile; nel tessuto argomentativo della pronuncia impugnata non è dato però rinvenire un’adeguata spiegazione delle ragioni per le quali il giudice d’appello ha ritenuto l’esaustività e incontrovertibilità dei rilievi formulati dal consulente di parte civile.
Né esse sono desumibili, sia pur implicitamente, ma in modo sufficientemente chiaro, dal complesso dell’apparato giustificativo a sostegno della decisione adottata.
Sostiene che la Corte di Appello di Venezia ha errato nel non disporre la perizia invocata più volte dalla difesa dell’imputato La Rosa, tanto più in presenza di una fattispecie articolata e complessa come quella che occupa nonché di valutazioni contrastanti.
II) vizi motivazionali in relazione alla mancata, contraddittoria ed illogica motivazione sul punto della assoluta rarità nonché eccezionalità dell’evento della rottura spontanea dell’utero in primipare esenti da patologie addominali specifiche di tal genere e in assenza di sintomatologie e caratteristiche indicative di minacce di rottura o di rottura dell’utero in atto.
Deduce che i dati indicati dai due testimoni esperti (Zaramella e Arduini) non sono stati contestati in alcun modo né contraddetti da altre risultanze probatorie assunte in dibattimento sicché debbono essere considerati come dati assodati ed incontroversi in giudizio; ha perciò, errato il giudice di appello laddove ha affermato che l’eccezionalità dell’occorso non rilevi ai fini della valutazione complessiva della condotta del sanitario.
III) vizi motivazionali in relazione alla mancata, contraddittoria ed illogica motivazione sul punto dell’asseritamente omessa prestazione della dovuta attività di assistenza da parte del dottor La Rosa alla paziente.
Deduce che la sentenza non spiega in maniera soddisfacente perché il Dottor La Rosa avrebbe dovuto eseguire un costante monitoraggio attraverso il CTG (tracciato cardiotocografico) per verificare una presunta patologia di assoluta eccezionalità, come sopra già detto, e senza che esistessero le condizioni, gli indizi, i presupposti o le manifestazioni patologiche significanti che avrebbero potuto far supporre tale remotissima possibilità.
IV) vizi motivazionali in relazione alla mancata, contraddittoria ed illogica motivazione sul punto della determinazione del momento della insorgenza dei sintomi della rottura dell’utero e dell’inizio della sofferenza fetale.
Deduce che l’impugnata sentenza fissa l’inizio della insorgenza dei sintomi di rottura dell’utero e di sofferenza fetale alle ore 16/17 del pomeriggio ma ciò non trova riscontro in dati oggettivi.
Sostiene che la necessità di una motivazione puntuale, argomentata, completa e conclusiva sul punto appare essere maggiormente stringente in presenza dell’opinione opposta espressa dal professor Arduini, introdotto dalla difesa dell’imputato.
V) vizi motivazionali.
Deduce che il c.t. della difesa, professor Arduini, ha evidenziato come il bambino fosse nato vivo, respirante e a placenta integra, come risulta dalle cartelle cliniche.
Da tale dato di fatto oggettivo ed incontroverso il professor Arduini ha tratto la conseguenza che la rottura dell’utero e la sofferenza fetale si fosse verificata in un intervallo di tempo fra i venti e i quaranta minuti prima del parto: tale valutazione è perfettamente compatibile e si collega e si completa logicamente con quanto evidenziato dal tracciato CTG eseguito intorno alle ore 20.00 e dal quale risultava la presenza di una situazione patologica.
Tutto ciò contrasta con quanto asserito in sentenza laddove si afferma che la sofferenza fetale e la rottura dell’utero sia avvenuta verso le ore 16.00/17.00 precedenti e che il feto possa essere sopravvissuto per oltre 4 ore in condizioni di insufficienza respiratoria se non di asfissia.
VI) vizi motivazionali.
Deduce che dagli atti emerge che il bambino è n3to prematuro e al momento della nascita venne rilevata la presenza di tre giri di funicolo serrati intorno al collo, dopo di che venne erroneamente intubato (in esofago anziché in trachea) per un rilevante e rilevato periodo di tempo, così come risulta dalle dichiarazioni del c.t. del P.M. dott.ssa Tambuscio, la quale ha accertato sia l’errata intubazione, sia la durata dell’errata intubazione, sia la durata del periodo in cui valori riscontrati dimostravano una carenza di ossigenazione del neonato.
Sulla scorta di ciò il c.t. della difesa, professor Arduini, dedusse che dette situazioni potessero, ciascuna di esse, poteva essere causa necessaria e sufficiente per lo stato di grave ipossia e di asfissia patito dal piccolo Matteo e che provocò le gravissime conseguenze invalidanti note.
La Corte del merito, immotivatamente, non ha valutato la possibile incidenza causale di tali fatti obiettivi.
VII) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all’art. 590- sexies c.p.
Deduce che il comportamento professionale tenuto dall’imputato esclude l’esistenza a suo carico di alcuno degli elementi, dei comportamenti e delle condizioni richiesti dalla giurisprudenza per pervenire ad una affermazione della sua responsabilità penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato e perciò inammissibile.
4. Va premesso che, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.
4.1. Occorre, inoltre, evidenziare che il ricorrente ignora le analitiche ragioni esplicitate dal giudice di appello per rigettare analoghi motivi di gravame, fornendo puntuale spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto.
4.2. Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).
4.3. Ancora, la giurisprudenza ha affermato che. l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunci4bile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ()culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché -come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (v. Sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
4.4. Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile:
a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;
b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (v. Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).
4.5. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’è, in altri termini, come richiesto nel ricorso in scrutinio, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
4.6. In realtà il ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione nella valutazione del materiale probatorio, tenta di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
5. Ciò posto in replica alla censura sub I), mette conto osservare che in tema di prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, la scelta operata dal giudice, in virtù del principio del libero convincimento e pur in assenza di una perizia d’ufficio, tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, purché la sentenza – come nella specie- dia conto, con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell’opinione disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti (cfr. Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015 Ud. -dep. 25/02/2015- Rv. 263435; Sez. 4, n. 45126 del 06/11/2008 Ud. -dep. 04/12/2008- Rv. 241907), tenendo costantemente presenti le altre risultanze processuali (cfr. Sez. 4, n. 15493 del 10/03/2016 Ud. -dep. 14/04/2016- Rv. 266787; Sez. 5, n. 686 del 03/12/2013 Ud. -dep. 10/01/2014- Rv. 257965).
Inoltre, la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod.proc.pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (cfr. Sez. Un., n. 39746 del 23/03/2017 Ud. -dep. 31/08/2017- Rv. 270936).
5.1. Nel caso che occupa, la Corte del merito ha fatto buona applicazione dei principi sopra riportati affermando che «non sussistono nel caso di specie necessità di ulteriori accertamenti peritali, essendo molteplici ed esaustive le consulenze esperite nel procedimento e quelle acquisite agli atti in quanto svoltesi in sede civile.
Tutte le parti del processo hanno infatti potuto fornire ampie valutazioni tecniche sui fatti di cui in imputazione.
Correttamente il primo giudice ha rilevato come tutti i sanitari interpellati per fornire consulenza in materia abbiano concordato per l’assoluta rarità, benché’ non eccezionalità, dell’evento di rottura spontanea d’utero in pazienti nelle condizioni in cui versava Francesca Libera al momento del ricovero» e precisando che «la condotta addebitata al dr. La Rosa si sostanzia non già nel non aver tempestivamente diagnosticato la rottura d’utero, quanto nell’omesso monitoraggio costante della paziente e nell’omessa rivalutazione clinica della medesima, attività che avrebbero consentito di accertare con congruo anticipo la sofferenza fetale e quindi di anticipare il parto almeno di alcune ore, prevenendo così le gravi lesioni subite dal piccolo Canuto Matteo o quanto meno cagionandogli lesioni ben più lievi».
6. In ordine alla censura sub II), varrà ribadire -come sopra già detto- quanto ritenuto dai giudici di merito che hanno rimarcato come «tutti i sanitari interpellati per fornire consulenza in materia abbiano concordato per l’assoluta rarità, benché non eccezionalità, dell’evento di rottura spontanea d’utero in pazienti nelle condizioni in cui versava Francesca Libera al momento del ricovero», inoltre, correttamente i giudicanti territoriali hanno concordemente precisato che ciò che si addebita al dr. La Rosa non è la Mancata tempestiva diagnosi della rottura d’utero, bensì l’omesso monitoraggio costante della paziente e l’omessa rivalutazione clinica della medesima.
Di qui l’affermazione, incensurabile in questa sede di legittimità, secondo cui la rottura dell’utero «non rileva quindi ai fini della valutazione complessiva della condotta del sanitario».
7. In replica alla doglianza sub III), deve solo rilevarsi la logica motivazione delle sentenze di merito in virtù delle quali il La Rosa, come medico specialista subentrante al collega Capoti, «avrebbe dovuto controllare autonomamente i tracciati effettuati sulla paziente e procedere ulteriormente ad approfondimenti diagnostici e monitoraggi specifici, atteso che la sintomatologia dolorosa della paziente presentava un quadro di ulteriore ingravescenza nel pomeriggio, nonostante la massiccia somministrazione di antidolorifici, e considerato che l’eccezionalità della situazione era stata rappresentata al dr. La Rosa non solo dai familiari che assistevano la Libera e dal personale infermieristico, ma anche dal collega dr. Maurizio Carlo, che aveva cercato inutilmente di sensibilizzarlo affinché intervenisse».
A ciò deve aggiungersi che gli stessi giudici completano ineccepibilmente il percorso motivazionale sul punto, rimarcando che lo stesso dr. Capoti nel passare le consegne al ricorrente aveva indicato a quest’ultimo la necessità di una consulenza chirurgica proprio per cercare di chiarire l’origine delle algie addominali e, come testimoniato dal dr. Mascarin, che effettuò tale consulenza la mattina del 30 settembre, gli esiti dell’esame lasciavano aperto il dubbio clinico della causa ostetrica della sintomatologia, circostanza che, nota al dr. La Rosa, avrebbe imposto al sanitario la necessità di approfondire appunto il quadro ostetrico della paziente e attivare quanto meno periodicamente un monitoraggio del benessere fetale; «Trattasi di attività clinica che il sanitario non effettuò per tutta la durata del suo turno di servizio, peraltro astenendosi dall’eseguire qualsivoglia altro accertamento sulla gravida, ivi compresa anche una semplice visita ginecologica.
La paziente, benché ricoverata in una struttura dotata di tutte le strumentazioni diagnostiche necessarie, fu sostanzialmente lasciata priva di indagini cliniche e di effettiva assistenza medica per ore, nonostante il quadro patologico necessitasse di ulteriori accertamenti e il peggioramento delle condizioni cliniche, alle ore 17.00 dello stesso giorno (comunicato dall’infermiera al dr. La Rosa, come annotato sulla cartella clinica), imponesse, quanto meno in quel momento, una definitiva rivalutazione del caso, omessa dal sanitario».
7.1. Preme ribadire la rilevanza, nella fattispecie, del mancato prolungato monitoraggio della partoriente che costituisce una omissione colposa n quanto contraria alle leges artis che impongono un costante monitoraggio tococardiografico della partoriente finalizzato proprio a diagnosticare tempestivamente l’eventuale sofferenza fetale e a intervenire tempestivamente per evitare gli insulti anossico-ischemici intrapartum (v. anche Cass. Civ. Sez. 3, n. 8664 ud. 09/11/2016-dep. 04/04/2017).
D’altra parte, nel reato colposo omissivo improprio che occupa, il rapporto di causalità tra omissione ed evento è stato verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, a sua volta fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (cfr. Sez. 4, n. 24372 del 09/04/2019 Ud. -dep. 31/05/2019- Rv. 276292; Sez. 4, n. 26491 del 11/05/2016 Ud. -dep. 24/06/2016- Rv. 267734).
Invero, l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi (cfr. Sez. 4, n. 13542 ud. 14/02/2013 dep. 22/03/2013; Sez. 4, n. 46412 del 28/10/2008, dep. 17/12/2008, Rv. 242250).
Sul punto la corte territoriale non ha omesso di evidenziare che «in presenza di un marcato aggravamento delle condizioni cliniche della paziente, quanto meno attorno alle ore 17.00, l’approfondimento diagnostico e la verifica delle condizioni fetali, con elevato grado di certezza, avrebbe consentito di intervenire tempestivamente con il parto cesareo, riducendo se non elidendo i gravi danni cagionati a Matteo Canuto».
8. Quanto alle doglianze sub IV), V) e VI) -da trattarsi congiuntamente poiché logicamente avvinte- mette conto osservare che la Corte del merito ha congruamente motivato il proprio dissenso in ordine alle affermazioni del consulente tecnico della difesa, prof. Arduino, volte ad escludere che una valutazione cardiotocografica effettuata durante il pomeriggio del 30 avrebbe consentito di documentare l’evenienza di una sofferenza fetale posto che «La prospettazione contrasta con quanto invece prospettato, pressoché unanimemente, da tutti gli altri specialisti che hanno esaminato la documentazione clinica della signora Libera e del piccolo Matteo.
Così il CTU dr. Zaramella colloca l’insorgenza dei sintomi tipici della rottura d’utero (lipotimia, anuria, contrattura d’utero) attorno alle ore 16,00-17,00 o poco più tardi (p, 21 e p. 33 verbale stenotipico udienza del 16.3.2017).
Anche il prof. Alberico, CTP della Difesa Capoti, ha collocato i sintomi di inizio della rottura d’utero attorno alle ore 17.00 (episodi lipotimici – anuria) e ha sostenuto che non vi sia stato un immediato interessamento dei centri di irrorazione fetale, collocando il limite entro il quale intervenire per evitare danni al feto attorno alle ore 19.15-19,20 (pag. 55 ud. 16.3.2017).
Sulla stessa linea sono anche le osservazioni dei consulenti tecnici del P.M.»; nessuna aporia o contraddizione si coglie nel consequenziale convincimento per cui «il monitoraggio del feto nella giornata del 30 avrebbe sicuramente concesso di cogliere il viraggio alla sofferenza fetale conclamata e permesso di mettere in atto i provvedimenti d’urgenza, che avrebbero evitato il protrarsi della sofferenza asfittica del feto e quindi l’insaturazione di un danno cerebrale irreversibile […] gli altri fattori evidenziati dal prof. Arduino come possibili concause dell’aggravamento se non dell’insorgenza del danno ipossico-ischemico patito dal neonato, non hanno trovato riscontro e come tali restano mere ipotesi alternative»; per altro, i consulenti tecnici del P.M. già avevano segnalato una non corretta intubazione del neonato, evidenziando, però, come la compromissione metabolica sistemica presentata dalla vittima dovesse ritenersi antecedente all’evento nascita, come tale assolutamente incoerente con l’evenienza di un quadro prodotto da tardiva o anomala intubazione.
9. Quanto al motivo sub VII), esso, oltre che generico, rappresenta una mera affermazione sprovvista di ogni riscontro e non tiene in conto che la rilevanza penale della condotta ai sensi dell’art. 590-sexies c.p. può essere valutata anche con esclusivo riferimento alle buone pratiche clinico assistenziali adeguate al caso concreto (v. anche Sez. 4, n. 37794 del 22/06/2018 Ud. -dep. 06/08/2018- Rv. 273464).
Nella specie, secondo i giudici territoriali, le linee guida -riportate dalla consulente dott.ssa Zambon- prescrivevano il controllo ulteriore della paziente e «il dr. Capoti segnalò al dr. Di Rosa la peculiare condizione della paziente e le necessità di esperimento di ulteriori accertamenti diagnostici sulla stessa.
Dalla testimonianza dell’ostetrica Giordano, invero, pur non emergendo una specifica prescrizione di riassunzione del monitoraggio, risulta che il dr. Capoti rappresentò la necessità di effettuare nuova consulenza chirurgica sulla paziente.
La prescrizione, all’evidenza, rappresentava la necessità di particolare vigilanza, recepita dalla stessa ostetrica quale indicazione della singolarità della situazione»; di contro nelle 12 ore successive, nonostante la patologia algica subisse addirittura un’ingravescenza resistente agli antidolorifici e nonostante l’esito non risolutivo della consulenza chirurgica disposta dal dr. Capoti, il sanitario subentrante -il ricorrente- non ha mai sottoposto la paziente né a controlli cardiotocografíci né ad altri accertamenti clinici: «nessun tracciato fu invece effettuato nell’intera giornata del 30 settembre, e ciò benché la sintomatologia algica non solo perdurasse ma addirittura subisse un oggettivo peggioramento, nonostante l’importante terapia antidolorifica».
Concludono, ineccepibilmente, i giudici del merito che la condotta omissiva del La Rosa si configura quale «gravemente negligente […] a fronte della sintomatologia lamentata e all’ingravescenza della stessa, il sanitario avrebbe avuto l’obbligo di sottoporre la medesima ad una rivalutazione clinica nel momento in cui la sintomatologia avesse rappresentato una modificazione rispetto a quanto rilevato dal chirurgo, peggioramento che, dai dati riportati dai testimoni, deve ritenersi occorso proprio nel pomeriggio del giorno 30».
10. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che il ricorso si riduca all’offerta di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012).
11. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di € 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7/10/2020.
Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020.