Per l’installazione del sistema di videosorveglianza in un Condominio non serve l’unanimità di tutti i condomini (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 11 maggio 2022, n. 14969).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6761-2017 proposto da:

(OMISSIS) MARIA CLEMENTINA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (OMISSIS) 10, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MATTEO (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS) VIA (OMISSIS) n. 11BIS B , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (OMISSIS) (OMISSIS) 16, presso lo studio dell’avvocato PAOLO (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANCARLO (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1566/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 19/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/12/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) Maria Clementina, condomina del Condominio “(OMISSIS)”, in Torino, via (OMISSIS) 11-bis B, impugnava due delibere del condominio:

– la prima del 27 gennaio 2011, riguardante la ripartizione, in base ai millesimi di proprietà, del canone da versare al Comune per una intercapedine per l’anno 2010 e della spesa per l’installazione di un sistema di video sorveglianza;

– la seconda, del 15 febbraio 2012, la ripartizione del canone per l’intercapedine per l’anno successivo e la spesa per completare l’impianto già oggetto della precedente delibera.

Il Tribunale dichiarava inammissibile la impugnativa della prima delibera per decorso del termine e rigettava l’impugnativa della seconda, ritenendola infondata.

Contro la decisione la condomina proponeva appello, deducendo che le due delibere erano nulle e non semplicemente annullabili, sia per quanto riguardava la spesa per il canone per l’intercapedine, sia per la spesa relativa all’impianto di video sorveglianza.

Secondo la condomina, l’intercapedine non era un bene comune e, in ogni caso, la relativa spesa non poteva essere imputata a tutti i condomini in base ai millesimi di proprietà, ma doveva ripartirsi in base all’uso.

In proposito evidenziava che l’intercapedine era destinata al servizio dei box interrati posti ai piani -2 e -3; in ordine all’impianto di video sorveglianza, la condomina eccepiva che la materia esulava dalla competenza dell’assemblea, richiedendosi il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio.

La Corte d’appello rigettava l’impugnazione.

Essa osservava che il Condominio aveva replicato che l’intercapedine era funzionale all’intero fabbricato e che, al cospetto di tale deduzione, la diversa destinazione dell’intercapedine, dedotta dalla condomina, era rimasta del tutto sfornita di prova; la corte di merito riconosceva inoltre la legittimità della decisione dell’assemblea riguardo all’impianto di video sorveglianza, sebbene assunta solo a maggioranza.

Per la cassazione della sentenza la (OMISSIS) ha proposto ricorso, affidato a due motivi.

Il condominio ha resistito con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che non fosse stata data la prova che l’intercapedine era destinata a servizio solo di alcuni condomini.

Secondo la ricorrente tale diversa destinazione, da cui conseguiva la ripartizione della spesa in base all’uso e non ai millesimi di proprietà, doveva ritemersi provata, in quanto non era stata efficacemente contestata dal Condominio.

Questo, al fine di sostenere la correttezza della ripartizione proporzionale, si era limitato a rilevare che “l’intercapedine, lungi dall’essere funzionale ad alcune parti dell’edificio condominiale, è necessaria per l’intero stabile condominiale, in quanto consente l’areazione dello stesso proteggendolo dall’umidità e garantendo, in definitiva, un ambiente più salubre a tutti i condomini”.

In relazione a tale deduzione, la ricorrente sostiene che essa sarebbe “vera solo in teoria, dato che, sul piano pratico, presuppone almeno la contiguità tra edificio comune e intercapedine mentre, nel caso concreto, proprio quello è l’elemento mancante al primo piano interrato; al primo interrato l’intercapedine, al più, può servire alle piscine, che sono estranee al condominio”.

Il motivo è infondato.

E’ stato in più occasione chiarito da questa Corte che funzione dell’intercapedine è quella di fare circolare l’aria ed evitare umidità ed infiltrazioni d’acqua a vantaggio di tutto il fabbricato (Cass. n. 7889/2000; n. 4391/2005).

In questo senso il Condominio aveva sollevato una contestazione non solo chiara e specifica, ma perfettamente in linea con il principio secondo il quale le spese relative alle opere e ai manufatti deputati a preservare l’edificio condominiale da agenti atmosferici sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi della prima parte dell’art. 1123 c.c.., non rientrando, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui all’art. 1123, secondo e terzo comma, c.c. (Cass. n. 64/2013; n. 10371/2021).

Consegue dai su esposti rilievi che la pretesa della ricorrente, di ravvisare nella difesa del Condominio l’esistenza di una “non contestazione”, tale da esentarla dall’onere della prova di una funzione dell’intercapedine diversa da quella consueta, è del tutto priva di giustificazione.

2. Con il secondo motivo, proposto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la ricorrente sostiene che il positivo riconoscimento, operato dalla Corte d’appello, della possibilità dell’assemblea dei condomini di deliberare in ordine all’impianto di video sorveglianza, lasciava aperta la questione se occorresse l’accordo unanime dei condomini.

La Corte d’appello, ad ogni modo, avrebbe dovuto porsi il problema delle maggioranze occorrenti, non essendo sufficiente, prima della riforma del condominio, la maggioranza semplice.

Si doveva inoltre riconoscere che la delibera non era vincolante per i dissenzienti, trattandosi di innovazione voluttuaria ed eccessivamente costosa.

Il motivo è infondato.

Prima della riforma del condominio la giurisprudenza di merito, nel silenzio della legge, ha affrontato più volte le problematiche sottese all’uso di telecamere, arrivando però a soluzione contrastanti.

In particolare, una parte della giurisprudenza di merito sosteneva che la delibera dell’assemblea condominiale che approva l’installazione di un impianto di video sorveglianza relativo a parti comuni, non rientra, in senso assoluto, tra quelle riconducibili all’approvazione dell’assemblea.

Altro orientamento faceva salvo il caso in cui la decisione fosse stata assunta all’unanimità dai condomini, perfezionandosi in questo caso un comune consenso idoneo a fondare effetti tipici di un negozio dispositivo dei diritti coinvolti.

Una terza impostazione si accontentava della deliberazione a maggioranza e per la prospettata violazione della privacy dei condomini richiamava la giurisprudenza della Corte di cassazione penale secondo cui installare una telecamera sul cortile condominiale non integra gli estremi del reato di cui all’art. 615-bis c.p.

Il legislatore della novella, con un articolo dedicato, ossia il nuovo art- 1122-ter c.c., ha introdotto, nel sistema della disciplina condominiale, la video sorveglianza.

La nuova disposizione prescrive che le deliberazioni concernenti l’installazione su parti comuni di impianti volti a consentire la video sorveglianza di essi sono approvate dall’assemblea con la maggioranza di cui all’art. 1136, comma 1, c.c..

La norma, quindi, ha confermato la correttezza della soluzione già anticipata da una parte della precedente giurisprudenza di merito.

2.1. In quanto alle obiezioni sul carattere voluttuario o gravoso dell’innovazione, deve ricordarsi che le innovazioni per le quali e consentito al singolo condomino, ai sensi dell’art. 1121 c.c., di sottrarsi alla spesa relativa, per la quota che gli compete, sono quelle che riguardano impianti suscettibili di utilizzazione separata e che hanno natura voluttuaria, cioè sono prive di utilità, ovvero risultano molto gravose, ossia sono caratterizzate da una notevole onerosità, da intendere in senso oggettivo, dato il testuale riferimento della norma citata alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio.

Si precisa che l’onere della prova di tali estremi grava sul condomino interessato, vertendosi in tema di deroga alla disciplina generale della ripartizione delle spese condominiali (Cass. n. 2408/1981).

Le relative valutazioni integrano un accertamento di fatto devoluto al giudice del merito e sono incensurabili in sede di legittimità se sorrette da motivazione congrua (Cass. n. 428/1984).

Ciò posto, non occorrono particolari argomenti per disattendere la censura ora in esame, stante la genericità della medesima.

La ricorrente, infatti, non indica alcun elemento concreto, relativo alle particolari condizioni ed all’importanza dell’edificio, che avrebbe dovuto indurre la corte di merito a ritenere l’innovazione scarsamente utile o eccessivamente gravosa. In proposito essa evidenzia solo il rapporto fra la spesa deliberata e le spese generali annuali dell’intero condominio, laddove, come appena detto, il carattere gravoso si accerta in base a parametri diversi.

3. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.500,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in e, 200,00, ed agli accessori di legge;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione in data 6 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il giorno 11 maggio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.