Per realizzare un pergolato inamovibile occorre il permesso di costruire (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 19 novembre 2024, n. 42371).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente – 

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere –

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere –

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere –

Dott. ANDROINO Alessandro Maria – Relatore –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(omissis) (omissis), nato ad (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 09/01/2024 della Corte di appello di Salerno;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Alessandro Maria Andronio;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Raffaele Piccirillo, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14 febbraio 2023, il Tribunale di Vallo della Lucania ha condannato l’imputato, per la parte che qui interessa, alla pena – sospesa subordinatamente alla demolizione delle opere ed al ripristino dello stato dei luoghi entro 4 mesi dal passaggio in giudicato della sentenza – di mesi 4 di arresto ed € 19.000,00 di ammenda, per i seguenti reati, unificati sotto il vincolo della continuazione ai sensi dell’art. 81, secondo comma, cod. pen.:

A) artt. 110 cod. pen. e 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001, perché, agendo in concorso con altri, in qualità di proprietario-committente, realizzava, su terreno sottoposto a vincolo paesaggistico e ambientale ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, rientrante nella perimetrazione del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano e in zona sismica, in assenza del permesso di costruire, opere abusive nelle pertinenze di un preesistente immobile, consistenti in un manufatto ligneo, costituito da pilastri in legno con sovrastante grigliato ligneo, occupante una superficie di 31,00 mq, ed un manufatto ligneo, bullonato a terra, con copertura a due falde, con superficie di 11,00 mq, pari ad volume di 26,00 mc;

B) artt. 110 cod. pen., 93 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001, per avere eseguito, in concorso con altri, i lavori indicati nel capo A) in zona sismica, senza averne dato preavviso scritto allo sportello unico, omettendo il contestuale deposito dei progetti presso tale ufficio ed omettendo di attenersi ai criteri tecnico-descrittivi prescritti per le predette zone;

C) artt. 110 cod. pen. e 181, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004, per avere eseguito, in concorso con altri, le opere di cui al capo A), in zona sottoposta a vincolo senza l’autorizzazione prescritta dall’art. 146 del medesimo decreto;

D) art. 734 cod. pen., perché, in concorso con altri, mediante la realizzazione delle opere di cui al primo titolo di reato, alterava le bellezze naturali di località soggetta alla speciale protezione dell’autorità;

E) artt. 110 cod. pen., 13 e 30 della legge n. 394 del 1991, per avere realizzato, in concorso con altri, le opere di cui al capo A), senza il preventivo nulla osta dell’Ente Parco.

La Corte di appello di Salerno, con sentenza del 9 gennaio 2024, ha parzialmente riformato il provvedimento di primo grado, assolvendo l’imputato dal reato ascrittogli al capo D), perché il fatto non sussiste, e rideterminando la pena nei suoi confronti in mesi 3 e giorni 28 di arresto ed € 18.500,00 di ammenda.

2. Avverso la sentenza, l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

2.1. Con un primo motivo di doglianza, si denunciano la violazione degli artt. 10 e 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, del d.P.R. n. 31 del 2017, dell’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, dell’art. 13 della legge n. 34 del 1991 e del glossario dell’attività edilizia libera, allegato al d.m. del 2 marzo 2018, con connessi vizi motivazionali.

Si sostiene che le opere in contestazione rientrino nel novero degli interventi realizzabili in attività edilizia libera, essendo:

a) il casotto, adibito a ricovero attrezzi agricoli e/o deposito, privo dei requisiti di abitabilità perché di altezza ridotta, sfornito di autonomo valore di mercato, facilmente rimuovibile e di ridottissime dimensioni;

b) il pergolato, costituito da un manufatto leggero di dimensioni limitate, amovibile – giacché non stabilmente infisso al suolo, in quanto ad esso semplicemente bullonato – privo di qualsiasi elemento in muratura e di copertura, anche frontale, con indispensabili elementi per sorreggere le piante.

2.2. Con un secondo motivo di ricorso, si denunciano la violazione degli artt. 93 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione.

Trattandosi di un casotto in legno di 11 metri quadrati, con altezza, alla gronda, pari a circa 2,00 m, ed al colmo, pari a circa a 2,70 m, e di un pergolato ligneo occupante una superficie di circa 31,00 mq, entrambi bullonati al suolo, la normativa antisismica sarebbe stata erroneamente invocata, tenuto conto che, da più parti, sono ormai considerati interventi privi di rilevanza per la regolamentazione sismica, ai fini della pubblica incolumità, i manufatti leggeri, autonomi ad uso servizi, quali garage, depositi, chioschi, gazebo, ricoveri animali e locali consimili, ad un solo piano, aventi superficie coperta compresa tra 5 e 20 mq, altezza all’intersezione tra pareti verticali ed intradosso di copertura inferiore a 2,50 m ed altezza massima o di colmo inferiore a 4,30 m, realizzati con strutture in legno, metalliche o in materiali assimilabili.

2.3. Con una terza censura, si lamentano l’erronea applicazione della legge penale, nonché vizi della motivazione, con riferimento alla mancata dichiarazione di prescrizione dei reati in contestazione.

Secondo la prospettazione difensiva, i giudici di merito, nel ritenere che i lavori fossero stati appena ultimati sulla base della presenza di operai sul luogo in cui insistevano i manufatti abusivi, avrebbero erroneamente omesso di confrontarsi sia con la testimonianza del geometra (omissis), il quale aveva collocato la realizzazione delle opere ad almeno un anno prima del suo accesso ai luoghi, sia con la deposizione del Maresciallo (omissis), anch’essa non incompatibile con la retrodatazione prospettata dal (omissis), sia, infine, con la circostanza che la presenza dei muratori sul luogo di costruzione dei manufatti non esclude che gli stessi fossero databili al 2017.

Peraltro, rileva il ricorrente che la mancanza di elementi certi che possano inficiare la deposizione di altri testi, per il principio del favor rei, imporrebbe la collocazione temporale del presunto intervento abusivo – e l’inizio del connesso termine di prescrizione – se non al luglio 2017, al più alla fine dello stesso anno.

2.4. Con un quarto motivo di impugnazione, ci si duole della violazione dell’art. 131-bis cod. pen., dell’inosservanza di norme processuali, del travisamento dei fatti e della prova, di vizi della motivazione.

I giudici di merito avrebbero erroneamente escluso la particolare tenuità del fatto, mancando di considerare che:

a) le dimensioni e le caratteristiche costruttive di entrambe le opere sarebbero ben lontane da significativi impatti con l’ambiente, trattandosi di un pergolato e di un casotto di 11,00 metri, entrambi in legno, senza l’uso di tecniche costruttive particolari;

b) l’intervenuta assoluzione del ricorrente dal reato di cui all’art. 734 cod. pen., perché il fatto non sussiste, contrasterebbe, oltre che con la verificazione di un «danno, tutt’altro che trascurabile all’interesse protetto», con la «consistente alterazione del territorio», rilevata dai giudici di merito in base alla documentazione fotografica allegata al verbale di sequestro;

c) sussisterebbero ulteriori condizioni, concomitanti con lo stato di incensuratezza, espressamente dedotte dal ricorrente nell’atto di appello e completamente pretermesse dall’analisi della Corte.

Né, peraltro, potrebbe comprendersi, secondo il ricorrente, quale documentazione abbia visionato, nel caso di specie, il giudice di merito, considerato che i manufatti in esame non risultano mai essere stati sottoposti ad alcuna misura cautelare.

2.5. Con un quinto motivo di impugnazione, si denuncia l’inosservanza della legge penale, per avere i giudici di merito illegittimamente subordinato la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla rimozione delle opere abusive realizzate ed al ripristino dello stato dei luoghi.

La difesa segnala, al riguardo, l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale che, lungi dall’individuare qualsivoglia automatismo della subordinazione alla demolizione della sospensione della pena, obbliga invece il giudice a spiegare le ragioni della predetta subordinazione, alla luce del giudizio prognostico di cui all’art. 164 cod. pen. e della funzione special-preventiva dell’istituto, posto che, diversamente ragionando, si finirebbe per elidere ogni differenza tra l’ipotesi facoltativa di cui all’art. 165, primo comma, cod. pen., e quella obbligatoria di cui al secondo comma della medesima norma.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1. Il primo motivo – con il quale si sostiene che le opere in contestazione rientrino nel novero degli interventi realizzabili in attività edilizia libera – è inammissibile, poiché diretto a sollecitare una rivalutazione di merito, come tale preclusa in questa sede.

Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, infatti, l’epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (ex plurimis, Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Rv. 284556; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 11/02/2021, Rv. 280601).

La sentenza di appello, sulla base dei rilievi fotografici e del verbale di sopralluogo, chiarisce che, in totale assenza di permesso di costruire ed autorizzazione paesaggistica, l’imputato ha realizzato i manufatti contestati in rubrica con dimensioni e caratteristiche strutturali tali da non poter essere annoverati negli interventi di edilizia libera – non assoggettabili, cioè, a permesso di costruire – correttamente effettuando una valutazione di fatto che non può costituire oggetto di sindacato di legittimità.

1.1.1. Più nello specifico, i giudici di merito hanno ritenuto, con motivazione logica e coerente, di escludere che il casotto in legno potesse costituire un manufatto pertinenziale, in considerazione, non solo dell’autonoma volumetria del manufatto, pari a circa 26,00 metri quadrati, tale da determinare un’incidenza sul carico urbanistico, ma anche dell’autonomia rispetto all’opera principale: connotazioni strutturali, queste, che ne escludono, con evidenza, la riconducibilità al concetto di pertinenza, riferito dalla normativa urbanistica ad un’opera che abbia una propria individualità, sia oggettivamente preordinata a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittimamente edificato e sia sfornita di autonomo valore di mercato, ma che sia altresì insuscettibile di destinazione autonoma e che abbia dimensioni tanto ridotte da non incidere sul carico urbanistico mediante la creazione di un nuovo volume (ex plurimis, Sez. n. 12520 del 16/01/2020, non mass.; Sez. 3, n. 52835 del 14/07/2016, Rv. 268552; Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Rv. 253064).

1.1.2. In relazione al secondo manufatto, va osservato che il ricorrente ha omesso di confrontarsi con i puntuali rilievi spesi dal provvedimento in esame, il quale (pag. 6) esclude la riconducibilità del manufatto in rubrica al novero degli interventi di edilizia libera, in ragione delle stesse caratteristiche costruttive dell’opera, trattandosi di struttura composta da quattro colonnine in legno con sovrastante grigliato ligneo, occupante una superficie di 31,00 mq, ancorata al suolo, giacché bullonata su base cementizia, così da escludere il carattere di amovibilità delle impalcature destinate a sorreggere piante rampicanti, proprie dell’invocata edilizia libera.

Tale descrizione, secondo la valutazione della Corte d’appello, che deve essere qui condivisa, porta ad escludere che possa trattarsi, nella fattispecie, di un “pergolato”. Infatti la giurisprudenza di questa Corte ha preso in considerazione la nozione di “pergolato” per distinguerla dalla “tettoia”, osservando che la diversità strutturale delle due opere è rilevabile dal fatto che, mentre il pergolato costituisce una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore ed è destinato a creare ombra, la tettoia può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta l’abitabilità dell’immobile (Sez. 3, n. 23183 del 29/03/2018, non mass.; Sez. 3, n. 10534 del 25/2/2009, non mass.; Sez. 3, n. 19973 del 16/4/2008, Rv. 240049).

Tali definizioni sono state peraltro ribadite prendendo in considerazione le nozioni di “tettoia” e “pensilina”, rilevandone la sostanziale identità ricavabile dalle medesime finalità di arredo, riparo o protezione anche dagli agenti atmosferici e riconoscendo la necessità del permesso di costruire nei casi in cui sia da escludere la natura precaria o pertinenziale dell’intervento (Cass. Sez. F, n. 33267 del 15 luglio 2011, non mass.).

Anche la giurisprudenza amministrativa si è interrogata, in più occasioni, sulla nozione di “pergolato”, dando atto della mancanza di una definizione normativa e affermando che tale opera si caratterizza come manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni (Cons. Stato, Sez. 6, n. 306 del 25/01/2017; Cons. Stato, Sez. 6, n. 2134 del 27/04/2015; Cons. Stato, Sez. 4, n. 5409 del 29/09/2011).

Considerando tali caratteristiche, ha pure escluso che possa rientrare nella nozione di “pergolato” una struttura realizzata mediante pilastri e travi in legno di significative dimensioni, tali da renderla solida e robusta facendone presumere una permanenza prolungata nel tempo (Cons. Stato, Sez. 4, n. 4793 del 02/10/2008), diversamente da quanto ritenuto riguardo ad un manufatto precario, facilmente rimovibile, costituito da una intelaiatura in legno non infissa al pavimento né alla parete dell’immobile (cui è solo addossata), non chiusa in alcun lato, compreso quello di copertura (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. 6, 29/03/2024, n. 2973; Cons. Stato, Sez. 6, 22/09/2023, n. 8475; Cons. Stato, Sez. 5, n. 6193 del 07/11/2005).

A conclusioni identiche sono pervenute altre decisioni, che hanno definito il pergolato come manufatto in struttura leggera di legno che funge da sostegno per piante rampicanti o per teli, senza comportare un aumento di volumetria e senza determinare trasformazione edilizia ed urbanistica (ex plurimis, TAR Piemonte, Sez. 2, n. 974 del 05/12/2023; TAR Sardegna, Sez. 2, n. 355 del 19/05/2021; TAR Umbria, Sez. 1, n. 499 del 28/10/2010), tale da realizzare un’ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni, destinate ad un uso del tutto momentaneo (ex plurimis, TAR Campania, NA, Sez. 7, n. 3972 del 29/07/2013; TAR Lazio, LT, Sez. 1, n. 568 del 18/06/2013; TAR Campania, NA, Sez. 4, n. 1746 del 25/11/2011).

Dunque, la differenza tra “pergolato” e “tettoia” è stata individuata in termini analoghi a quelli indicati dalla giurisprudenza di questa Corte, facendo ricorso al linguaggio comune ed evidenziando che la tettoia si caratterizza come struttura pensile, addossata al muro o interamente sorretta da pilastri, di possibile maggiore consistenza e impatto visivo rispetto al pergolato, il quale è normalmente costituito da una serie parallela di pali collegati da un’intelaiatura leggera, idonea a sostenere piante rampicanti o a costituire struttura ombreggiante, senza chiusure laterali (Cons. Stato Sez. 6, n. 825, del 18/02/2015).

La convergenza tra la giurisprudenza di legittimità e quella amministrativa consente, dunque, di confermare il principio di diritto secondo il quale «si intende per pergolato una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore, realizzata con materiali leggeri, senza fondazioni, di modeste dimensioni e di facile rimozione, la cui finalità è quella di creare ombra mediante piante rampicanti o teli cui offrono sostegno».

Date tali premesse, risulta di tutta evidenza che la struttura realizzata dall’odierno ricorrente per come descritta nell’imputazione e sulla base delle caratteristiche costruttive accertate in fatto nel giudizio di merito, con apprezzamento non sindacabile in questa sede di legittimità, non poteva in alcun modo essere qualificata come pergolato, giacché – come visto – si trattava di una struttura composta da quattro colonne bullonata al suolo su base cementizia, che palesemente non rientra tra le opere di edilizia libera.

1.2. La seconda doglianza, riferita alla violazione degli artt. 93 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché a vizi della motivazione quanto all’applicabilità della normativa antisismica, è manifestamente infondata.

Va ricordato che questa Corte ha affermato che le disposizioni previste dagli artt. 83 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001 si applicano a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica – dunque, anche alle opere edili in legno – a prescindere dai materiali utilizzati e dalle relative strutture, nonché dalla natura precaria o permanente dell’intervento (Sez. 3, n. 4567 del 10/10/2017, dep. 2018, Rv. 273068; Sez. 3, n. 10205 del 18/01/2006, Rv. 233671).

Ciò sul rilievo che, ai fini della configurabilità dei reati previsti dalla disciplina in tema di costruzioni in zone sismiche, le norme dettate dagli artt. 93, 94 e 95, del d.P.R. n. 380 del 2001 si riferiscono a tutte le costruzioni, sopraelevazioni e riparazioni edili, senza considerazione del materiale con cui vengono realizzate (Sez. 3, n. 9126 del 16/11/2016, Rv. 269303; Sez. 3, n. 48950 del 04/11/2015, Rv. 266033; Sez. 3, n. 34604 del 17/06/2010, Rv. 248330).

Del resto, qualsiasi opera edile, ad eccezione di quelle di semplice manutenzione ordinaria, ove eseguita in zona sismica, deve essere preventivamente denunciata al competente ufficio, al fine di consentire i previsti controlli, configurandosi in difetto il reato di cui all’art. 95 del citato decreto (Sez. 3, n. 45958 del 26/10/2005, Rv. 232649; Sez. 3, n. 28514 del 29/05/2007, Rv. 237656); il che, in altri termini, equivale a dire che sussiste la contravvenzione antisismica nel caso di opere realizzate nelle zone sismiche senza adempimento dell’obbligo di denuncia e di presentazione dei progetti allo sportello unico e senza la preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione, a nulla rilevando la natura dei materiali e delle relative strutture, ovvero la natura precaria dell’intervento (ex plurimis, Sez. 3, n. 30224 del 21/06/2011, Rv. 251284).

Correttamente, dunque, il ricorrente è stato ritenuto responsabile per reati in oggetto, in quanto, nella qualità di proprietario-committente dei lavori, eseguiva opere edilizie in zona sismica senza adempiere al preventivo obbligo di denuncia e di presentazione dei progetti alle autorità competenti e senza la preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico regionale.

1.3. Il terzo motivo di ricorso, con il quale si lamentano l’erronea applicazione della legge penale sostanziale e processuale, nonché i relativi vizi della motivazione, con riferimento alla mancata dichiarazione della prescrizione dei reati in contestazione, è inammissibile, giacché teso a sovrapporre un’arbitraria interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai giudici di merito, come tale preclusa al sindacato di legittimità.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla prospettazione difensiva, la Corte di merito ha fornito una motivazione lineare e coerente in ordine agli elementi probatori relativi alla collocazione temporale della realizzazione delle opere abusive in data antecedente e prossima al 5 luglio 2018, giorno del sopralluogo, evidenziando come il geometra (omissis) (omissis), lungi dall’aver affermato – come pure sostenuto dal ricorrente – che l’ultimazione delle opere dovesse farsi risalire al luglio 2017, avesse, all’opposto, indicato come epoca della realizzazione la data del 30 giugno 2018, per la presenza di operai all’atto del sopralluogo, ritenendo soltanto plausibile che tali opere fossero state realizzate nel corso dell’ultimo anno, sulla base della totale assenza di segni di usura.

Peraltro, come già correttamente rilevato dalla Corte territoriale, in tema di cause di estinzione del reato, il principio del favor rei, in base al quale, nel dubbio sulla data di decorrenza del termine di prescrizione, il momento inziale deve essere fissato in modo che risulti più favorevole all’imputato, opera solo in caso di incertezza assoluta sulla data di commissione del reato o, comunque, sull’inizio del termine di prescrizione, ma non quando sia possibile eliminare tale incertezza, anche attraverso deduzioni logiche (ex multis, Sez. 3, n. 7245 del 12/01/2024, Rv. 285953; Sez. 3, n. 4139 del 13/12/2017, dep. 2018, Rv. 272076); di talché, nel caso di specie, correttamente i giudici di merito hanno escluso l’invocata retrodatazione, perché la presenza di operai sul luogo in cui insistevano i manufatti abusivi consentiva di ritenere, sul piano logico, che all’atto del sopralluogo i lavori fossero stati appena ultimati.

1.4. La quarta doglianza, riferita alla violazione dell’art. 131-bis cod. pen., nonché ai connessi vizi di motivazione, è anch’essa inammissibile.

La Corte territoriale ha correttamente rilevato la consistente alterazione del territorio, in zona sismica e di valore paesaggistico, determinata dalla realizzazione di entrambe le opere in contestazione, aventi dimensioni e caratteristiche costruttive tali da comportare un danno che non consente di rinvenire la particolare tenuità dell’offesa.

La motivazione, sul punto, è pienamente logica, come tale non censurabile nel giudizio di legittimità, avendo i giudici di merito specificamente indicato le ragioni per le quali il pericolo per l’ambiente e la sua compromissione sono stati considerati non esigui, valorizzando, nello specifico, la pluralità di vincoli violati con i manufatti in contestazione e l’assenza di qualsivoglia condotta riparatoria.

1.5. Il quinto motivo di ricorso, con il quale si lamenta l’illegittima subordinazione della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla rimozione delle opere abusive realizzate ed al ripristino dello stato dei luoghi, è inammissibile. La difesa, dietro l’apparenza di una violazione di legge, mira, in realtà, a far valere un vizio motivazionale.

Comunque, nel caso di specie, i giudici di merito, nel formulare il giudizio prognostico di cui all’art. 164, primo comma, cod. pen., hanno indicato le ragioni per le quali ritenere necessario porre l’esecuzione dell’ordine di demolizione come condizione per la fruizione del beneficio di cui all’art. 163 cod. pen.

A pag. 9 della sentenza si evidenzia, infatti, come il ricorrente non si fosse ancora attivato per demolire i manufatti abusivi, nonostante la loro asserita facile amovibilità: comportamento, questo, che giustifica logicamente la disposta subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

2. Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 12/09/2024.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.    

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