Pesca professionale con un natante a remi: il falso contrassegno identificativo dell’imbarcazione vale una condanna (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 10 ottobre 2022, n. 38092).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. GAI Emanuela – Rel. Consigliere –

Dott. MAGRO Maria Beatrice – Consigliere –

Dott. CORBO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Tindaro, nato a Gioiosa Marea il 24/07/19xx;

avverso la sentenza del 18/09/2020 della Corte d’appello di Messina;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Emanuela Gai;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Stefano Tocci, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

letta la memoria del difensore che insiste nell’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale di Patti con la quale l’imputato era stato condannato, alla pena di mesi due di reclusione, in relazione al reato di cui all’art. 1131 comma 1, cod. nav., perché al fine di procurarsi un vantaggio consistito nell’attività di pesca con natante da diporto a remi, apponeva sulla fiancata sinistra del predetto natante, un contrassegno avente n. 7MZ1098, numero identificativo non associato a nessuna unità di pesca iscritta nei registri Navi Minori e Galleggianti tenuti dalla Capitaneria di Porto. Accertato il 16/04/2015.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo denuncia il vizio di motivazione in relazione alla mancata disamina dei motivi di appello con i quali si deduceva l’insussistenza del reato.

Secondo il ricorrente la norma incriminatrice di cui all’art. 1131 cod. nav. non troverebbe applicazione nel caso in esame giacché non si sarebbe in presenza di una “nave”, bensì di un “natante” secondo la legge n. 498 del 1994, per il quale non è prevista l’apposizione del numero di immatricolazione.

L’imbarcazione utilizzata per la pesca non professionale rientra nella categoria dei natanti e non essendo “nave” non sarebbe applicabile la fattispecie incriminatrice. Il natante, infatti, non avrebbe obbligo di segni identificativi. Neppure sarebbe configurabile alcun vantaggio, neppure argomentato dal giudice del merito.

2.2. Con il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione in relazione alla carenza di motivazione sulla sussistenza del fatto di reato e del vantaggio perseguito dall’imputato, esprimendosi dubitativamente, la corte territoriale, su una questione non oggetto di contestazione ovvero se l’imputato esercitasse o meno la pesca professionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso non mostra ragioni di fondatezza e va, pertanto, rigettato.

In relazione ai motivi di doglianza, che possono essere trattati congiuntamente, osserva, la Corte, che possono essere esaminati prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e ciò in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni, che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente.

Allorché infatti le sentenze di primo e secondo grado concordino, come in specie, nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 5, n. 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303), cui occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d’appello (Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, Scardaccione, Rv. 197250).

5. Tutto ciò premesso, risulta accertato in punto di fatto non qui rivisitabile, che la mattina del 16 aprile 2015, l’imputato venne fermato in mare mentre, a bordo dell’imbarcazione indicata in imputazione, recuperava delle reti da pesca. L’imbarcazione recava, sulla fiancata di sinistra, un contrassegno identificativo di un’unità da pesca che, tuttavia, era contraffatto in quanto non associato a nessuna unità da pesca (in particolare il numero progressivo 1098 non era stato ancora raggiunto nell’iscrizione nei registri minori delle unità da pesca, la sigla MZ1098 era appartenente ad altra unità da pesca di proprietà di altri dislocata in altro luogo, la sigla 7 MZ 1098 non corrispondeva a nessuna unità da pesca).

L’imputato, infine, aveva dichiarato di avere ricevuto in dono da un cugino il natante medesimo che utilizzava per la pesca professionale non riuscendo a vivere del solo lavoro di imprenditore edile.

Infine, l’imputato veniva sanzionato ai sensi dell’art. 138 del d.P.R. 1639/1968 stante l’esercizio della pesca professionale senza l’osservanza dei requisiti di legge.

6. L’art. 1131 cod. nav. punisce chiunque al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, appone sulla nave o sull’aeromobile un falso contrassegno d’individuazione è punito con la reclusione fino a un anno. La pena è della reclusione fino a due anni e della multa fino a lire un milione, se il colpevole adopera le carte di bordo della nave o dell’aeromobile di cui ha usurpato il contrassegno.

Accertata l’apposizione di un contrassegno contraffatto, il ricorrente censura la decisione sostenendo che il fatto non sussiste poiché l’imbarcazione utilizzata dall’imputato rientrerebbe nella categoria dei “natanti” per i quali il Codice della nautica del diporto, D.Ivo 18 luglio 2005, n. 171, e succ. mod., che ha sostituito la legge n. 498 del 1994, non prevede che i natanti debbano avere il contrassegno di immatricolazione.

Tale prospettazione non è fondata.

Va, in primo luogo, evidenziato che, per espressa previsione legislativa (art. 1 del D.Ivo 18 luglio 2005, n. 171), l’ambito di applicazione delle disposizioni di legge è circoscritta alla navigazione da diporto come delineato dall’art. 1 e segnatamente:

1. Le disposizioni del presente codice si applicano alla navigazione da diporto esercitata, per fini esclusivamente lusori o anche commerciali, mediante le unità di cui all’articolo 3 del presente codice, nonché alle navi di cui all’articolo 3 della legge 8 luglio 2003, n. 172. 1-bis. Le disposizioni del presente codice si applicano alle unità di cui all’articolo 3 che navigano in acque marittime e interne, fermo restando quanto previsto dall’articolo 3 della legge 8 luglio 2003, n. 172, e dal decreto- legge 30 dicembre 1997, n. 457, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30.

2. Ai fini del presente codice si intende per navigazione da diporto quella effettuata in acque marittime ed interne a scopi sportivi o ricreativi e senza fine di lucro, nonché quella esercitata a scopi commerciali, anche mediante le navi di cui all’articolo 3 della legge 8 luglio 2003, n. 172, ferma restando la disciplina ivi prevista.

3. Per quanto non previsto dal presente codice, in materia di navigazione da diporto si applicano le leggi, i regolamenti e gli usi di riferimento ovvero, in mancanza, le disposizioni del codice della navigazione, approvato con regio decreto 30 marzo 1942, n. 327, e le relative norme attuative.

Ai fini dell’applicazione delle norme del codice della navigazione, le imbarcazioni da diporto sono equiparate alle navi ed ai galleggianti di stazza lorda non superiore alle dieci tonnellate, se a propulsione meccanica, ed alle venticinque tonnellate, in ogni altro caso, anche se l’imbarcazione supera detta stazza, fino al limite di ventiquattro.”

Nei confronti dell’imputato, che esercitava l’attività di pesca professionale, come ammesso dal predetto per far fonte alle esigenze di vita, non si applicano le disposizioni sopra citate.

È ben vero che l’imbarcazione di m. 3,5 a remi rientra nella categoria dei natanti, come delineata dal Codice del diporto nautico per la quale non è prevista l’apposizione del contrassegno di immatricolazione, non di meno l’esclusione dell’apposizione del contrassegno non conduce, come ritiene il difensore, a escludere il reato di cui all’art. 1131 cod. nav.

La questione di diritto attiene all’applicazione della disposizione di cui all’art. 1131 cod. nav. che punisce l’apposizione del falso contrassegno alla “nave”.

Ai sensi dell’art. 136 cod. nav. “Per nave si intende qualsiasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto, o ad altro scopo. Le navi si distinguono in maggiori e minori. Sono maggiori le navi alturiere; sono minori le navi costiere, quelle del servizio marittimo dei porti e le navi addette alla navigazione interna. Le disposizioni che riguardano le navi si applicano, in quanto non sia diversamente disposto, anche ai galleggianti mobili adibiti a qualsiasi servizio attinente alla navigazione o al traffico in acque marittime o interne“.

Consegue che, ai fini di applicazione delle disposizioni del codice della navigazione, l’imbarcazione a remi usata dall’imputato è “nave” secondo la disposizione di cui all’art. 136 cod. nav.

Del resto, lo stesso Codice del diporto conferma tale interpretazione là dove prevede che “Ai fini dell’applicazione delle norme del codice della navigazione, le imbarcazioni da diporto sono equiparate alle navi ed ai galleggianti di stazza lorda non superiore alle dieci tonnellate, se a propulsione meccanica, ed alle venticinque tonnellate, in ogni altro caso, anche se l’imbarcazione supera detta stazza, fino al limite di ventiquattro”.

Stabilito che, per effetto del combinato disposto di cui agli artt. 136 e 1131 cod. nav., l’imbarcazione in questione rientra nelle “navi”, la questione interpretativa non è ancora risolta.

L’art. 313 secondo comma del reg. di esecuzione del cod. nav. prevede che le unità da pesca devono essere iscritte nei registri della Navi Minori e Galleggianti tenuti presso le Capitaneria di Porto.

Da cui la conclusione che l’apposizione di un falso contrassegno all’unità da pesca, a prescindere dalle dimensioni che riguardano unicamente il diverso registro di iscrizione, integra il reato contestato trattandosi di falso contrassegno apposto su una “nave” così definita dall’art. 136 cod. nav.

Come osservato dai giudici del merito la circostanza che quell’imbarcazione, adibita alla pesca professionale (l’imputato è stato sanzionato per la violazione della disposizione che stabilisce i requisiti per l’attività di pesca professionale) potesse, in altro contesto, ovvero al di fuori dell’utilizzo per cui era stata impiegata all’atto del controllo, essere considerata natante, non esclude la rilevanza penale del fatto.

Mentre, sotto altro profilo, la circostanza che l’imputato fosse consapevole di essere passibile di controlli durante lo svolgimento dell’attività di pesca professionale, e, per tale ragione, avesse dotato il mezzo impiegato di falso contrassegno, così da eludere le disposizioni sulla registrazione dei mezzi impiegati, costituisce il vantaggio richiesto dalla norma incriminatrice.

Al rigetto del ricorso consegue l’obbligo del pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 24/06/2022.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.