Piccola mancanza del tappetino bituminoso lungo la strada comunale: niente risarcimento all’automobilista danneggiato (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 29 novembre 2022, n. 35032).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11670/2021R.G. proposto da

(OMISSIS) Massimo, rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni (OMISSIS), con domicilio eletto in Roma, Via (OMISSIS), n. 18, presso lo studio dell’Avv. Guido (OMISSIS);

–ricorrente–

contro

Comune di Patti, rappresentato e difeso dall’Avv. Loredana (OMISSIS);

–controricorrente–

avverso la sentenza del Tribunale di Patti n. 184 /2021, depositata il 2 marzo 2021;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 novembre 2022 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

Rilevato che:

il Tribunale di Patti ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda risarcitoria, proposta da Massimo (OMISSIS) contro il Comune di Patti, per i danni subiti dalla propria autovettura a seguito del sinistro occorso in data 1° gennaio 2016 , mentre percorreva una strada comunale, asseritamente a causa di una buca ivi presente;

ha infatti condiviso — sulla scorta del rinnovato autonomo esame «della documentazione fotografica in atti … nonché (delle) dichiarazioni rese dai testi escussi … ((OMISSIS) Carmelo, (OMISSIS) Maria, (OMISSIS) Tindaro)» — la valutazione del primo giudice, riportata testualmente, secondo cui la buca in questione era un «semplice ammanco del tappetino bituminoso di pochissima profondità … perfettamente visibile alla luce dei fari» e, pertanto, «non vi è dubbio che l’attore, usando la dovuta diligenza, avrebbe potuto evitare il sinistro verificatosi per sua colpa ed imperizia dal momento che la non meglio definita buca era perfettamente visibile per le dimensioni trattandosi, tra l’altro, di semplice disconnessione o irregolarità del fondo stradale tale da non poter arrecare alcun danno …»;

ha in particolare ritenuto «congruamente motivata la decisione di primo grado posto che la prevedibilità del pericolo, individuabile con l’uso dell’ordinaria diligenza, è sufficiente ad escludere la responsabilità del custode anche ai sensi dell’art. 2051 c.c.»;

ha poi soggiunto che la ricorrenza del caso fortuito si riverbera necessariamente pure sulla dedotta responsabilità ex art. 2043 c.c., che viene anch’essa elisa in quanto «il “fortuito”, dovuto per imprudenza dello stesso danneggiato e, quindi, estraneo alla sfera comportamentale del danneggiante, si palesa, di per sé, quale causa efficiente da sola capace di determinare l’evento dannoso e, quindi, capace di assorbire interamente il rapporto eziologico materiale ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p.»;

avverso tale sentenza Massimo (OMISSIS) propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste l’ente intimato depositando controricorso;

essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte;

il ricorrente ha depositato memoria;

considerato che:

con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., «falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ. – sotto un primo profilo – omesso esame di un fatto decisivo»;

lamenta che la sentenza impugnata si pone in contrasto con il principio secondo cui, a norma dell’art. 2051 cod. civ., il danneggiato che agisca per il riconoscimento dei danni subiti mentre circola sulla pubblica via è tenuto alla dimostrazione dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, ma non anche della prevedibilità e non evitabilità dell’insidia o del trabocchetto, né della condotta omissiva o commissiva del custode, gravando su quest’ultimo la prova di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale potesse presentare una situazione di pericolo occulto;

sostiene che indipendentemente da qualsivoglia valutazione circa la visibilità o meno dell’ostacolo, e/o circa l’entità dello stesso, il fatto che questi abbia comunque determinato il danno e che il custode non abbia fatto alcunché per evitarlo basta a determinare la cassazione della sentenza;

con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., «falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. – sotto un secondo profilo»;

afferma che la circostanza della visibilità della buca (peraltro pacificamente smentita da tutti i testimoni), se può valere ad integrare una sorta di condotta colposa del ricorrente, non potrebbe mai ex se bastare ad integrare il caso fortuito;

con il terzo motivo il ricorrente denuncia «falsa applicazione dell’art. 2051 c.c.- sotto un terzo profilo (subordinato); art. 360 n° 5 (omissione di un fatto decisivo)» (così testualmente nell’intestazione);

lamenta che la Corte d’appello ha completamente omesso di valutare la concorrente responsabilità del fatto del custode, dedotta in subordine;

richiama il principio affermato da Cass. n. 26524 del 2020, secondo cui «in ambito di responsabilità da cose in custodia, ex art. 2051 c.c., nel caso di caduta di pedone in una buca stradale non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima (la quale potrà invece assumere rilevanza, ai fini della riduzione o dell’esclusione del risarcimento, ai sensi dell’art. 1227, 10 o 2° co. c.c.), richiedendosi, per l’integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno»;

con il quarto motivo il ricorrente denuncia, infine, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., « falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. – omesso esame di un fatto decisivo»;

lamenta che il Tribunale ha omesso di esaminare la deposizione del teste (OMISSIS), limitandosi ad esaminare l’escussione dei tre dipendenti del Comune di Patti;

in disparte il rilievo della gravemente carente esposizione del fatto, già di per sé motivo di inammissibilità del ricorso ex art. 366 n. 3 cod. proc. civ. — omettendo il ricorrente di riferire alcunché in ordine alla dinamica del sinistro, alle sue conseguenze ed al modo in cui le stesse si sarebbero determinate — una valutazione di inammissibilità deve comunque esprimersi con riferimento a tutt’e quattro i motivi, per l’assorbente ragione che si va ad esporre e che, trasversalmente riguardandoli, ne consente un esame congiunto; con nessuno di detti motivi è infatti censurata l’autonoma ratio decidendi rappresentata dall’affermazione (leggibile a pag. 3 siccome testualmente riportata dalla sentenza di primo grado ed implicitamente confermata nelle successive cinque righe di fine pag. 3 e inizio pag. 4) secondo cui si è nella specie trattato di «semplice disconnessione o irregolarità del fondo stradale tale da non poter arrecare alcun danno» (enfasi aggiunta): tale inciso esprime evidentemente il convincimento della insussistenza di nesso causale tra la cosa in custodia ed il lamentato danno al mezzo;

le censure svolte nei motivi trascurano tale passaggio motivazionale di per sé dirimente e, postulando senza fondamento un contrario accertamento sul punto, si concentrano sui diversi e ultronei argomenti, pur diffusamente svolti in sentenza, relativi alla ritenuta configurabilità di caso fortuito nella condotta imprudente del danneggiato;

la memoria che, come detto, è stata depositata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 380-bis, comma secondo, cod. proc. civ., non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi;

il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;

alla soccombenza segue la condanna del ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del presente procedimento, liquidate come da dispositivo;

va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13;

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il 15 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.