L A C O R T E S U P R E M A D I C A S S A Z I O N E
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSSANA MANCINO – Presidente –
Dott. (OMISSIS) (OMISSIS) – Consigliere –
Dott. ANGELO CERULO – Rel. Consigliere –
Dott. (OMISSIS) (OMISSIS) – Consigliere –
Dott. (OMISSIS) (OMISSIS) – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 21137/2021 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), rappresentato e difeso, per procura conferita in calce al ricorso per cassazione, dagli avvocati (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS), in ROMA, (OMISSIS) (OMISSIS), 9;
– ricorrente –
contro
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (INPS), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, in forza di procura conferita in calce al controricorso, dagli avvocati (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), con domicilio eletto in ROMA, VIA CESARE BECCARIA, 29, presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza n. 384 del 2021 della CORTE D’APPELLO DI CATANIA, depositata il 31 maggio 2021 (R.G.N. 1162/2018).
Udita la relazione della causa, svolta nella camera di consiglio del 14 aprile2023 dal Consigliere dott. Angelo Cerulo.
FATTI DI CAUSA
1.– Il signor (omissis) (omissis), pilota d’aereo alle dipendenze di (omissis) s.p.a., ha convenuto in giudizio l’INPS, per chiedere il rigetto della richiesta di restituzione degl’importi ricevuti a titolo di trattamento d’integrazione salariale.
Tale richiesta trarrebbe origine dalla sopravvenuta decadenza: a dire dell’Istituto, il pilota non avrebbe comunicato preventivamente l’attività svolta nel periodo dal 12 ottobre 2010 al 30 giugno 2011 per la compagnia aerea Air (omissis).
Il ricorrente ha eccepito, in via preliminare, la prescrizione del diritto dell’Istituto di ripetere le somme versate e, nel merito, ha replicato che l’attività di pilota è stata prestata per mantenere il brevetto di volo.
Il Tribunale di Catania ha accolto il ricorso, in base al dirimente rilievo della prescrizione quinquennale del diritto relativo ai ratei degli anni 2008-2012: si controverte sul diritto del lavoratore di fruire di una prestazione e tale diritto soggiace alla prescrizione quinquennale, non a quella decennale delle azioni di restituzione dell’indebito.
2.– L’INPS, nell’ appellare la pronuncia di primo grado, ha censurato l’applicazione del termine quinquennale di prescrizione, in luogo di quello decennale, riguardante le azioni di ripetizione dell’indebito, e ha ribadito le difese di merito in ordine alla fondatezza della richiesta di restituzione, contestando le argomentazioni della parte appellata.
3.– Con sentenza n. 384 del 2021, depositata il 31 maggio 2021, la Corte d’appello di Catania ha accolto il gravame dell’INPS e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda del signor (omissis).
3.1.– La Corte distrettuale, in primo luogo, ha disatteso l’eccezione d’inammissibilità dell’appello, in quanto tardivo. La notificazione della sentenza presso la sede dell’Istituto, e non presso il domicilio eletto del procuratore costituito, è inidonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione.
3.2.– La sentenza d’appello, quanto al merito, reputa fondate le censure in punto di prescrizione.
L’ordinaria azione di ripetizione dell’indebito è assoggettata alla prescrizione decennale, e non già a quella quinquennale applicata dal giudice di primo grado. Il relativo termine decorre da ciascuna delle erogazioni indebite. Non viene in rilievo, pertanto, il diritto del lavoratore di beneficiare d’un determinato trattamento, ma il diritto dell’Istituto di ripetere le somme indebitamente corrisposte.
3.3.– La Corte territoriale, a tale riguardo, richiama le enunciazioni di principio di Cass., sez. lav., 9 febbraio 2021, n. 3116,e osserva che, al fine di evitare la decadenza dal diritto all’integrazione salariale, è necessario dare previa comunicazione dell’attività svolta presso un altro datore di lavoro o presentare autocertificazione.
In tal modo, l’INPS può verificare la sussistenza delle condizioni che legittimano l’accesso alle prestazioni e si scongiura il rischio di «indebiti arricchimenti a scapito delle finanze dello Stato». La comunicazione concerne ogni attività lavorativa idonea a produrre reddito, a prescindere dalla concreta tipologia negoziale prescelta e dall’effettiva remuneratività.
Nel caso di specie, il pilota ha lavorato per Air Mauritius nel periodo dal 12 ottobre 2010 al 30 giugno 2011 e ha percepito una retribuzione, senza dare alcuna comunicazione riguardo all’attività svolta. Legittima, pertanto, è la decadenza dal beneficio per l’intero periodo dal 2008 all’ottobre 2012.
4.– Il signor (omissis) (omissis) impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Catania, con ricorso notificato il 23 luglio 2021 e illustrato da memoria.
5.– L’INPS resiste con controricorso, notificato il 26 agosto 2021, e deposita memoria illustrativa.
6.– La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio dinanzi a questa sezione, ai sensi dell’art. 380 – bis .1, primo comma, cod. proc. civ., nel testo modificato dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149.
7.– Il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte.
8.– Il collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi alla camera di consiglio (art. 380-bis.1., secondo comma, cod. proc. civ.).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.– Il ricorso per cassazione del signor (omissis) (omissis) procede per sette motivi.
1.1.– Con il primo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 325 cod. proc. civ., in relazione all’art. 170 cod. proc. civ.
La notifica, pur eseguita in luogo diverso (Catania, Viale Libertà) dal domicilio eletto (Catania, Piazza della Repubblica), sarebbe comunque indirizzata al procuratore domiciliatario e l’INPS nessuna obiezione avrebbe sollevato a tale riguardo.
1.2.– Con il secondo motivo (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), il ricorrente allega omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
La notificazione della sentenza, pur compiuta presso la sede dell’INPS, sarebbe diretta al procuratore e al difensore di primo grado dell’INPS: il riferimento personale (al procuratore domiciliatario, correttamente individuato) prevarrebbe su quello topografico della sede in cui la notificazione sarebbe stata eseguita.
1.3.– Con la terza censura (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente prospetta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 437, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 2909 cod. civ.
La Corte territoriale, pur tenuta all’esercizio dei poteri istruttori officiosi in ragione del «rilievo pubblicistico del giudicato» (pagina 12 del ricorso), avrebbe omesso ogni indagine sulla relata di notifica della sentenza di primo grado e avrebbe valorizzato soltanto l’attestazione dell’ufficiale giudiziario, prodotta dall’INPS con la memoria integrativa.
1.4.– Con la quarta critica (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), il ricorrente si duole della violazione e della falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto la sentenza impugnata avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione di giudicato, ai sensi dell’art. 652 cod. proc. pen., e sull’eccezione di decadenza di cui all’art. 52, comma 2, della legge9 marzo 1989, n. 88 , così come interpretato dalla legge 30 dicembre 1991, n. 412.
1.5.– Con la quinta doglianza (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), il ricorrente censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti.
La sentenza impugnata non avrebbe considerato che, in base alla Circolare INPS n. 73 dell’11 luglio 2008,l’obbligo d’invio della autocertificazione discende solo da una specifica richiesta dell’INPS, richiesta che, nel caso di specie, non sarebbe mai stata formulata.
1.6.– Con il sesto motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente si duole della violazione e della falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione agli artt. 416 e 434 cod. proc. civ. e alla Circolare INPS n. 73 dell’11 luglio 2008, e degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. nell’interpretazione della Circolare INPS n. 94 dell’8 luglio 2011.
Avrebbe errato la sentenza d’appello nell’addebitare al ricorrente la mancata presentazione dell’autocertificazione, senza rilevare che il provvedimento di decadenza ha fatto espresso richiamo alla mancata comunicazione preventiva, fattispecie diversa dall’omesso invio dell’autocertificazione.
Peraltro, la Direzione Provinciale del Lavoro non avrebbe richiesto alcuna autocertificazione e la decadenza potrebbe derivare soltanto dall’inottemperanza alla richiesta di presentare l’autocertificazione. Erroneo sarebbe il riferimento alla Circolare INPS n. 94 dell’8 luglio 2011.
Tale circolare sarebbe ratione temporis inapplicabile e comunque contemplerebbe la mera sospensione del trattamento, non la decadenza.
1.7.– Con il settimo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente lamenta, infine, violazione e falsa applicazione degli artt. 434 e 437 cod. proc. civ., in relazione all’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
L’Istituto, nel dichiarare il ricorrente decaduto dal trattamento d’integrazione salariale, avrebbe richiamato soltanto l’omessa comunicazione preventiva e non avrebbe potuto, in corso di giudizio, integrare la motivazione con il riferimento all’omesso invio dell’autocertificazione.
2.– Hanno priorità logica e possono essere esaminati congiuntamente, per l’intima connessione che li lega, i primi tre motivi.
Essi investono il tema della definitività della sentenza di primo grado, in conseguenza del decorso del termine breve sancito per l’impugnazione dall’art. 325 cod. proc. civ.
La disamina di tali motivi non è preclusa dalla pendenza di un giudizio di revocazione contro la sentenza impugnata in questa sede e dal fatto che in tale giudizio si dibatta proprio sul la definitività della pronuncia di primo grado, per infruttuoso decorso del termine breve (cfr., su tale sopravvenienza, pagina 2 della memoria illustrativa di parte ricorrente).
L’oggetto dei due giudizi non è il medesimo: l’odierno giudizio verte sugli errores in procedendo, in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello di Catania, l’istanza di revocazione è diretta a emendare la svista percettiva che avrebbe sviato i giudici del gravame nell’esame degli atti di causa.
Peraltro, l’ordinamento, al fine di raccordare i due giudizi, non contempla l’irrituale strumento del rinvio del procedimento dinanzi a questa Corte, ma demanda al giudice davanti a cui è proposta la revocazione, su istanza di parte, il potere di adottare i provvedimenti dell’art. 398, ultimo comma, secondo periodo, cod. proc. civ., allorché riscontri i presupposti tipizzati dalla legge.
3.– I motivi devono essere disattesi.
3.1.– Non è controverso, in punto di fatto, che la sentenza di primo grado sia stata notificata al procuratore non presso il domicilio eletto, in Catania, Piazza della Repubblica, ma presso la sede INPS di Catania, Viale Libertà.
La parte ricorrente rileva che la notifica è avvenuta in un luogo diverso per errore dell’ufficiale giudiziario e che era comunque indirizzata al procuratore domiciliatario. L’atto sarebbe stato ricevuto da un’impiegata incaricata di ricevere la notifica e l’INPS, peraltro, non avrebbe mai mosso obiezioni di sorta.
3.2.– Perché possa operare il termine breve per l’impugnazione, con le rilevanti implicazioni che ne scaturiscono in ordine al formarsi del giudicato, è necessario che la fattispecie della notifica si perfezioni in conformità ai requisiti tassativi delineati dal codice di rito.
Si deve ribadire che la notifica effettuata in un luogo diverso da quello indicato in sede di elezione di domicilio non è idonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione previsto dall’art. 325 cod. proc. civ., in ragione del termine ridotto, suscettibile d’incidere sul diritto di difesa, con conseguente prevalenza del dato topografico su quello personale (Cass., sez. VI-L, 25 giugno 2018, n. 16663).
È ben vero che questa Corte ha reputato idonea, ai fini del decorso del termine breve, anche la notifica in luogo diverso dal domicilio eletto, ma nell’ipotesi peculiare in cui la notifica comunque sia stata eseguita a mani proprie del procuratore costituito (Cass., sez. II, 21 luglio 2015, n. 15326; di recente, Cass., S.U., 19 marzo 2020, n. 7454).
Tale ipotesi, tuttavia, non si ravvisa nel caso di specie, in quanto la notificazione non è stata eseguita a mani proprie del procuratore domiciliatario.
La discrepanza tra il luogo dell’effettiva notifica e il domicilio eletto e la circostanza che la notifica non si a stata eseguita a mani proprie del destinatario precludono, in ultima analisi, l’operatività del termine breve per l’impugnazione, in quanto impediscono al professionista di fruire appieno del più serrato termine stabilito dall’art. 325 cod. proc. civ. alfine d’instaurare il giudizio d’impugnazione.
È ininfluente l’asserita riconducibilità dell’irregolarità a un errore dell’ufficiale giudiziario e non giova alla parte ricorrente nemmeno rammentare la mancanza di obiezioni in fase stragiudiziale, circostanza priva d’ogni rilievo nella valutazione oggettiva della regolarità del procedimento di notifica.
Né rileva che la notifica sia stata comunque eseguita in una sede riferibile all’INPS: in presenza di un ente dislocato in più sedi, l’elezione di domicilio risponde proprio alla finalità d’individuare il luogo deputato alla ricezione della notifica, ai fini del decorso del termine breve, in quello che disponga delle appropriate risorse organizzative.
4.– Inammissibile, invece, è il quarto mezzo, per le per suasive ragioni esposte dall’INPS nel controricorso (pagine 9 e 10) e nella memoria illustrativa (pagina 2).
4.1.– Si può configurare la decisione implicita d’una questione, in virtù dell’incompatibile soluzione di un’altra questione, che presupponga, come necessario antecedente logico-giuridico, l’irrilevanza o l’infondatezza della prima questione.
Ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di un’eccezione può essere denunciata mediante ricorso per cassazione non per omessa pronuncia e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento, ma per violazione di legge o per assoluto difetto di motivazione.
È necessario, tuttavia, che la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e sia stata utilmente censurata, in modo da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (di recente, Cass., sez. III, 8 maggio 2023, n. 12131).
4.2.– Il rigetto della domanda del (omissis) implica, in maniera indefettibile, la declaratoria d’infondatezza delle eccezioni preliminari formulate dall’odierno ricorrente in punto di res iudicata e di decadenza dell’Istituto.
4.3.– Irrituale, pertanto, è la deduzione del vizio di omessa pronuncia.
Né il ricorrente adduce argomenti risolutivi per dimostrare che il giudicato penale dispieghi efficacia nell’autonomo giudizio civile e che si possa dire compiuta, inoltre, la decadenza eccepita anche in sede di legittimità, senza una esaustiva specificazione delle relative ragioni di fatto e di diritto.
5.– Possono essere esaminati congiuntamente il quinto, il sesto e il settimo motivo di ricorso, che contestano, sotto svariati profili, tra loro correlati, la pretesa restitutoria della parte controricorrente.
Essi sono in parte inammissibili e in parte infondati, per le ragioni di seguito precisate.
6.– L’ art. 8, comma 5, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio 1988, n. 160, commina la decadenza dal trattamento d’integrazione salariale nell’ipotesi in cui non sia data la preventiva comunicazione dell’attività lavorativa alla sede provinciale dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
Tale comunicazione consente all’Istituto la verifica del la compatibilità dell’attività da svolgere «con il perdurare del rapporto di lavoro presupposto dell’integrazione salariale» (Cass., sez. lav., 17 ottobre 2017, n. 24455, punto 3 dei “Motivi della decisione”).
Le attività lavorative oggetto della comunicazione preventiva, o dell’autocertificazione, devono essere intese nel significato più ampio, che include l’insieme di condotte umane, caratterizzate dall’impiego di cognizioni tecniche, del più vario genere.
Non riveste alcun rilievo l’effettiva remunerazione di tali attività, in quanto è necessaria e sufficiente la sola potenziale redditività (Cass., sez. lav., 9 febbraio 2021, n. 3116). Questa Corte ha puntualizzato, inoltre, che la decadenza è estesa al globale trattamento salariale.
Nessuna distinzione istituisce la legge all’interno del periodo di cassa integrazione e nessun rilievo attribuisce, ai fini della decadenza, alla collocazione temporale dell’attività di lavoro (autonomo o subordinato) svolta dal cassintegrato.
La disposizione, difatti, si prefigge di assicurare la massima efficacia ai controlli dell’INPS, al fine di ridurre l’area del lavoro nero e di garantire l’effettiva destinazione, a sostegno dei disoccupati, delle risorse disponibili.
Una diversa opzione interpretativa, che limiti la decadenza dall’integrazione solo al periodo successivo all’inizio dell’attività lavorativa da parte del cassintegrato, vanificherebbe le finalità dissuasive della sanzione e si risolverebbe nell’equiparazione arbitraria dei cassintegrati che svolgono un lavoro retribuito senza informarne l’INPS a quelli che, invece, correttamente assolvono l ’ obbligo di comunicazione (Cass., sez. lav., 27 novembre 2013, n. 26520).
7.– La disciplina, puntualmente ricostruita dalla Corte d’appello di Catania (pagine 8, 9, 10 e 11 della sentenza impugnata), non manca di tener conto della specialità del rapporto di lavoro dei piloti degli aeromobili, contraddistinto dalla necessità di continuare a svolgere l’attività al fine di mantenere l’abilitazione al volo e di salvaguardare il brevetto di volo e l’attestato di volo. All’attività remunerata, solo in quanto sia strettamente indispensabile per mantenere le abilitazioni di volo, fanno riscontro obblighi di comunicazione modulati in maniera peculiare (pagina 9 della sentenza d’appello, punto c).
8.– Si deve rilevare, infine, che, per giurisprudenza costante di questa Corte, spetta all’accipiens, quando chieda l’accertamento negativo dell’obbligo di restituire l’importo che l’INPS ritenga indebitamente corrisposto, provare i fatti costitutivi del diritto di fruire della prestazione contestata (Cass., S.U., 4 agosto 2010, n. 18046, in materia previdenziale).
9.– Da tali principi non si è discostata la sentenza d’appello.
Con accertamento di fatto non efficacemente censurato in questa sede, la Corte distrettuale ha escluso che il ricorrente abbia ottemperato all’onere di dimostrare la legittimità della pretesa di trattenere la prestazione incassata, alla luce delle prescrizioni di legge che governano la materia dell’attività lavorativa prestata durante la fruizione del trattamento d’integrazione salariale e prevedono comunicazioni e segnalazioni all’Istituto.
10.– Sin dal giudizio di primo grado (pagina 3 della sentenza d’appello), il dibattito processuale si è dispiegato sul fatto che l’attività svolta non sia stata in alcun modo segnalata, né con la comunicazione preventiva né con l’autocertificazione.
Se si esaminano nella loro portata sostanziale le interlocuzioni intercorse tra le parti, l’inottemperanza agli oneri informativi è stata indicata a chiare lettere dall’Istituto anche nella fase che prelude all’instaurazione della lite.
Il tema del decidere investe, dunque, tale omessa segnalazione, a prescindere dalle forme in cui la comunicazione all’Istituto si deve estrinsecare. Questo è il punto nodale del contendere.
11.– La prova del diritto di trattenere la prestazione erogata, inoltre, dev’essere fornita esclusivamente alla stregua della disciplina di legge che regolala materia e il giudizio non concerne la legittimità del provvedimento che ha esternato la richiesta di restituzione, ma, in una prospettiva più ampia, la fondatezza della pretesa del beneficiario del trattamento percepito.
I motivi di ricorso, pertanto, nel l’additare i vizi che, dal punto di vista del ricorrente, inficiano la motivazione del provvedimento amministrativo, non colgono nel segno e non scalfiscono l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte d’appello di Catania sulla pretesa sostanziale dedotta in causa, in conformità ai principi di diritto appena richiamati e sulla scorta dei dati probatori acquisiti.
12.– I giudici d’appello hanno accertato, in punto di fatto, che il signor (omissis) ha svolto attività lavorativa per la compagnia Air (omissis) dal 12 ottobre 2010 al 30 giugno 2011, ha percepito una retribuzione, senza dare alcuna comunicazione all’Istituto, in qualsivoglia forma, di tale attività lavorativa, e così ha precluso il necessario controllo della compatibilità dell’attività svolta con la perdurante fruizione del trattamento d’integrazione salariale.
La sentenza impugnata non trascura di soppesare adeguatamente la specialità della normativa concernente i piloti di aeromobili, anche alla stregua delle indicazioni operative fornite dall’Istituto nel chiarire il contenuto precettivo della disciplina di legge, la sola vincolante.
È conforme a diritto la pronuncia d’appello, nella parte in cui afferma che tale specialità, pur incidendo sulla modulazione della disciplina, non vale a privare di ogni rilievo i puntuali adempimenti informativi sanciti dalla legge, allo scopo di evitare che le risorse pubbliche siano stornate dalle finalità loro proprie, e accerta che tali adempimenti, nel caso di specie, non sono stati rispettati in base ai dati istruttori acquisiti.
13.– La Corte d’appello di Catania ha dunque accertato che l’odierno ricorrente non ha dimostrato il buon diritto di trattenere il trattamento riscosso, alla luce della disciplina di legge sugli oneri d’informazione, complessivamente considerata nella sua ratio ispiratrice, e del nesso di stretta pertinenza, che deve intercorrere tra il regime agevolato di comunicazioni valevole per i piloti di aeromobili e l’esigenza, rigorosamente intesa, di conservare le abilitazioni di volo (in tal senso, anche le pagine 20 e 21 del controricorso). Nesso di stretta pertinenza che, in fatto, la sentenza impugnata ha escluso, come anche l’Istituto evidenzia nel controricorso (pagine 20 e 21).
14.– Tale accertamento, in ultima analisi, resiste alle critiche della parte ricorrente.
14.1.– Esse sono irritualmente articolate e dunque inammissibili nella parte in cui deducono l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con riferimento a una circolare, diversa dal “fatto” tipizzato dalla legge e dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053).
Le censure sono inammissibili anche nella parte in cui presuppongono in termini assoluti e meramente assertivi l’inoperatività di ogni onere di segnalazione, in contrasto con l’apprezzamento compiuto dalla Corte d’appello, estendono così a sconfinare sul piano della rivalutazione del fatto, sotto l’egida della violazione delle norme di diritto, peraltro impropriamente estese anche agli atti interni e alle circolari.
14.2.– Le doglianze sono, per altro verso, infondate, nella parte in cui censurano, nella loro essenza, la violazione dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio.
14.3.- A tali criteri la Corte di merito ha mostrato di attenersi , stabilendo, in fatto, che la parte ricorrente non abbia dato prova convincente della fondatezza della pretesa. Fondatezza che si deve scrutinare alla stregua di tutte le condizioni poste dalla legge in ordine a un regime d’informazioni e segnalazioni che non può essere depotenziato, in ragione delle finalità eminentemente pubblicistiche insite nel razionale e trasparente impiego delle risorse della collettività anche riguardo allo speciale ambito applicativo di cui qui si discorre.
15.– Il ricorso, pertanto, dev’essere complessivamente respinto.
16.– La parte ricorrente è condannata a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio (art. 385, primo comma, cod. proc. civ.), nella misura liquidata in dispositivo.
17.– L’integrale rigetto del ricorso, proposto successivamente al 30 gennaio 2013, impone di dare atto dell’obbligo del ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese processuali, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, in Euro 5.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, norma del comma 1-bis dell’art. 13, d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Quarta Sezione civile della Suprema Corte di cassazione, il giorno 14 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria l’8 agosto 2023.