Presidente di Corte di Assise deliberava sentenza di condanna alla pena dell’ergastolo omettendo di verificare, per negligenza inescusabile, che alla suddetta deliberazione concorressero, in virtù del principio di immutabilità, tutti i giudici popolari.

(Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 30 marzo 2017, n. 8247)

…, si omette …

Fatto

Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione richiedeva esercitarsi l’azione disciplinare nei confronti del Dott. C.G. , giudice presso il Tribunale di Nola, contestando al magistrato gli illeciti disciplinari di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2,comma 1 lettera a) e g) perché quale presidente della Corte d’assise di Teramo, nel procedimento penale a carico di B.R. , imputato, tra l’altro, di omicidio pluriaggravato e smembramento di cadavere, in violazione del dovere di diligenza, con grave violazione di legge, deliberava, in data 23 aprile 2012, la relativa sentenza di condanna dell’imputato all’ergastolo con l’isolamento diurno (oltre all’ulteriore condanna per altri reati), omettendo di verificare, per inescusabile negligenza, che alla suddetta deliberazione concorressero i sei giudici popolari, tra effettivi ed aggregati che avevano, tutti insieme e ab inizio, partecipato, immutabilmente, al dibattimento, come prescritto dall’articolo 525,comma 2, c.p.p., norma integralmente violata.

Emergeva in particolare che due giudici popolari, nonostante fossero risultati assenti a due udienze dibattimentali, sostituiti da giudici popolari aggregati, avevano partecipato alla camera di consiglio e alla deliberazione della sentenza, poi annullata dalla Corte d’assise di appello di L’Aquila per tale vizio procedurale.

Con sentenza n 142/2016, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha ritenuto il Dott.C.G. , giudice presso il Tribunale di Nola, responsabile dell’incolpazione ascrittagli di cui all’art. 1 e 2, comma 1, lett. g) D.lgs 109/2006 e gli ha inflitto la sanzione della censura, assolvendo lo stesso dalla incolpazione di cui all’art. 1 e 2, comma 1, lett. a) D.lgs 109/2006, ritenendo, in relazione a tale ultima incolpazione, insussistente alcun indebito vantaggio per l’imputato in quanto, a distanza di soli tre mesi dalla sentenza della Corte di assise di appello veniva emessa altra sentenza confermativa della pena dell’ergastolo, senza che fossero decorsi i termini della custodia cautelare e della prescrizione nemmeno con riferimento ai reati satelliti.

Proponeva ricorso per cassazione il dottor C.G. , affidato tre motivi.

L’intimato non ha svolto attività difensive.

Motivi della decisione

Col primo motivo viene dedotta violazione degli artt. 606, comma 1, lett. b) c.p.p., art. 2, comma 1, lett. G), D.lgs 109/2006 in relazione all’articolo 525, comma 2, c.p.p. e 384 comma 2 c.p.c. e in subordine vizio di motivazione per non avere la sezione disciplinare considerato che al termine del dibattimento le parti avevano prestato il consenso alla lettura di atti formati dinanzi a collegi diversa composizione.

Con il secondo motivo viene dedotta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p., per mancanza assoluta di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’art. 3 bis D.lgs 109/2006, in ordine alla non ricorrenza della causa di non punibilità della scarsa rilevanza del fatto.

Con il terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. per mancanza assoluta della motivazione in ordine alla scelta della sanzione della censura.

Il primo motivo è fondato ed è assorbente delle ulteriori censure.

Il sistema delineato dall’articolo 525 c.p.p. comma 2 esige che a deliberare la sentenza concorrano, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento.

E, poiché quest’ultima fase processuale consta dell’istruzione dibattimentale e della discussione, l’identità del giudice, tanto monocratico che collegiale, deve sussistere nell’arco di ambedue detti momenti, così come nella fase successiva della decisione, per l’ovvio motivo che, in virtù della scelta dell’oralità del procedimento, la sentenza deve essere deliberata da chi ha presieduto alla raccolta delle prove anche se, in ipotesi, non si tratti dello stesso giudice che ha proceduto all’ammissione di esse, dal momento che il principio di immutabilità esige soltanto che a decidere sia lo stesso giudice che ha presieduto all’istruttoria (Cass. n. 42509/2008) e alla successiva discussione, avendo in tal modo acquisito la conoscenza di prima mano del materiale probatorio e, in successione, delle argomentazioni delle parti, pubblica e private, a sostegno delle rispettive conclusioni.

Regola che subisce un’eccezione con riferimento alla fase degli atti introduttivi del dibattimento, sicché la nullità non sussiste quando il giudice muti immediatamente dopo la verifica della regolare costituzione delle parti (Cass. 4916/2003).

La giurisprudenza di legittimità ha peraltro introdotto, a fini di economia processuale e per la salvaguardia del principio di ragionevole durata del processo, il correttivo rappresentato dalla possibilità di rinnovazione del dibattimento, con il consenso delle parti, mediante lettura dei verbali delle prove acquisite dal giudice in diversa composizione, che diventano così direttamente utilizzabili dal mutato organo giudicante.

La nullità assoluta e insanabile, sancito dall’articolo 525, comma due, c.p.p. sussiste, invece, nel caso in cui la rinnovazione del dibattimento sia stata deliberatamente rifiutata o esclusa (Cass. n. 2928/2009).

Nel caso di specie il giudice popolare effettivo G.C. si è assentata alle udienze dibattimentali istruttorie del 12 e del 18 luglio 2011, (legittimamente sostituita dal giudice popolare aggregato Ca.Al. , presente a tutte le udienze precedenti e successive ed anche alla deliberazione), mentre il giudice popolare effettivo Ch.An. , assente alle udienze dibattimentali istruttorie del 17 ottobre 2011 e del 12 dicembre 2011 non è stata sostituita da altro giudice aggregato.

Entrambi i giudici popolari assenti alle indicate udienze partecipavano non di meno alla camera di consiglio e concorrevano alla deliberazione.

La violazione dell’articolo 525, comma secondo, c.p.c. non ricorre nel caso in cui il giudice che ha emesso la decisione abbia dato lettura, ai sensi dell’articolo 511 c.p.p., degli atti nella precedente fase dibattimentale che, in tal modo sono entrati legittimamente a far parte del fascicolo del dibattimento e sono quindi pienamente utilizzabili.

In tal caso le prove possono essere valutate da un collegio in composizione diversa da quello davanti al quale le stesse sono state acquisite se le parti presenti non si siano opposte alla lettura degli atti del fascicolo dibattimentale e non abbiano richiesto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, dovendosi presumere che esse abbiano prestato il consenso, sia pure implicitamente, alla lettura degli atti suddetti (cfr Cass. n. 14227/2015; Cass. n. 44537/2015).

Dette dichiarazioni, in linea con quanto affermato anche dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 17 del 1994 e ordinanza n. 99 del 1996) fanno già parte del fascicolo per il dibattimento a disposizione del nuovo giudice, per cui non può dirsi irragionevole o lesivo dei principi di oralità e di immediatezza che esse, mancando un’iniziativa rivolta alla rinnovazione del mezzo di prova, vengano, mediante la lettura, recuperate ai fini della decisione.

I difensori della parte, presente all’udienza nella quale si disponeva ex art. 511 c.p.p. l’acquisizione e utilizzazione tramite lettura degli atti del dibattimento nulla eccepivano e deve, quindi, presumersi che abbiano prestato il loro consenso, la cui espressione non è vincolata a specifiche forme rituali ma può, come nel caso di specie, essere manifestato anche attraverso il comportamento concreto di chi presta acquiescenza (cfr Cass. 18308/2011 e Cass. n. 17804/2001).

La sezione disciplinare del CSM non ha valutato che le parti avevano prestato il consenso mediante acquiescenza all’acquisizione mediante lettura delle dichiarazioni dibattimentali rese nel medesimo procedimento penale dinanzi al giudice in diversa composizione (cfr f. 23 fasc Proc. gen.), non essendo contestato che per tutta la durata del procedimento in occasione della deliberazione sia mai mancato il numero legale inteso quale quorum strutturale e funzionale ancorché vi sia stato un errore nel controllo della composizione del collegio giudicante della corte di assise d’appello tale circostanza non è sufficiente ai fini della sussistenza della violazione degli artt. 1 e 2, comma 1, lett. g) del D.Lgs n. 109/2006, essendo necessario che l’errore si sia tradotto nella violazione grave di una norma di legge, circostanza che dev’essere oggettivamente esclusa nella fattispecie.

Nessun rilievo può attribuirsi, ai fini della configurabilità dell’illecito, alla nullità, pronunciata d’ufficio, della sentenza impugnata, dovendosi, comunque, ritenere, ai fini della valutazione della sussistenza dell’illecito disciplinare, che la rinnovazione del dibattimento abbia ovviato, sotto il profilo procedurale, in forza di una interpretazione costante della Corte di Cassazione, al vizio riscontrato.

La sezione disciplinare si è limitata, al riguardo, a menzionare l’annullamento della sentenza di primo grado da parte della corte di assise di appello (che non costituisce prova del vizio stesso, ma un fatto meramente evocativo del preteso vizio) rilevando la “negligenza inescusabile” consistita nell’omessa vigilanza sulla legittimazione dei giudici che hanno partecipato alla camera di consiglio e nell’omessa esclusione di tutti coloro i quali fossero sforniti della legittimazione a deliberare, senza tuttavia vagliare criticamente ed autonomamente la sussistenza della violazione dell’articolo 525, comma secondo, c.p.p., mancando nella motivazione le ragioni della sussistenza della grave violazione di legge, nonostante l’incolpato avesse documentato l’esistenza dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità largamente dominante che escludeva in radice la nullità della sentenza in presenza di acquiescenza delle parti con effetto sanante in ordine all’acquisizione delle prove ed alla deliberazione in diversa composizione collegiale, circostanze che risultano dai verbali d’udienza dibattimentale allegati agli atti del fascicolo del procedimento disciplinare.

Va, conseguentemente accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassata l’impugnata sentenza con rinvio alla Sezione disciplinare del C.S.M..

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Sezione disciplinare del C.S.M..