Presunte ragioni di salute non bastano a giustificare il mancato rientro in servizio: militare condannato per diserzione (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 28 marzo 2022, n. 11256).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANTALUCIA Giuseppe – Presidente –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

Dott. BONI Monica – Consigliere –

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere –

Dott. CAPPUCCIO Daniele – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) MARCO nato a ISERNIA il 20/02/19xx;

avverso la sentenza del 17/12/2019 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CAPPUCCIO;

lette le conclusioni rassegnate ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, dal Procuratore generale militare, che ha chiesto, con requisitoria del 4 novembre 2021, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, e dal ricorrente che, con memoria dell’8 novembre 2021, ha insistito per il suo accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17 dicembre 2019 la Corte militare di appello ha confermato quella con la quale il Tribunale Militare di Roma, il 22 gennaio 2019, ha dichiarato la penale responsabilità di Marco (OMISSIS) in ordine al reato di diserzione impropria e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di quattro mesi di reclusione militare, oltre che al pagamento delle spese processuali.

2. Marco (OMISSIS) propone, con l’assistenza dell’avv. Giuseppe (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a tre motivi, con il primo dei quali deduce violazione di legge per avere la Corte militare di appello omesso di considerare che il suo mancato rientro in servizio, al termine di un periodo di licenza, è stato motivato da ragioni di salute e che egli è stato, già all’esito del giudizio di primo grado, assolto dalla contestazione di truffa per insussistenza dell’addebito.

Con il secondo motivo, lamenta vizio di motivazione per avere la Corte militare di appello seguito un percorso argomentativo contraddittorio ed illogico che, pur prendendo atto dell’assoluzione dal reato presupposto di truffa, si è incentrato sulla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla madre e sul contegno da lui serbato a fronte delle rassicurazioni ricevute in ordine alla trasmissione della certificazione sanitaria attestante l’impedimento al rientro in caserma.

Con il terzo motivo, eccepisce vizio di motivazione per avere la Corte di appello disatteso il principio secondo cui l’affermazione della penale responsabilità presuppone l’acquisizione di prova della colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio, condizione nel caso di specie mancante, per come dimostrato dal tenore delle deposizioni dei testi Michelina (OMISSIS), Silvana (OMISSIS) ed Ermelinda (OMISSIS).

3. Disposta la trattazione scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale militare ha chiesto, con requisitoria del 4 novembre 2021, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, mentre il ricorrente, con memoria dell’8 novembre, ha insistito per il suo accoglimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.

2. Il soldato Marco (OMISSIS), avendo fruito di un periodo di licenza, sarebbe dovuto rientrare in servizio, a Civitavecchia, il 2 febbraio 2017, giorno in cui, però, risultò assente al contrappello.

Egli, dopo avere preannunziato telefonicamente di essere vittima di una indisposizione, inviò due certificati medici, attestanti il suo impedimento sino all’8 febbraio 2017, che, ai successivi accertamenti, si sono rivelati falsi perché frutto della contraffazione di quelli sottoscritti, in precedenza, dal sanitario che se ne è assunta la paternità.

(OMISSIS) è stato assolto, in primo grado, dalla contestazione di truffa per la grossolanità dell’operata falsificazione, che venne facilmente individuata all’atto dell’esame dei certificati da lui inviati a giustificazione dell’assenza.

Egli è stato, invece, condannato per il reato di diserzione impropria, previsto dall’art. 148, n. 2), cod. pen. mil . pace ed integrato dalla condotta del militare che, essendo in libera uscita, non si presenta, senza giusto motivo, al reparto di appartenenza nei cinque giorni successivi.

3. La giurisprudenza di legittimità, chiamata a delineare le condizioni che consentono di ritenere l’esimente, ha stimato che essa debba consistere in un «motivo oggettivamente giusto, traente origine da un impedimento – fisico o morale – alla presentazione, impedimento che, senza raggiungere gli estremi di uno stato di necessità, costituisca, tuttavia, una situazione transitoria od improvvisa, ma sempre di natura obiettiva, tale da escludere l’antigiuridicità alla condotta» (Sez. 1, n. 7731 del 23/12/1987, dep, 1988, Scapolo, Rv. 178777) e, più specificamente, ha reputato giustificato il mancato rientro conseguente alla sopravvenienza, debitamente documentata, di malattia, di gravità tale da impedire la ripresa del servizio (Sez. 1, n. 2000 del 16/03/2000, De Lucia, Rv. 215923; Sez. 1, n. 13999 del 08/11/1999, Maiorano, Rv. 214826).

4. Nel caso in esame, i giudici di merito hanno concordemente attestato l’inattendibilità della versione difensiva, secondo cui (OMISSIS), effettivamente colto da improvvisa e debilitante indisposizione, sarebbe stato visitato dalla dott.ssa (OMISSIS), la quale avrebbe certificato l’impedimento attraverso la redazione di documenti che l’imputato avrebbe affidato alla madre che, però, avendoli smarriti, avrebbe — in forza di deliberazione autonoma, non comunicata al figlio — utilizzato quelli redatti in precedenti occasioni e rimasti nella sua disponibilità, che avrebbe parzialmente contraffatto, sì da creare, all’insaputa del diretto interessato, una apparenza diversa dalla realtà.

La Corte militare di appello ha, in particolare, ritenuto il mendacio della (OMISSIS), la quale, mossa da tangibile interesse a preservare, per quanto possibile, la posizione del congiunto, si è trincerata dietro personali problemi di salute, anche di ordine psicologico, che avrebbero determinato la défaillance e che, tuttavia, paiono incompatibili con l’estemporanea iniziativa che ella sostiene di avere spontaneamente adottato, espressione di una callida lucidità assolutamente inconciliabile con la dedotta difficoltà a provvedere alle proprie necessità di vita, tanto acuta da indurre Michelina (OMISSIS) a prestare frequente ausilio anche nel disbrigo di semplici adempimenti domestici.

Da un punto di vista logico, del resto, è del tutto incredibile che la donna, dopo avere smarrito il certificato che ella sostiene essere stato redatto I’1 febbraio 2017, abbia contraffatto quello preesistente, peraltro inviandolo via PEC al corpo di appartenenza del figlio, per poi ripetere analogo contegno — con la medesima sequenza — a distanza di cinque giorni.

5. L’invio di certificati palesemente contraffatti costituisce piuttosto, nella ricostruzione avallata dalla Corte militare di appello, primario indice della fallacia della dedotta giustificazione, che non trova contraddizione nelle dichiarazioni rese dagli ulteriori soggetti escussi.

Al riguardo, la Corte, dopo avere ribadito, in primis, il giudizio di inattendibilità di Ermelinda (OMISSIS) nella parte in cui ella ha sostenuto che il figlio versava in condizioni di salute tanto precarie da essere impedito alla partenza da Isernia verso Civitavecchia, ha osservato che la testimone Michelina (OMISSIS) si è limitata a riferire che, in quei giorni, Marco (OMISSIS) era a casa per asseriti — e da lei non direttamente riscontrati né tantomeno diagnosticati — problemi di salute (ciò che, è facile arguire, non comprova effettività e gravità dell’affezione) e che la dott.ssa Silvana (OMISSIS), pur ricordando di avere, in quei mesi, diagnosticato al militare «faringotonsillite con delle febbri» e «virosi intestinale», ha detto di non avere precisa memoria di visite a domicilio risalenti ai primi giorni di febbraio del 2017.

Il percorso motivazionale seguito dai giudici di merito si rivela incensurabile, perché scevro da profili di manifesta illogicità e contraddittorietà, anche laddove rinviene ennesima prova dell’inattendibilità della versione difensiva dall’atteggiamento, di totale passività, che Marco (OMISSIS), pur avendo interesse alla tempestiva e corretta trasmissione della documentazione al reparto di appartenenza, avrebbe serbato lasciando alla madre, affetta da patologie financo di natura psichiatrica, la cura di adempimenti tanto delicati.

6. La sentenza impugnata perviene, dunque, all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato sulla scorta di argomentazioni che, frutto dell’esame di tutte le evidenze disponibili, conducono ad escludere, in termini di certezza, la ricorrenza della dedotta esimente, onde insussistente si palesa la dedotta violazione del canone di giudizio previsto dall’art. 533, comma 1, cod. proc. pen.

Né, va opportunamente aggiunto, le conclusioni raggiunte in ordine al reato di diserzione impropria confliggono con l’assoluzione dal delitto di truffa, conseguenza dell’assenza, nell’artifizio posto in essere da (OMISSIS), di effettiva attitudine ingannatoria e non già della riconosciuta rispondenza al vero delle circostanze esposte nei certificati grossolanamente contraffatti.

7. Dal rigetto del ricorso discende la condanna di (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali.

Così deciso il 23/11/2021.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.