Un cane, sia in orario diurno che quello notturno, abbaia continuamente creando disturbo al vicinato. Condannato il proprietario.

(Corte di Cassazione, Sezione III Penale, sentenza 16 dicembre 2017, n. 54151)

Sentenza

sul ricorso proposto da:

M.S., nato ….. il …/../…..;

avverso la sentenza dell’8 marzo 2016 del Tribunale di Trapani;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Sante Spinaci, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;

udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS) che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso.

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 08/03/2016, il Tribunale di Trapani dichiarava M.S. responsabile del reato di cui all’art. 659 cod.pen- per non aver impedito il continuo abbaiare del proprio cane, in orario sia diurno che notturno, dallo stesso tenuto all’esterno dell’abitazione, in zona adibita a parcheggio, privo di cuccia, in tal modo arrecando disturbo al riposo delle persone dimoranti nelle abitazioni contigue e lo condannava alla pena di euro 200,00 di ammenda.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.S., per il tramite del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

Con il primo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale. Argomenta che il Tribunale avrebbe affermato la penale responsabilità dell’imputato nonostante dalla scheda anagrafica canina acquisita agli atti risultasse che il cane non fosse di proprietà del predetto e senza motivare in ordine alla volontarietà della condotta.

Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione, argomentando che le argomentazioni poste a fondamento della decisione sarebbero illogiche e contraddittorie rispetto alle prove acquisite; in particolare, il Tribunale avrebbe omesso di considerare le testimonianze di R.F. e dell’ispettore G.; infine, avrebbe valutato quali risultanze istruttorie una ctu espletata in un procedimento cautelare civile, che non era invocabile nel processo penale chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile.

2. Entrambi i motivi proposti si sostanziano in una richiesta di rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.

Nei motivi in esame, infatti, si espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv.235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508).

Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre i! “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6,n.27429 del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).

Né la novella codicistica introdotta con la I. n. 46/2006, ammettendo l’indagine extratestuale per la rilevazione dell’illogicità manifesta e della contraddittorietà della motivazione, ha modificato la natura del sindacato della Corte Suprema, il cui controllo rimane limitato alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento impugnato e non può comportare una diversa lettura del materiale probatorio, anche se astrattamente plausibile, sicché anche dopo la legge 46/2006 occorre invece che gli elementi probatori indicati in ricorso (ignorati, inesistenti o travisati, non solo diversamente valutati) siano per sé decisivi in quanto dotati di una intrinseca forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento del giudice del merito (Sez. 3, n. 37006 del 27/09/2006, Piras, Rv. 235508): decisività che deve essere oggetto di specifica e non assertiva deduzione della parte, in esito al confronto con tutta la motivazione della decisione impugnata, pena l’immediata ‘contaminazione’ del rilievo in termini di preclusa censura di merito.

La Corte di Cassazione, in definitiva, deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4 08/04/2010 n. 15081; Sez. 6 n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989; Sez.5, n.6754 del 07/10/2014, dep.16/02/2015, Rv.262722).

3. La doglianza avente ad oggetto il travisamento delle prove testimoniali è inammissibile.

Va osservato che la novella dell’art. 606, comma primo lett. e), cod. proc. pen. ad opera della L. n. 46 del 2006 consente che per la deduzione dei vizi della motivazione il ricorrente faccia riferimento come termine di comparazione anche ad atti del processo a contenuto probatorio, ed introduce così un nuovo vizio definibile come “travisamento della prova”, per utilizzazione di un’informazione inesistente o per omissione della valutazione di una prova, entrambe le forme accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato o omesso, abbia il carattere della incisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica, restando estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacità dimostrativa e fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetto “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 1, 24667/2007 Rv. 237207, ricorrente Musumeci, Sez.2, n.19848 del 24/05/2006, Sez.5,n.36764 del 24/05/2006).

In particolare (Sez. 6 n. 23781 del 2006 15/3/2006, Casula e 24/3/2006, Scazzanti) è necessario perché si possa fare utile applicazione della predetta disposizione che: sia specificamente indicato l’atto del processo dal quale risulterebbe in tesi il vizio motivazionale; sia individuato l’elemento fattuale o il dato probatorio emergente da tale atto e incompatibile con la ricostruzione propria della decisione impugnata; sia fornita la prova della corrispondenza al vero di tale elemento o dato; vengano indicate le ragioni per le quali tale dato, non tenuto presente dal giudice, risulti decisivo per la tenuta logica della motivazione già adottata, sia cioè tale da mettere in crisi, disarticolandolo, l’intero impianto argomentativo sottoposto ad esame.

L’accesso agli atti del processo, in particolare, non è indiscriminato, ma veicolato dall’atto di impugnazione che deve indicare “specificamente” quali siano gli atti ritenuti rilevanti al fine di consentire il controllo della motivazione del provvedimento impugnato, indicazione che potrà assumere le forme più diverse (integrale riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, individuazione precisa della collocazione dell’atto nel fascicolo processuale dì merito ecc.), ma sempre tali da non costringere la Corte di cassazione ad un lettura totale degli atti comunque esclusa dal preciso disposto della norma, tanto che la relativa richiesta con i motivi di ricorso deve ritenersi sanzionata dall’art. 581 cod.proc.pen., comma 1, lett. c), e art. 591 cod.proc.pen.( Sez.3, n.12014 del 06/02/2007, Rv.236223 , Sez.2, n. 31980, del 14/06/2006, Rv. 234929).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha adempiuto all’onere di allegazione a suo carico, essendosi limitato solo ad indicare quale atto oggetto di travisamento probatorio le dichiarazioni testimoniali (testi R.e G.) senza integrale riproduzione nel testo del ricorso o allegazione in copia o individuazione precisa della collocazione dell’atto nel fascicolo processuale di merito.

Ne consegue, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, l’inammissibilità del motivo proposto (Sez.6, n.29263 del 08/07/2010, Rv.248192; Sez.2, n.26725 del 01/03/2013, Rv.256723; Sez.3, n.43322 del 02/07/2014, Rv.260994; Sez.4, n.46979 del 10/11/2015, Rv.265053).

4. La doglianza avente ad oggetto l’inutilizzabilità della ctu espletata nel procedimento civile n. 1335/2014 RG del Tribunale di Trapani, è priva della necessaria specificità.

Essa, infatti, è formulata senza in alcun modo prospettare la possibile, ed in ipotesi, decisiva influenza dell’elemento probatorio asseritamente inutilizzabile sulla complessiva motivazione posta a fondamento della contestata affermazione di responsabilità.

Questa Corte, con orientamento (Sez.2,n.7986 del 18/11/2016, dep.20/02/2017, Rv.269218; Sez.6,n.18764 del 05/02/2014, Rv.259452;Sez. 4, n. 18764 del 5.2.2014, rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2.10.2014, dep. 2015, rv. 262011) che il Collegio condivide e ribadisce, ha, infatti, osservato che, nei casi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità (o la nullità) di una prova dalla quale siano stati desunti elementi a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l’espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento.

Nella specie, l’affermazione di responsabilità è fondata anche su plurime e convergenti dichiarazioni testimoniali che, pur espungendo l’elemento che si assume inutilizzabile, giustificano sufficientemente il convincimento del giudice di merito: l’intensità delle emissioni sonore è stata, infatti, ricostruita anche mediante la deposizione di numerosi testimoni, i quali hanno riferito che il latrato del cane del prevenuto era particolarmente assordante e superava i limiti della normale tollerabilità (pag 2 della motivazione della sentenza impugnata).

Giova ricordare che ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen., l’attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone non va necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, ma ben può il giudice fondare il suo convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità (Sez.1,n.20954 del 18/01/2011, Rv.250417; Sez.3, n.11031 del 05/02/2015,Rv.263433).

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e euro 2000 in favore della cassa ammende.