REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
Composta da
Dott. Anna Petruzzellis -Presidente-
Dott. Giovanna Verga -Consigliere-
Dott. Andrea Pellegrino -Relatore-
Dott. Alessandro Leopizzi -Consigliere-
Dott. Francesco Florit -Consigliere-
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis), nato a Milano il xx/xx/19xx, rappresentato ed assistito dall’avv. (omissis) (omissis), di fiducia avverso la sentenza in data 04/04/2023 della Corte di appello di Milano, quarta sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 23 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Andrea Pellegrino;
letta la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif., con la quale il Sostituto procuratore generale, Dott. Raffaele Gargiulo, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 04/04/2023, la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Monza che, in data 24/02/2022, aveva condannato (omissis) (omissis) alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione ed euro 900 di multa per i reati di cui agli artt. 81 cpv., 640, secondo comma n. 2, 99, terzo comma, cod. pen. (due distinte condotte di truffa, poste in essere rispettivamente in data 08/10/2015 e in data 05/10/2015).
2. Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di (omissis) (omissis), è stato proposto ricorso per cassazione, per i motivi che vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Primo motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 640, secondo comma, n. 2 cod. pen., 125, comma 3 e 192 cod. proc. pen. nonché carenza e contraddittorietà della motivazione.
Si contesta che nella condotta posta in essere in data 08/10/2015 sia stato ingenerato nella vittima il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dover eseguire un ordine dell’Autorità, non avendo l’imputato mai asserito che ci fosse una sentenza o un ordine dell’Autorità da eseguire e non potendo assimilarsi la “pendenza di una causa” ad un ordine di un’Autorità.
Con riferimento all’episodio in data 05/10/2015, la Corte territoriale ha omesso di valorizzare le dichiarazioni rese dalla persona offesa in dibattimento secondo cui il proprio interlocutore le intimò di pagare non sulla base di un presunto ordine dell’Autorità ma sulla base di un asserito ed eventuale processo.
La Corte territoriale, poi, non argomenta come si configuri nella fattispecie la circostanza del pericolo immaginario omettendo di considerare come secondo la costante giurisprudenza la nozione di pericolo immaginario corrisponde a quella di pericolo “inesistente”. Secondo motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 62 -bis, 99, quarto comma e 133 cod. pen., 125, comma 3 e 192, comma 1 cod. proc. pen. nonché manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Non si è tenuto in alcun conto dello stato di indigenza del ricorrente e dei suoi risalenti precedenti penali; inoltre si è applicato l’aumento per la recidiva in modo del tutto arbitrario e senza una motivazione logico-giuridica, sul solo presupposto della pericolosità sociale del (omissis), semplicemente enunciata e non argomentata.
Anche in merito alla domanda di riduzione della pena a titolo di continuazione, la sentenza si profila prima di motivazione reale, finendo per scadere in mera tautologia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Aspecifico e comunque manifestamente infondato è il primo motivo.
Come è noto, non rientra nei poteri del giudice di legittimità quello di effettuare una rilettura degli elementi storico-fattuali posti a fondamento del motivato apprezzamento al riguardo svolto nell’impugnata decisione di merito, essendo il relativo sindacato circoscritto alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari aspetti o segmenti del percorso motivazionale ivi tracciato: verifica il cui esito non può che dirsi positivamente raggiunto nel caso in esame.
Le doglianze difensive esposte nel primo motivo di ricorso non sono idonee ad infirmare la ragionevolezza del complessivo risultato probatorio tratto dalla ricostruzione della vicenda operata in sede di merito, per la semplice ragione che esse tendono a (nuovamente) prospettare un’alternativa, e come tale non consentita nella presente sede, rivisitazione del fatto oggetto del correlativo tema d’accusa, ovvero ad invalidarne elementi di dettaglio o di contorno, lasciando inalterata la consistenza delle ragioni giustificative a sostegno della pronuncia di responsabilità.
Fermo quanto precede, le sentenze di merito hanno ampiamente evidenziato come le vittime di entrambi gli episodi delittuosi siano state ingannate non solo sull’esistenza del debito, ma anche e (soprattutto) perché è stato loro prospettato che, in difetto di adempimento, sarebbero state attinte da azioni monitorie o, per quanto riguarda in particolare la vicenda del 08/10/2015, perché il debito sarebbe raddoppiato.
Tali prospettazioni costituiscono senza dubbio forme di minaccia riconducibile alla fattispecie in esame. Invero, la minaccia, correlata agli artifici e raggiri propri del delitto di truffa ricorre tanto nel caso della prospettazione di una male futuro che potrebbe realizzarsi nel momento in cui la persona offesa non tiene un comportamento dovuto, tanto nel caso in cui venga prospettata alla persona offesa l’esistenza di un male attuale che in tanto può essere eliminato in quanto si proceda, come nel caso in esame, all’attuazione del pagamento della somma asseritamente dovuta al fine di evitare ulteriori, e più gravi, conseguenze di carattere legale.
La prospettazione della capacità liberatoria dal “male” attribuita alla dazione della somma a titolo di pagamento del debito, per non incorrere in procedimenti monitori o nel raddoppio delle somme, finisce quindi con l’essere una minaccia implicita, contenendo la prospettazione tacita, ma evidente, che in assenza dell’attuazione del rimedio prospettato, il “male” mantiene intatti i suoi effetti deleteri nei confronti della persona offesa, che nella specie cede agli artifici e raggiri, siccome in stato di sofferenza e di debolezza psicologica.
3. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
Il giudice di appello ha ritenuto l’imputato immeritevole delle circostanze attenuanti generiche per mancata emersione di qualsivoglia elemento per una favorevole valutazione, non potendo considerarsi tale il dichiarato stato di indigenza e valorizzando – al contrario – i precedenti del reo, il suo comportamento processuale, l’assenza di resipiscenza ovvero di intenti risarcitori.
Ha ritenuto, altresì, di non poter escludere la ritenuta recidiva specifica ed infraquinquennale, riconoscendo l’esistenza di elementi di pericolosità (“dimostrando incapacità nel tenersi lontano al circuito penale, manifestando un’accentuata inclinazione a delinquere e una radicata volontà di vivere con il profitto derivante da attività illecita, trattandosi di reati di natura economica”) e ritenendo, infine, la pena inflitta come congrua, anche in relazione al segmento di sanzione inflitto a titolo di continuazione.
3.1. In relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale si è correttamente conformata al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità (cfr., Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590), secondo cui, nel motivare il diniego del beneficio richiesto, è sufficiente un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (nel caso di specie, i precedenti dell’imputato, uno dei quali specifico, l’assenza di resipiscenza ed alla mancanza di elementi positivi di particolare pregnanza).
Il decisum appare, pertanto, fondato su motivazione esente da manifesta illogicità e, come tale, è insindacabile nella presente sede di legittimità, dovendosi al riguardo riaffermare il principio affermato da questa Suprema Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (cfr.., Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
3.2. In relazione alla decisione in ordine all’applicazione della recidiva, la sentenza impugnata dà conto dei precedenti penali riportati dall’imputato (di cui uno specifico posto in essere appena pochi anni prima) per poi logicamente concludere che la condotta oggetto di procedimento denotava la propensione dell’imputato alla commissione di reati e, dunque, la sua attuale pericolosità, con conseguente necessità di applicare la contestata recidiva specifica.
La motivazione, dunque, è esistente, fondata su presupposti non contestati e non illogica; essa sfugge, pertanto, al controllo in sede di legittimità, posto che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo (cfr., Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, Gordyusheva, Rv. 263464; Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, Del Chicca, Rv. 270419).
3.3. Con riferimento, infine, alla misura della pena, la decisione si profila anch’essa come del tutto insindacabile.
La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrarlo, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).
Allorché la pena, come nel caso in esame, non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, l’obbligo motivazionale previsto dall’art. 125, comma 3 cod. proc. pen. deve ritenersi assolto anche attraverso espressioni che manifestino sinteticamente il giudizio di congruità della pena o richiamino sommariamente, anche in modo implicito, i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen. (cfr., Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, Pacchiarotti, Rv. 255825; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596; Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo, Rv. 241189; Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri, Rv. 237402).
Costituisce ulteriore principio consolidato della giurisprudenza di legittimità che, in tal caso, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua ed è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di valutazione di cui all’art. 133 cod. pen. (cfr., Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464).
4. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, così quantificata in ragione dei profili di colpa emergenti dal ricorso, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22/11/2023.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2023.