REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. MARINI Luigi – Rel. Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
CORRAO FRANCESCO nato a PALERMO il xx/xx/19xx;
CORRAO SALVATORE nato a PALERMO il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 29/10/2019 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI MARINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARILIA DI NARDO che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa a seguito di rito abbreviato in data 11 gennaio 2019, previa unificazione dei procedimenti n.1608 e 1801 del 2016, il Tribunale di Termini Imerese ha condannato:
(Proc. pen. n. 1608/2016 R.G.T.) Il sig. Francesco CORRAO, previa applicazione della continuazione fra i reati, alla pena di quattro mesi e venti giorni di arresto e 2.000 euro di ammenda perché ritenuto responsabile dei reati previsti dagli artt. 110 cod.pen., 212, co. 5 e 256, co.1, lett. b) del D.Lvo n. 152 del 2006 (capo a), 110 cod.pen. e art. 4 legge n. 110 del 1975 (capo b);
(Proc.pen. n. 1801/2016 R.G.T.) Il sig. Salvatore CORRAO, previa applicazione della continuazione fra i reati, alla pena di otto mesi di reclusione e 400 euro di multa perché ritenuto responsabile dei reati previsti dall’art. 707 cod.pen. (capo d), nonché dagli artt. 110 cod.pen., art. 4 legge n. 110 del 1975 (capo a), artt. 110 e 648 cod.pen., riconosciuta per tale reato l’ipotesi attenuata prevista dal secondo comma (capo b), artt. 110 cod.pen. e 256, co.1, lett. b) del D.Lvo n. 152 del 2006 (capo c).
L’affermazione di responsabilità nei confronti degli imputati e del sig. Giovanni LIGA, non ricorrente, si base sugli esiti di due controlli stradali relativi a un furgone, su cui erano presenti in data 22 aprile 2015 lo stesso LIGA e il sig. Francesco Corrao, e a un motociclo Ape, su cui in data 29 aprile 2015 erano presenti ancora il sig. LIGA e il sig. Salvatore Corrao.
Il sig. LIGA fu condannato alla pena complessiva di otto mesi di reclusione e 400 euro di multa, pena sospesa subordinatamente alla prestazione di attività lavorativa socialmente utile per la durata di trenta giorni.
Avverso la decisione del Tribunale tutti gli imputati proposero appello, deciso con la sentenza qui impugnata. Francesco CORRAO ha proposto quattro motivi di appello:
a) mancata applicazione dell’art.131bis cod.pen. in relazione al trasporto illegale di rifiuti, posto che il trasporto di materiali ferrosi era oggetto di autorizzazione regolarmente presente e che la quantità di materiali ferrosi pericolosi, di cui alla condanna, era minima;
b) mancata assoluzione dal reato concernente il porto di un martello, porto che non può considerarsi ingiustificato in quanto si tratta di strumento necessario all’attività di lavoro svolta;
c) mancata applicazione, in via subordinata, della sola pena pecuniaria in relazione a tale reato;
d) nullità della disposta confisca del furgone, inizialmente non sequestrato, trattandosi di automezzo necessario all’attività di recupero rifiuti per cui sussiste autorizzazione.
Salvatore CORRAO ha proposto otto motivi di appello:
a) mancata assoluzione dal reato concernente il porto di un coltello, che costituisce strumento di lavoro e che, comunque, non era univocamente attribuibile a lui, o piuttosto al sig. Liga;
b) mancata assoluzione dal reato di ricettazione, e ciò sotto plurimi profili. Innanzitutto, solo il sig. Liga presentava segni compatibili con la bruciatura dei cavi in gomma per ricavarne il rame; in secondo luogo non vi è prova della provenienza dei cavi e di eventuale reato presupposti; in terzo luogo, per essere l’ipotesi di ricettazione incompatibile con la natura di rifiuto del rame trasportato;
c) mancata applicazione dell’art.131bis cod.pen. in relazione al trasporto illegale di rifiuti;
d) mancata assoluzione dalla contravvenzione ex art.707 cod.pen. per essere il porto degli attrezzi giustificato dall’attività di raccolta di ferro;
e) mancata derubricazione della condotta di ricettazione in quella di furto, con conseguente improcedibilità del reato per mancanza di querela.
Con i restanti tre motivi di appello ha censurato il trattamento sanzionatorio, che giudica eccessivo e fondato sull’errata considerazione della recidiva e sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Analoghe censure sono state mosse alla sentenza del Tribunale dal sig. Liga.
La Corte di Appello di Palermo ha accolto parte dei motivi di appello.
In particolare:
– I sigg. Liga e Francesco Corrao sono stati assolti dal reato concernente il porto di un martello;
– I sigg. Liga e Salvatore Corrao sono stati assolti dal reato di trasporto illegale dei cavi di rame, non essendo tale materiale annoverabile tra i rifiuti pericolosi;
– Il reato di ricettazione è stato diversamente rubricato e qualificato come reato di furto aggravato dalla violenza sulle cose e dall’esposizione alla pubblica fede;
– La confisca dei veicoli è stata revocata;
Le pene sono state rideterminate come segue:
per Giovanni Liga, sei mesi e venti giorni di reclusione e 300 euro di multa;
per Francesco Corrao, quattro mesi di arresto e 2.000 euro di ammenda;
per Salvatore Corrao, sette mesi e dieci giorni di reclusione e 350 euro di multa.
La prima sentenza è stata confermata nel resto.
Avverso tale decisione i sigg. CORRAO hanno interposto ricorsi contenuti in unico atto, con il quale lamentano:
Francesco Corrao:
Errata applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 212, co. 5 e 256, co.1, lett. b) del D.Lvo n. 152 del 2006 e art. 131bis cod.pen., per avere la Corte di Appello negato l’applicazione dell’art. 131bis cod.pen. sulla base di due presupposti errati:
a) la natura del bene protetto, di diretto rango costituzionale, che sarebbe in sé incompatibile con l’ipotesi di non punibilità per l’esiguità dell’offesa;
b) l’esistenza di un precedente penale per analoga violazione.
Salvatore Corrao:
Errata applicazione della legge penale e contraddittorietà della motivazione con riferimento al reato ex art. 4 della legge n. 110 del 1975, posto che la condanna è stata inflitta in quanto gli strumenti rinvenuti sul motociclo “furono certamente utilizzati per commettere il furto dei fili di rame” e che la norma incriminatrice non include tale ipotesi fra quelle costitutive del reato.
In effetti. Il citato art. 4 punisce il porto ingiustificato di strumenti che non costituiscono arma nel caso in cui essi siano “chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo di luogo, per l’offesa alla persona”. Una volta esclusa tale utilizzabilità, posto che gli stessi giudicanti hanno collegato il porto degli strumenti al furto dei materiali, il sig. Corrao avrebbe dovuto essere mandato assolto dal reato contestato.
Inoltre, i giudicanti avrebbero dovuto constatare che nel caso in esame difetta del tutto l’elemento soggettivo del reato, non essendosi il sig. Corrao neppure prospettato la possibilità che il porto degli strumenti potesse violare la legge n. 110 del 1975.
CONSIDERATO IN DIRITTO
A. Il motivo di ricorso proposto da Francesco Corrao, per quanto suggestivo nella sua formulazione, è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.
L’art. 131bis cod.pen. prevede la non punibilità del reato “quando per le modalità della condotta o per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133 primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.
Ebbene, la motivazione resa dai giudici di appello risulta palesemente rispettosa di entrambi i parametri.
Sarebbe sufficiente guardare alla motivazione resa in relazione al parametro della “esiguità del danno o del pericolo” per concludere che la stessa non si limita, a differenza di quanto prospettato dal ricorrente, a richiamare il rango costituzionale del bene protetto, ma procede a un esame in concreto della offensività della condotta, giungendo – con giudizio di merito non censurabile in sede di legittimità – alla conclusione che i diversi materiali pericolosi trasportati nel caso in esame (batterie esauste, estintori, scaldaacqua) risultavano particolarmente inquinanti e capaci di produrre un’offesa rilevante al bene protetto.
La logicità di tale giudizio non risulta scalfita dalla circostanza che la quantità dei rifiuti pericolosi fosse solo una piccola parte di quanto trasportato, non risultando affatto che il numero dei rifiuti pericolosi fosse assolutamente esiguo e di per sé privo di rilievo.
Né appare condurre a un giudizio di illogicità della motivazione la circostanza che il furgone non fu oggetto di sequestro, posto che la decisione della polizia giudiziaria di non procedere alla misura cautelare fu motivata, così si legge in sentenza, da una duplice ragione:
– l’esistenza di un’autorizzazione al trasporto di rifiuti ferrosi, che rappresentavano la maggior parte del carico;
– il timore che il sequestro dell’automezzo, impedendo la prosecuzione in futuro dell’attività autorizzata, potesse spingere gli indagati a procacciarsi da vivere con attività illecite.
Il giudizio di manifesta infondatezza del primo profilo prospettato dal ricorrente è sufficiente per dichiarare il motivo di ricorso inammissibile, posto che l’art. 131bis cod.pen. richiede il concorso di entrambe le condizioni elencate.
Il che rende non rilevante l’esame del profilo relativo alla portata preclusiva, o meno, di una precedente condanna per reato di analoga natura.
B. Venendo al ricorso proposto da Salvatore Corrao, la Corte ritiene che il motivo di impugnazione sposti abilmente il terreno della decisione, ma non possa trovare accoglimento in quanto palesemente infondato.
La contestazione mossa al sig. Corrao si compone di quattro capi, che distinguono il porto abusivo del coltello, contestato al capo a), dal porto senza giustificato motivo degli alcuni attrezzi (cacciavite, pinza e tenaglia), contestato al capo d).
Ora, non vi è dubbio che un coltello da cucina di 32 centimetri di lunghezza, di cui ben 20 di lama, costituisca “strumento da punta o da taglio atto ad offendere” la persona, e si distingua dagli altri attrezzi trovati in possesso del ricorrente, valutati come strumenti da scasso, utilizzabili “per aprire o forzare serrature”.
La norma incriminatrice è univoca nel vietare di portare fuori dell’abitazione ogni “strumento da punta o da taglio atto ad offendere” la persona, ammettendo come lecita tale condotta solo in presenza di “giustificato motivo”.
Il tema che il sig. Corrao sottopone a questa Corte è se il porto del coltello per essere utilizzato per commettere un furto (e non per offendere una specifica persona) costituisca motivo giustificato.
Tale sarebbe, a suo dire, in quanto l’art. 4, citato, ha come bene protetto l’incolumità della persona e non la tutela della proprietà, bene, quest’ultimo, che gli stessi giudici di appello individuano come offeso dal ricorrente e dal suo complice.
Si tratta di argomento palesemente infondato.
Il secondo comma del citato art. 4 distingue chiaramente gli “strumenti da punta e da taglio atti a offendere”, tra cui ricade il coltello in questione, da “qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, che sia chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona”.
Ecco, mentre per questi ultimi (tra cui possono ricadere, ad esempio, cacciaviti di una qualche lunghezza) potrebbe trovare applicazione la prospettazione del ricorrente, essa è manifestamente non riferibile al coltello sequestrato nella sua disponibilità.
E, dunque, una volta ritenuto che quel coltello rappresenti un’arma (cioè uno strumento intrinsecamente “atto a offendere”, e non destinato in concreto a offendere) di cui è in via generale vietato il porto, del tutto correttamente i giudici di appello hanno concluso che il porto dello stesso non fosse giustificato.
Davvero non può convenirsi col ricorrente che l’utilizzo del coltello per commettere un furto costituisca “giustificato motivo” nel rispetto della previsione contenuta nel citato art. 4.
Sarebbe davvero paradossale che le rigorose previsioni dell’art. 4 della legge n. 110 del 1975, redatte in primo luogo per prevenire condotte criminose, includessero l’ipotesi in cui il porto di un coltello dalla lunga lama sia giustificabile dal detentore con l’intenzione di commettere un furto o altro reato non diretto alla persona.
Infine, deve escludersi che questa Corte possa prendere in esame la censura relativa all’elemento soggettivo del reato, trattandosi di valutazione di merito che, ove non si contesti il vizio di carenza di motivazione, esule dal giudizio di legittimità.
Alla luce delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n.186 della Corte costituzionale e della circostanza che non risulta dagli atti che i ricorrenti abbiano “proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio nonché al versamento della somma in favore della Cassa delle ammende, che, si reputa equo determinare in tremila euro ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17/09/2020.
Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2020.