REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IMPERIALI Luciano – Presidente –
Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –
Dott. DI PAOLA Sergio – Consigliere –
Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere –
Dott. RECCHIONE Sandra – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) EUGENIO nato a RIVOLI il 22/11/19xx;
avverso la sentenza del 09/10/2020 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa SANDRA RECCHIONE;
Il procedimento si celebra con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23 comma 8 del D.L. n. 137 del 2020 il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa ASSUNTA COCOMELLO ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Torino confermava la condanna del (OMISSIS) per il delitto di rapina, condotta aggravata dalla circostanza che l’aggressione era stata consumata in un luogo di privata dimora.
Si contestava al ricorrente di avere bloccato la vittima nell’ascensore del condominio e di essersi impossessato della sua borsa usando violenza alla persona.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:
2.1. violazione di legge (art. 628 cod. pen., 521 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione: la condotta contestata avrebbe dovuto essere qualificata come furto con strappo.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento dell’aggravante prevista dall’art. 628 comma 3, n. 3 bis cod. pen.: il luogo nel quale era stata consumata l’aggressione, ovvero l’ascensore di un condominio, non poteva qualificarsi come luogo di “privata dimora”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Circa la qualificazione giuridica della condotta, il collegio ribadisce che ricorre il delitto di rapina quando la condotta violenta sia stata esercitata per vincere la resistenza della persona offesa, anche ove la “res” sia particolarmente aderente al corpo del possessore e la violenza si estenda necessariamente alla persona, dovendo il soggetto attivo superarne la resistenza e non solo la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica tra possessore e cosa sottratta, giacché in tal caso è la violenza stessa – e non lo strappo – a costituire il mezzo attraverso il quale si realizza la sottrazione; si configura, invece, il delitto di furto con strappo quando la violenza sia immediatamente rivolta verso la cosa, seppur possa avere ricadute sulla persona che la detiene (Sez. 2 – , Sentenza n. 16899 del 21/02/2019, Melegari, Rv. 276558; Sez. 2, Sentenza n. 34206 del 03/10/2006, Vaccaro, Rv. 234776).
Nel caso in esame, dalla ricostruzione effettuata dalle due sentenze di merito emerge con chiarezza che la violenza esercitata dal (OMISSIS) era stata sicuramente diretta contro la persona offesa, dato che questi aveva ostruito la porta di ingresso dell’ascensore all’interno del quale si trovava la vittima, per poi aggredirla, scaraventarla a terra e privarla della borsa (pag. 5 della sentenza impugnata).
Non vi sono margini, dunque, per accogliere l’istanza di riqualificazione.
1.2. Anche le doglianze rivolte nei confronti del riconoscimento dell’aggravante prevista la rapina viene consumata in un luogo di “privata dimora” sono manifestamente infondate.
Si è già affermato, con giurisprudenza che si condivide, che integra il delitto di cui all’art. 624 bis cod. pen. (furto in abitazione), la condotta di colui che commetta il furto nella portineria di un condominio, in quanto la portineria di uno stabile condominiale rientra nell’ambito della tutela dei beni predisposta dall’art. 624 bis succitato, in ragione della sua destinazione a privata dimora ed essendo, in ogni caso, incontrovertibile la sua natura “pertinenziale” sia in riferimento all’unità immobiliare occupata dallo stesso portiere nello stesso stabile condominiale sia, pro quota, in riferimento a tutti gli altri appartamenti dell’anzidetto complesso (Sez. 5, Sentenza n. 28192 del 25/03/2008, Taglialatela, Rv. 240442 – 01; con riferimento alle “pertinenze” del condominio e, segnatamente, all’androne: Sez. 5, Sentenza n. 1278 del 31/10/2018, dep. 2019, Sini, Rv. 274389).
Si tratta di una giurisprudenza che trova autorevole conferma nella decisione delle Sezioni unite secondo cui per «delineare la nozione di privata dimora sulla base dei seguenti, indefettibili elementi:
a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne;
b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità;
c) non accessibilità dei luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare» (Sez. U, Sentenza n. 31345 del 23/03/2017; D’Amico, Rv. 270076 – 01, § 2).
In sintesi: tali approdi interpretativi consentono di qualificare come luogo di privata dimora non solo “l’abitazione”, ma anche ogni luogo nel quale si può dimorare – con modalità riservate – per un tempo apprezzabile ed in relazione al quale si può esercitare lo ius excludendi alios.
Sviluppando tale linea interpretativa deve ritenersi che le “pertinenze” dell’abitazione – come i garage, gli androni, i cortili condominiali e gli ascensori – devono essere considerati luoghi di “privata dimora”, sempre che l’accesso agli stessi sia consentito solo se autorizzato e la permanenza al loro interno possa durare per un tempo apprezzabile e con modalità riservate.
Circa la identificazione delle caratteristiche del bene pertinenziale si è già affermato – con giurisprudenza che si condivide – che «ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale tra bene principale e bene accessorio è necessaria la presenza del requisito soggettivo dell’appartenenza di entrambi al medesimo soggetto, nonché del requisito oggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale è necessario che il bene accessorio arrechi una “utilità” al bene principale» (Sez. 5, Sentenza n. 1278 del 31/10/2018, dep. 2019, Sini, Rv. 274389).
Nel caso in esame il collegio, in conformità con tali indicazioni ermeneutiche, ritiene integrata l’aggravante, dato che l’aggressione funzionale alla consumazione della rapina è stata agita all’interno di uno spazio di pertinenza dell’abitazione, ovvero il vano ascensore del condominio.
2. Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in €. 3000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000.00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 17 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2022.