Reato tributario non punibile se il debito è pagato prima del dibattimento (Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, Sentenza 14 marzo 2023, n. 10730).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARINI Luigi – Presidente – 

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere –

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere –

Dott. CORBO Antonio – Consigliere –

Dott. ZUNICA Fabio – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 20-01-2022 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere dott. Fabio Zunica;

lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. Raffaele Gargiulo, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020, che ha chiesto di rigettare il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 18 marzo 2022, la Corte di appello di Milano confermava la decisione del 15 febbraio 2021, con cui il Tribunale di Milano aveva condannato (OMISSIS) (OMISSIS) con i doppi benefici di legge, alla pena di 4 mesi di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 10-ter del d.lgs. 74 del 2000, a lui contestato, perché, quale amministratore unico della società (OMISSIS), con sede in Milano, ometteva di versare l’iva per l’anno 2016, per un Importo complessivo di euro 512.141,00; in Milano il 27 dicembre 2017.

Avverso la sentenza della Corte di appello meneghina, (OMISSIS) (OMISSIS), tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con il quale la difesa deduce l’erronea applicazione degli art. 51 cod. pen. e 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione agli art. 10-ter del medesimo decreto, osservando che l’imputato, pur avendo in corso un pagamento rateizzato con l’Erario(1), pur adempiendo regolarmente il pagamento delle rate e pur avendo accantonato liquidità per il pagamento del debito relativo a diverse annualità, si era trovato nell’impossibilità non solo di estinguere il debito prima della apertura del dibattimento, ma financo di concordare un diverso piano di pagamento con l’Erario, versando in uno stato di crisi che gli ha consentito di accedere alla definizione agevolata con riferimento alla totalità delle imposte da versare, tra cui l’iva del 2016, beneficiando della possibilità di estinguere i debiti iscritti a ruolo al netto delle sanzioni e degli interessi di mora, con un piano concordato in 18 rate, dal 31 luglio 2019 al 30 novembre 2023.

Tuttavia, la definizione agevolata ha permesso agli altri creditori di perseguire un soddisfacimento maggiore, mentre, qualora (OMISSIS) avesse provveduto al pagamento integrale dell’iva 2016 prima dell’apertura del dibattimento, comprensivo di sanzioni e interessi, avrebbe violato la par condicio creditorum.

Risulterebbe dunque chiaro il contrasto tra l’attuale formulazione dell’art. 13 del d. lgs. n. 74 del 2000 e i nuovi strumenti posti a disposizione del contribuente per l’adempimento del debiti tributari, per cui, alla luce del principio di non contraddittorietà dell’ordinamento, deve ritenersi che il piano di pagamento per la definizione agevolata concluso tra (OMISSIS) (OMISSIS) e l’Amministrazione costituisca uno strumento idoneo all’estinzione del debito tributario, rappresentando una delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributaria, menzionate dall’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000.

Del resto, non si poteva esigere da (OMISSIS), l’estinzione del debito tributario secondo le formalità previste dall’art. 13, posto che, con l’apertura della procedura di fallimento, l’imprenditore non può liberamente procedere al pagamento integrali di alcuni debitori, dovendo seguire le modalità delle procedure concorsuali.

Di qui la necessità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Premesso che non è in discussione Il giudizio sulla configurabilità del reato di cui all’art. 10 ter del d. lgs. n. 74 del 2000 ascritto al ricorrente, deve osservarsi che, rispetto al tema devoluto, ovvero la mancata applicazione da parte dei giudici di merito della causa di non punibilità di cui all’art. 13 del d.lgs. 74 del 2000, non si ravvisa alcun vizio di legittimità rilevabile in questa sede.

Sul punto deve osservarsi che, in primo grado, il Tribunale ha disatteso la richiesta difensiva, rilevando che l’imputato si era limitato a concordare con la Agenzia delle Entrate un piano di pagamento dei debiti tributari (cd. “rottamazione”), tra cui anche quello relativo all’imposta evasa, ossia l’Iva 2016, ma dalla documentazione acquisita non era possibile individuare il periodo dì imposta cui’ si riferiva il versamento della somma di 243.575,20 che la società amministrata dall’imputato, la (OMISSIS), aveva effettuato il 2 agosto 2019.

Non poteva dunque ritenersi comprovato il presupposto dell’invocata causa dì non punibilità, ovvero il pagamento Integrale del debito tributarlo, comprensivo di sanzioni e interessi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

La Corte di appello ha confermato la valutazione in parte qua del giudice di primo grado, ribadendo che era ostativa all’operativa dell’art. 13 la circostanza che, entro il limite processuale previsto dall’art. 492 cod. proc. pen., non era stato pagato l’intero debito concernente l’imposta evasa, fermo restando che il rispetto del piano concordato con l’Amministrazione finanziarla attraverso il pagamento delle rate, pur non escludendo la punibilità, era certamente elemento da valutare positivamente in relazione alla condotta generale dell’imputato.

Orbene, l’Impostazione dei giudici di merito appare immune da censure.

Deve premettersi al riguardo che l’art. 13 comma 1 del d.lgs. n. 74 del 2000, come modificato ad opera dell’art. 11 della legge n. 158 del 2015, recita: “i reati di cui agli art. 10-bis, 10-ter e 10-quater d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, non sono punibili se, prima della dichiarazione dì apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche se a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previsto dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso”.

Dunque, ciò che prima, in base al medesimo art. 13, costituiva una circostanza attenuante, è stato elevato, per certe fattispecie, a causa di non punibilità del reato, la quale, per sua natura, non incide sulla struttura del reato né sulla illiceità della condotta e rende del tutto ininfluente, sul piano penale, la disamina della qualificazione quale accordo novativo dell’accordo intervenuto tra debitore e amministrazione finanziaria per l’estinzione del debito tributario.

Ciò premesso, deve osservarsi che questa Corte (sentenza n. 34940 del 02/10/2020, non mass.) ha precisato, in modo condivisibile, che le speciali procedure conciliative di cui al decreto legge n. 119 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 136 del 2018 (e quelle analoghe previste dai decreto legge n. 193 dei 2016 e dal decreto legge n. 148 del 2017), sono comprese tra quelle indicate dall’art. 13 del d.igs. n. 74 dei 2000, ciò a prescindere dal fatto che, per effetto di tali procedure, non sono dovute le sanzioni e, in parte, anche gli interessi, apparendo tale impostazione del resto coerente con la chiara finalità deflattiva della norma, volta evidentemente a incentivare la riscossione delle entrate tributarie anche mediante il richiamo, volutamente generico, alle “speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento” previste dalle norme tributarie, dovendosi pertanto ribadire che le cd. “rottamazioni” ben possono essere ricomprese nel novero delle procedure di cui all’art. 13 del d.lgs. 74 del 2000, trattandosi di accordi di definizione agevolata delle pendenze tributarie che assicurano comunque il recupero all’Erario delle somme dovute.

A ciò deve aggiungersi che, ai sensi del comma 3 del citato art. 13, “qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità dell’articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa.

Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione”.

Dunque, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità, il legislatore, nel tentativo di bilanciare la certezza dei tempi processuali con l’esigenza di fornire all’imputato il tempo necessario per definire l’adempimento del debito, ha previsto che sia concesso un termine di tre mesi “per il pagamento del debito residuo”, termine che può essere prorogato una sola volta per non oltre tre mesi.

La previsione normativa è comunque chiara nel senso che la causa di non punibilità opera se entro la dichiarazione di apertura il dibattimento interviene non l’accordo tra contribuente e Fisco, ma l’integrale pagamento del debito.

Sul punto questa Corte, con orientamento condiviso dal Collegio, ha infatti chiarito che, in tema di reati tributari, l’accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito, quantunque comporti la rimodulazione della sua scadenza, che viene scansionata nel tempo in corrispondenza ai termini delle singole rate, non esclude che, al verificarsi di detta scadenza senza la soddisfazione totale del debito, il reato resti comunque configurabile, in quanto la previsione di una causa sopravvenuta di non punibilità del fatto lascia immutata l’illiceità della condotta, che non può ritenersi scriminata ai sensi dell’art. 51 cod. pen. né ai sensi dell’art. 59, comma quarto, cod. pen., per cui l’effetto novativo dell’obbligazione che deriva dall’accordo tra il contribuente e l’Amministrazione rimane circoscritto all’ambito tributario, non producendo conseguenze sul piano penale (cfr. Sez. 3, n. 15472 del 28/02/2020, Rv. 279012 – 02 e Sez. 3, n. 48375 del 13/07/2018, Rv. 274701).

Così ricostruito, il meccanismo di operatività delineato dall’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000 non presenta peraltro frizioni rispetto ai principi costituzionali, risultando assicurato un equo contemperamento tra diritto di difesa dell’imputato, ragionevole durata del processo e necessità di tutela dell’Erario.

Né costituisce un’anomalia il fatto che a una determinata condotta vengano attribuiti effetti parzialmente differenti da rami diversi dell’ordinamento giuridico.

Allo stesso modo, non è dirimente la circostanza che, dopo l’accesso della società amministrata da (OMISSIS), alla definizione agevolata dei debiti erariali, sia intervenuto il fallimento della (OMISSIS) s.r.l., non essendo stato spiegato nel ricorso né il motivo per cui era naufragato il tentativo di accesso dell’imputato al concordato preventivo, né quando sia intervenuto il fallimento, né quali disposizioni abbia impartito la curatela rispetto al pagamento dei debiti societari, né e soprattutto in che termini l’apertura della procedura concorsuale avrebbe inibito all’imputato il tempestivo pagamento delle rate residue, posto che non sussiste alcuna incompatibilità tra la dichiarazione di fallimento e la prosecuzione del pagamento dei debiti accumulati precedentemente con il Fisco.

In conclusione, la mancata applicazione nel caso di specie della causa di non punibilità di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000 invocata dalla difesa non presenta alcuna criticità formale e sostanziale, per cui, stante l’infondatezza delle doglianze sollevate e in sintonia con le conclusioni del Procuratore generale, il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) (OMISSIS) deve essere disatteso, con conseguente onere del ricorrente di provvedere al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 02/12/2022.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2023.

SENTENZA – copia originale -.

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(1) Tutti sappiamo che se un cittadino ha un contenzioso, come in sentenza, con l’agenzia delle entrate – riscossione, la stessa pretende di avere il dovuto in un unica soluzione (l’unica agevolazione é la rateizzazione delle somme dovute), quando la stessa Agenzia delle entrate, nel rimborsare le agevolazioni fiscali, può permettersi di farlo (senza nessuna legge in materia) in 10 anni e non in unica soluzione. E’, questa, considerata parità dei diritti tra la Pubblica Amministrazione ed il Cittadino?

No, una vera disparità tra cittadino e P.A. che, in caso di specie, vanno a violare gli art. 3, 24, 111 e 114 della Costituzione …