Resistenza a Pubblico Ufficiale: si contesta il reato anche se il soggetto si dia ad una fuga che metta in pericolo l’incolumità degli utenti della strada e costringa le forze di polizia ad un inseguimento pericoloso (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 9 ottobre 2019, n. 41408).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZEI Antonella P. – Presidente –

Dott. BIANCHI Michele – rel. Consigliere –

Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere –

Dott. SANTALUCIA Giuseppe – Consigliere –

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F.F., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 17/07/2018 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. BIANCHI Michele;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza pronunciata in data 17.7.2018 la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza pronunciata in data 18.12.2017 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Locri, che aveva ritenuto F.F. responsabile dei reati ascritti e lo aveva condannato alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 10.000 di multa.

L’imputazione riguarda fatti commessi in (OMISSIS): tentato furto di autovettura (capo A), resistenza nei confronti del pubblico ufficiale intervenuto in occasione del fatto che precede (capo B), il porto illegale in luogo pubblico di arma comune da sparo (capo C).

La ricostruzione dei fatti è stata operata sulla base delle testimonianze di D.N.S., quanto al capo A, e del m.llo N.F., quanto alle residue imputazioni.

Il primo aveva riferito di essersi recato all’interno di un supermercato e quindi in un negozio di frutta e verdura, lasciando la propria autovettura parcheggiata nel piazzale antistante, e di aver notato, attraverso la vetrina del negozio, che uno sconosciuto era entrato all’interno della sua auto: egli era quindi uscito dall’esercizio commerciale urlando e così aveva costretto alla fuga il malintenzionato.

Il m.llo N., trovandosi in loco, aveva notato la fuga dell’uomo, che era riuscito a salire a bordo di un furgone, e si era messo all’inseguimento del mezzo, allertando anche la centrale operativa; dopo una serie di manovre, anche per sfuggire alla pattuglia che era sopraggiunta, finalmente il furgone si bloccava; il m.llo faceva scendere dal mezzo il passeggero, poi identificato nell’imputato, il quale estraeva una pistola; il militare prontamente impugnava l’arma in dotazione, inducendo così il F. ad abbassare la propria e a darsi alla fuga a piedi, dileguandosi.

Veniva identificato, e tratto in arresto, il conducente del furgone, Tramite la targa del veicolo si risaliva alla proprietaria, che risultava essere, in base alle informazioni in possesso dei carabinieri del luogo di residenza, fidanzata dell’imputato.

Acquisite fotografie dei componenti della famiglia F., il m.llo N. riconosceva l’imputato.

Emesso decreto di fermo da parte del pubblico ministero, in data 25.7.2017 l’imputato si costituiva e all’udienza di convalida ammetteva il proprio coinvolgimento nella vicenda, precisando di essere salito a bordo di un’auto, e di esserne subito uscito avendo deciso di rinunciare al reato, e di essere poi stato inseguito dai carabinieri, davanti ai quali aveva estratto una pistola a salve, che però non aveva puntato.

Su indicazione dell’indagato in data 1.9.2017 veniva rinvenuta una pistola a salve.

La Corte di appello, in particolare, ha escluso la sussistenza, quanto al capo A, della desistenza volontaria, in quanto l’uscita dall’auto, da parte dell’imputato, era stata determinata dall’intervento del proprietario che si era diretto, urlando, verso l’auto.

L’elemento oggettivo del capo B era stato integrato dalla fuga col furgone, che aveva messo in pericolo la incolumità degli inseguitori e degli utenti della strada in un centro cittadino, e dalla minaccia con la pistola puntata contro il m.llo N. .

Era stato provato il porto di una arma comune da sparo sulla base della descrizione che ne aveva fatto il teste N., che aveva escluso che fosse una pistola a salve e, in particolare, quella successivamente rinvenuta su indicazione dell’imputato.

Quanto al trattamento sanzionatorio, al F. sono state negate le attenuanti generiche, per la gravità dei fatti e per l’assenza di un reale atteggiamento collaborativo, è stata applicata la recidiva, e riconosciuta la continuazione tra i reati ascritti, più grave il capo C. 2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di F.F., chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

Con il primo motivo viene denunciata la violazione dell’art. 56, comma 3, c.p., in relazione al requisito della spontaneità della condotta di desistenza, richiesto dai giudici del merito, ma in realtà estraneo dalla disposizione normativa.

Con il secondo motivo viene denunciata la violazione dell’art. 337 c.p., in quanto l’elemento oggettivo del reato era stato ritenuto sussistente pur in presenza di una condotta di fuga.

Con il terzo motivo si denuncia difetto di motivazione in ordine alla individuazione dell’arma avvenuta mediante riconoscimento fotografico compiuto senza l’osservanza della disciplina processuale.

Il quarto motivo denuncia difetto di motivazione in ordine alla applicazione della recidiva.

Con il quinto motivo viene denunciato difetto di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche.

3. Il Procuratore generale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso, per diverse ragioni, va dichiarato inammissibile.

1. Con il primo motivo viene censurato, con riferimento alla condanna per il capo A, il diniego della esimente della desistenza volontaria, sotto i profili del difetto di motivazione e della violazione dell’art. 56 c.p., comma 3.

Il motivo è manifestamente infondato.

Con riguardo alla motivazione, la sentenza impugnata ha esaminato il relativo motivo di gravame, condividendo il giudizio formulato dal primo giudice circa la non volontarietà dell’allontanamento dell’imputato dall’auto.

Il motivo, dunque, si risolve nella riproposizione dell’assunto secondo il quale la condotta dell’imputato era stata comunque frutto di autodeterminazione, con conseguente integrazione della esimente della desistenza volontaria.

Ora, in ordine alla interpretazione del requisito della “volontarietà” della condotta di desistenza dall’azione criminosa, richiesto dalla norma di cui all’art. 56 c.p., comma 3, la giurisprudenza ha chiarito che non è richiesto che sia frutto di resipiscenza, bensì, conformemente al significato del termine utilizzato dal legislatore, che sia espressione di una scelta individuale del soggetto, che non è ravvisabile qualora il reo, nel corso dell’azione delittuosa, incontri difficoltà oggettive ovvero soggettive che lo inducano a rinunciare alla consumazione del reato e quindi rendono necessitata l’opzione di desistenza.

Le sentenze di merito hanno dato atto che l’abbandono dell’auto da parte dell’imputato era avvenuta solo quando il proprietario era intervenuto e, urlando, si era diretto verso la propria autovettura, così rendendo palese al F. che l’azione furtiva non poteva più essere utilmente portata a consumazione e che dunque era necessaria la fuga immediata.

L’esclusione della invocata esimente è dunque fondata sulla corretta applicazione dell’art. 56 c.p..

2. Con il secondo motivo viene denunciata, in relazione alla condanna per il capo B, la violazione dell’art. 337 c.p. in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo – non integrando la fuga così detta passiva la necessaria “violenza o minaccia” – e difetto di motivazione della ascrivibilità della condotta all’imputato, mero passeggero nel furgone condotto dal correo G..

Il motivo è articolato genericamente e, comunque, è manifestamente infondato.

Le argomentazioni svolte, infatti, non si confrontano con il dato fattuale, valorizzato dai giudici del merito, della condotta di minaccia, con arma comune da sparo, realizzata dal F. nei confronti del m.llo N., condotta commessa direttamente dall’imputato e integrante l’elemento oggettivo richiesto dalla fattispecie ascritta.

Inoltre, con riguardo alla condotta di fuga, è stato precisato che integra l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 337 c.p. la condotta di chi, per sfuggire all’intervento delle forze dell’ordine, si dia ad una fuga che metta in pericolo l’incolumità degli utenti della strada e costringa le forze di polizia ad un inseguimento pericoloso (Sez. 6, 8/04/2003, Laraspata, Rv. 226251; Sez. 4, 14/07/2006, Campicello, Rv. 235535).

La sentenza di appello ha precisato che i fuggitivi avevano posto in essere manovre pericolose, sia per sfuggire all’inseguimento del m.llo N. sia per evitare il posto di blocco attuato dalla pattuglia che era sopraggiunta, in un centro cittadino e in orario di tarda mattinata, e così avevano creato pericoli per la circolazione stradale e per le forze dell’ordine.

Correttamente, quindi, è stata ravvisato l’elemento oggettivo della fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale anche nella condotta di fuga concretamente attuata dall’imputato e dal correo.

Quanto alla ascrivibilità all’imputato di tale condotta, già il primo giudice aveva evidenziato come la successiva condotta di minaccia a mano armata fosse significativa di una piena adesione del F. alla precedente condotta realizzata dal correo alla guida del furgone.

Sul punto, la difesa non aveva proposto motivo di appello.

3. Con riferimento alla condanna per il capo C, il terzo motivo denuncia la inutilizzabilità del riconoscimento fotografico, in quanto compiuto senza l’osservanza delle modalità di cui all’art. 213 c.p.p..

Il motivo è manifestamente infondato.

Si deve precisare che si tratta, in realtà, di non-riconoscimento, in quanto il teste m.llo N., avuta visione dell’arma sequestrata su indicazione dell’imputato, ha dichiarato di non riconoscerla come l’arma che l’imputato gli aveva puntato contro, ed ha aggiunto che quell’arma era priva di tappo.

Così puntualizzata la rilevanza probatoria dell’atto istruttorio di cui la difesa assume la inutilizzabilità, si deve osservare che il giudizio &stato celebrato con rito abbreviato, e dunque con la legittima utilizzazione degli atti istruttori assunti nel corso delle indagini preliminari che non siano affetti da inutilizzabilità così detta patologica, non ravvisabile nel caso di specie in ragione del principio della libertà delle prove, ai sensi dell’art. 189 c.p.p..

Inoltre, si deve rilevare che si tratta di prova non decisiva, in quanto l’accertamento circa la caratteristica di arma comune da sparo della pistola puntata contro il m.llo N. è stato fondato, in positivo, sulla testimonianza dello stesso, ritenuta attendibile in ragione delle condizioni di visibilità, della precisione del ricordo e della competenza specifica del soggetto, che aveva affermato che la pistola aveva le caratteristiche identificative di una arma comune da sparo, e non di una pistola così detta giocattolo.

A fronte di tale compendio probatorio il non riconoscimento della pistola giocattolo fatta rinvenire dall’imputato costituisce un dato che conferma la prova testimoniale, senza peraltro costituire un dato probatorio decisivo nello specifico accertamento.

4. I motivi quarto e quinto riguardano il trattamento sanzionatorio, in relazione, rispettivamente, alla applicazione della recidiva e al diniego delle attenuanti generiche.

Quanto alla applicazione della recidiva, sul punto la difesa non aveva proposto motivo di appello e dunque la censura, ora proposta con ricorso per cassazione, non è consentita ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3.

Quanto al diniego delle attenuanti generiche, che l’atto di appello aveva censurato perchè “… nessuna valutazione è stata operata”, il quinto motivo è articolato genericamente, in quanto non svolge alcun specifico rilievo alla motivazione della sentenza di appello che ha espressamente condiviso, e quindi richiamato, le valutazioni del primo giudice.

Il motivo, dunque, si risolve nella proposizione di una censura diretta alla decisione e non alla adeguatezza della relativa motivazione, con la quale la difesa, nè con l’atto di appello nè con il ricorso, si è mai confrontata criticamente.

5. Va dunque dichiarata la inammissibilità del ricorso, cui consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma a favore della Cassa delle Ammende, che si reputa equo determinare in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2019.

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337. Resistenza a un pubblico ufficiale. (1)

Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale [c.p. 357] o ad un incaricato di un pubblico servizio [c.p. 358], mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni [c.p. 29, 32; c.p.p. 7] (2).

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(1) Vedi gli artt. 11 e 43, R.D. 18 giugno 1931, n. 773, di approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e l’art. 9, primo comma, L. 18 aprile 1975, n. 110, per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi.

(2) Vedi, anche, l’art. 7, n. 8, D.M. 7 dicembre 1927, sull’accertamento delle infrazioni alla polizia ferroviaria, e l’art. 393-bis del codice penale, aggiunto dal comma 9 dell’art. 1, L. 15 luglio 2009, n. 94.