Respinto ricorso Fininvest contro Gedi per supposta campagna denigratoria (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 31 luglio 2023, n. 23315).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott.        FRANCO DE STEFANO                         – Presidente –

Dott.        PASQUALE GIANNITI                           – Consigliere –

Dott.        MARCO DELL’UTRI                               – Rel. Consigliere –

Dott.        MARCO ROSSETTI                                – Consigliere –

Dott.ssa  IRENE AMBROSI                                   – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 29980/2020 proposto da:

(omissis) S.P.A., in persona del legale rappresentante, elett.te domiciliata in (omissis) che la rappresenta e difende;

ricorrente

contro

(omissis) (omissis) (omissis) S.P.A., in persona del legale rappresentante (omissis) (omissis) (omissis), elett.te domiciliati in (omissis) che li rappresentano e difendono;

controricorrenti

avverso la sentenza n. 985/2020 della CORTE D’APPELLO DI ROMA depositata il 10/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/05/2023 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale della Repubblica, Dott. STANISLAO DE MATTEIS, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

lette le memorie delle parti.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza resa in data 10/2/2020, la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta dalla (omissis) s.p.a. per la condanna di (omissis) (omissis) (omissis) s.p.a., (omissis) (omissis) al risarcimento dei danni asseritamente subiti dalla società attrice a seguito della pubblicazione, da parte dei convenuti, di taluni articoli, asseritamente costituenti una complessiva campagna giornalistica, dal contenuto gravemente diffamatorio nei confronti della (omissis) s.p.a..

2. A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato come il contenuto complessivo degli articoli contestati dalla società attrice non presentasse espressioni oggettivamente tali risultare lesive dei principi che circoscrivono i limiti del legittimo esercizio del diritto di manifestazione del pensiero, avendo gli autori di tali scritti rispettato il requisito della verità, anche putativa, dei fatti riportati, la continenza dell’esposizione e l’interesse pubblico delle notizie diffuse, con la conseguente correttezza della decisione del giudice di primo grado nella parte in cui aveva escluso il carattere obiettivamente diffamatorio degli articoli oggetto del giudizio.

3. Avverso la sentenza d’appello, la (omissis) s.p.a. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione.

4. La (omissis) (omissis) (omissis) s.p.a., (omissis) (omissis) resistono con controricorso.

5. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha concluso per iscritto, invocando il rigetto del ricorso.

6. Tutte le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la società ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 111 , degli artt. 132, n. 4, e 342 c.p.c., dell’art. 24 Cost. e dell’art. 81 c.p.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale dettato una motivazione meramente apparente a fondamento della decisione assunta, attesa l’impossibilità di cogliere, attraverso la lettura del discorso giustificativo elaborato dalla corte territoriale, il percorso logico-giuridico seguito ai fini del rigetto della domanda risarcitoria originariamente proposto dalla società attrice, anche in considerazione del mancato esame, da parte del giudice a quo, della natura complessiva e integrata della campagna di stampa orchestrata dalle controparti ai danni della società ricorrente.

2. Il motivo è infondato.

3. Osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 132, n. 4, c.p.c., il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum.

4. Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, infatti, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili.

5. In ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie (ex plurimis, 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01).

6. Ciò posto, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dalla corte territoriale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo la corte d’appello dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili alle pubblicazioni esaminate e del grado della relativa offensività sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica.

7. Mette conto di ribadire, al riguardo, come, secondo il già richiamato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. si configura solo laddove l’eventuale contraddittorietà o insufficienza della motivazione emerga, non già in relazione ai singoli atti del processo, come preteso dalla società ricorrente, bensì ad elementi ad essa interni, dovendo con immediatezza risultare, la pretesa incoerenza logica dell’argomentazione contenuta nella decisione impugnata, dalla lettura del medesimo testo della sentenza, senza riferimenti ad elementi ad esso estranei.

8. Da tali premesse occorre pertanto rilevare come, attraverso la proposizione della doglianza in esame, la società ricorrente si sia limitata alla sostanziale prospettazione di una rilettura complessiva dei dati di causa, in particolare sotto il profilo della (ritenuta) natura diffamatoria, non già (o non solo) dei singoli articoli analiticamente e singolarmente considerati, bensì della pretesa ‘campagna giornalistica’ nel suo complesso asseritamente orchestrata dai convenuti: una prospettiva critica che, tuttavia, travalica i limiti propri del giudizio di legittimità, al quale non è consentito spingersi alla prospettazione di una riformulazione della valutazione di merito dei fatti di causa in contrasto con quella (implicitamente o esplicitamente) fatta propria dal giudice d’appello.

9. L’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base delle premesse indicate è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dalla società ricorrente.

10. Con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale illegittimamente omesso di esaminare l’insieme dei fatti analiticamente e diffusamente riportati in ricorso dalla (omissis) fatti e circostanze che, là dove opportunamente considerati dal giudice d’appello, avrebbero con certezza condotto a un diverso esito della decisione.

11. Il motivo è inammissibile.

12. Osserva il Collegio come la sentenza impugnata, nel confermare la decisione di primo grado sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a fondamento del proprio dictum, sia valsa ad integrare gli estremi di una d. ‘doppia conforme’, tale da rendere inammissibile l’evocazione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. in forza di quanto disposto dall’art. 348-ter c.p.c..

13. Ciò posto, varrà considerare come l’inammissibilità della censura in esame chieda d’essere ulteriormente apprezzata in termini generali, dovendo ritenersi che la diffusa e analitica riproposizione, da parte della società ricorrente, dei fatti il cui esame il giudice d’appello avrebbe asseritamente omesso, abbia del tutto trascurato di articolare in modo adeguato, tanto il carattere oggettivamente fattuale di quanto non esaminato (nella misura in cui risulta contestata la sola omessa o disapprovata valutazione di mezzi istruttori in sé considerati), quanto la pretesa decisività della ridetta omissione (pur ammettendone, in tesi, il concreto ricorso, in contrasto con l’approccio onnicomprensivo seguito dal giudice d’appello), tenuto conto che la prospettiva cui tende il vizio di cui all’art. 360 5 c.p.c. non prefigura l’ipotesi di una qualunque riformulazione del giudizio probatorio alla luce dei fatti (asseritamente) non considerati dal giudice del merito, bensì una prospettazione che valga necessariamente a configurare un esito certamente diverso del giudizio: esito nella specie non evidenziato, né adeguatamente prospettato o argomentato dalla società ricorrente.

14. Con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 21 Cost., 51 e 595 c.p., 2043 e 2049 c.c., nonché dell’art. 10 della CEDU e 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente disatteso l’istanza risarcitoria avanzata dalla società ricorrente, avendo trascurato di rilevare la totale sottrazione, da parte degli autori dei testi oggetto dell’odierno esame, al vigore dei principi che, sulla base della consolidata interpretazione dei parametri normativi richiamati, valgono a legittimare il libero esercizio della manifestazione del pensiero (segnatamente, la verità – sia pure putativa – dei fatti riportati e la continenza dell’espressione); esercizio nella specie rivelatosi, al contrario, gravemente diffamatorio nei confronti della società ricorrente.

15. Il motivo è inammissibile.

16. Osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione e la valutazione dell’esistenza o meno dell’esimente dell’esercizio dei diritti di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione, con la conseguenza che il controllo affidato alla Corte di cassazione è limitato alla verifica dell’avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusione delle notizie, nonché al sindacato della congruità della motivazione, secondo la previsione dell’art. 360, comma 1, 5, c.p.c., applicabile ratione temporis, restando estraneo al giudizio di legittimità l’accertamento relativo alla capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 2605 del 27/01/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 18631 del 09/06/2022, Rv. 665016 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 5811 del 28/02/2019, Rv. 652997 – 01).

17. Nel caso di specie, la corte territoriale ha avuto cura di analizzare il contenuto dei testi denunciati dalla società attrice alla luce di ciascuno dei parametri evocati dalla ricorrente, rilevando come gli articoli contestati rispettassero pienamente, tanto il criterio della d. verità putativa, quanto quello della continenza espressiva, apparendo, peraltro, del tutto incontestato l’indice del carattere obiettivo dell’interesse pubblico alla divulgazione di quanto pubblicato.

18. Ciò posto, escluso, in forza di tali premesse, in concreto il prospettabile ricorso di un’ipotesi di violazione della legge nazionale o di quella sovranazionale richiamate dalla società ricorrente, la residua critica di quest’ultima finisce col circoscriversi entro i limiti del denunciato vizio di motivazione, e dunque di una pretesa erronea ricognizione dei fatti di causa sulla base di un’errata interpretazione dei mezzi istruttori: e, pertanto, ancora una volta sulla base di una prospettiva critica, in quanto tale non consentita in sede di legittimità.

19. Sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, il ricorso va rigettato.

20 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in favore dei controricorrenti e tra loro in solido, attesa l’evidente identità della posizione processuale.

21. Dev’essere, infine, dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti e tra loro in solido, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 8.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione del 26/5/2023.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.