Riconosciuta la particolare tenuità al papà separato, che versa gli arretrati per il mantenimento dei figli (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 24 marzo 2022, n. 10630).

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Presidente –

Dott. APRILE Ercole – Consigliere –

Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere –

Dott. ROSATI Martino – Rel. Consigliere –

Dott. DI GERONIMO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS), il 24/05/19xx;

avverso la sentenza del 24/11/2020 della Corte di appello di Caltanissetta;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Rosati Martino;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Cimmino Alessandro, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. (OMISSIS) (OMISSIS), attraverso il proprio difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta del 24 novembre 2020, che ne ha confermato la condanna per il delitto di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2), per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla propria figlia minore (OMISSIS), non versando l’assegno di mantenimento impostogli dal giudice civile con sentenza di separazione coniugale, nè provvedendo altrimenti.

2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione nel capo relativo all’affermazione di colpevolezza, sotto il duplice profilo:

a) della sussistenza di uno stato di bisogno della minore, versando, anzi, ella in condizioni agiate, secondo quanto riferito dalla stessa madre querelante;

b) della configurabilità del dolo, avendo egli dimostrato di essere disoccupato ed impossidente, di aver comunque fatto pervenire alla moglie piccoli aiuti economici e beni di prima necessità, nonché avendo adempiuto regolarmente il proprio obbligo non appena ottenuta una stabile occupazione lavorativa, versando altresì tutti gli arretrati.

2.2. Violazione di legge e vizi di motivazione nella parte relativa al diniego della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, avendo la Corte d’appello omesso di tenere nella dovuta considerazione, a tal fine, la sostanziale incensuratezza del ricorrente e la sua condotta riparatoria, sintomatiche della mera occasionalità del suo illecito.

2.3. Violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alla subordinazione della sospensione condizionale della pena all’ulteriore adempimento della prestazione di attività lavorativa non retribuita in favore della collettività.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di principi costantemente affermati da questa Corte in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare:

ovvero che l’incapacità economica dell’obbligato dev’essere assoluta ed integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti (Sez. 6, n. 53173 del 22/05/2018, R., Rv. 274613; Sez. 6, n. 33997 del 24/06/2015, C., Rv. 264667);

che incombe all’interessato l’onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi tale impossibilità di adempiere, non essendo idonea, a tal fine, la dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà (tra le tantissime, Sez. 6, n. 8063 del 08/02/2012, G., Rv. 252427), nè potendo la sua responsabilità essere esclusa in base alla mera documentazione formale dello stato di disoccupazione (Sez. 6, n. 7372 del 29/01/2013, S., Rv. 254515; Sez. 6, n. 5751 del 14/12/2010, dep. 2011, P., Rv. 249339);

che il reato sussiste anche se l’altro genitore provveda in via sussidiaria a corrispondere ai bisogni della prole, senza che possa rilevare l’eventuale convincimento del genitore inadempiente di non essere tenuto, in tale situazione, all’assolvimento del suo primario dovere (Sez. 6, n. 34675 del 07/07/2016, R., Rv. 267702; Sez. 6, n. 53607 del 20/11/2014, S., Rv. 261871);

che, infine, la minore età dei discendenti rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi (Sez. 6, n. 53607 del 20/11/2014, cit.; Sez. 6, n. 20636 del 02/05/2007, Cerasa, Rv. 236619).

Per questa parte, dunque, l’impugnazione dev’essere respinta.

2. Merita d’essere accolto, invece, il secondo motivo di ricorso, in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, poiché, sul punto, la motivazione della sentenza impugnata non può ritenersi adeguata.

Laddove valorizza la protrazione della condotta nel tempo ed i “derivati riflessi improntati ad una concreta gravità”, essa è generica ed assertiva, poiché non spiega in cosa consista tale “gravità” e non si misura, invece, sotto tale profilo, con l’indiscusso adempimento, ancorché tardivo, anche del debito arretrato, che ha sostanzialmente neutralizzato, quanto meno, il nocumento patrimoniale provocato dal reato.

Allorché, poi, afferma che tale comportamento post delictum non possa essere comunque tenuto in considerazione perché “non elide l’antigiuridicità della condotta”, la Corte incorre in un vero e proprio errore di diritto.

L’art. 131-bis c.p., delinea, infatti, una causa di non punibilità, fondata sul presupposto della inutilità della pena in presenza di un’offesa minima al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice.

Perché, dunque, possa ritenersi non meritevole di pena, la condotta deve comunque necessariamente conservare la propria connotazione di antigiuridicità, e cioè di conformità al tipo legale e di offensività, dovendosi altrimenti pervenire ad un esito assolutorio, a seconda dei casi, perché il fatto non sussiste oppure non costituisce reato o non è previsto dalla legge come tale.

La valorizzazione della perdurante antigiuridicità della condotta dell’imputato, operata dalla sentenza, non è dunque congruente rispetto alla determinazione su di essa fondata.

3. Dev’essere assentita, infine, anche la terza doglianza.

L’affermazione contenuta in sentenza, per cui non sarebbe sindacabile in appello il riconoscimento o meno della sospensione condizionale della pena, è giuridicamente errata, trattandosi, sul punto, di un giudizio di fatto, che, se devoluto con l’atto d’appello, impone al giudice investito di quest’ultimo di pronunciarsi. Il precedente di legittimità che la Corte distrettuale cita a conforto di tale sua determinazione (Sez. 3, n. 7608 del 17/11/2009, dep. 2010, Ammendola, Rv. 246183) non è conferente, poiché si riferisce al sindacato del giudice di legittimità, come si coglie agevolmente dalla lettura della relativa motivazione e non della sola massima da essa estratta.

4. Sui punti oggetto del secondo e del terzo motivo di ricorso, dunque, la sentenza impugnata dev’essere annullata, con rinvio al giudice di merito, affinché provveda al necessario supplemento di motivazione in conformità ai delineati principi di diritto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al diniego di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., e della sospensione condizionale della pena, con rinvio per nuovo giudizio su tali punti ad ara sezione della Corte di appello di Caltanissetta.

Rigetta il ricorso nel resto.

In caso di diffusione, omettere i dati identificativi delle persone citate in sentenza, ai sensi dell’articolo 52, comma 1, d.lgs. 196/2003.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.