Ricusazione del giudice per grave inimicizia. La nozione di inimicizia.

(Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, ordinanza interlocutoria 23 giugno 2015, n. 13021)

Ritenuto in fatto

Con ricorso pervenuto alla Corte il 19 giugno 2015 l’Avvocato S.S. ha presentato “interpello per astensione e, in difetto, ricorso per ri­cusazione” nei confronti dei Dottori L.A.R., A.A. e Alberto G., componenti il collegio delle sezioni unite civili che il giorno 23 giugno 2015 dovrebbe decidere il ricorso proposto dal suddetto Avvocato S. in proprio “per la cassazione, per motivi di giurisdizione sotto il profilo dell’eccesso di potere giurisdizionale e diniego di giustizia” di trentuno sentenze del Consiglio di Stato in epigrafe indicate, con cia­scuna delle quali “i cinque componenti il collegio, singolarmente ricusati, hanno deciso ex se la ricusazione a loro singolare carico” e hanno “dene­gato la declaratoria di perenzione pur richiesta dal ricorrente”.

Il ricorrente sollecita i tre magistrati indicati ad astenersi dalla trattazione del ricorso iscritto al R.G. n. 13402/13, sostenendo che “sussistono ragionevoli e motivate ragioni per ritenere che fra Loro ed il sottoscritto, nei sensi e nei limiti sopra specificati, si sia creato un rapporto di conflit­tualità ed inimicizia, aggravato da palesi fattori di vis preventionis e inte­resse personale, integranti la fattispecie di cui all’art. 51, comma 1, n. 3 e n. 1 CPC», e, in difetto, propone la loro singolare ricusazione, eccepen­do preliminarmente la illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, cod. proc. civ., «nella misura in cui attribuisce a Collegio composto da soli giudici togati, senza il correttivo della presenza, quantomeno di rappre­sentanti della Collettività (sul tipo della Corte d’Assise), la decisione sulla ricusazione del giudice, nel caso che occupa, civile (ma il discorso vale anche per quello penale), per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., salvi altri parametri.

Non essendo stata depositata alcuna istanza di astensione da parte dei magistrati cui è rivolto l’interpello, il ricorso per ricusazione è stato trattato all’udienza del 23 giugno 2015.

Il ricorrente ha depositato memoria che ha illustrato nell’adunanza came­raie.

II P.M. ha concluso per la inammissibilità del ricorso per ricusazione.

Considerato in diritto

I. — Deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione proposta dal ri­corrente con riferimento alla mancata osservanza, nel caso di specie, dei termini di cui all’art. 377 cod. proc. civ.

Il fatto che nel procedimento di ricusazione debba essere garantito il con­traddittorio, dovendo le parti essere messe in condizione di intervenire e adeguatamente interloquire, non comporta che sia configurabile un diritto delle parti a termini predeterminati, non previsti dalla disciplina vigente e non compatibili con le caratteristiche e la natura dei procedimento. La di­sciplina dettata dagli artt. 51 e 54 cod. proc. civ., infatti, non prevede in proposito alcun termine né opera rinvio ad altri tipi di procedimento con­templati nel codice di rito e prevedenti i termini suddetti.

Nella specie, il contraddittorio è stato effettivamente garantito, posto che del giorno fissato per la trattazione si è disposta la comunicazione alle parti del processo nel quale è stata proposta la revocazione e che all’adunanza camerale sono intervenuti la parte istante in ricusazione e il P.G., mentre le altre parti non hanno ritenuto di intervenire.

Il ricorrente, inol­tre, ha potuto depositare una memoria difensiva e illustrare le ragioni della propria istanza, senza neanche sollecitare un rinvio della discussio­ne.

2. – La sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, primo comma, cod. proc. civ., censurato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., salvi altri parametri, ««nella misura in cui attribuisce a Collegio composto da soli giudici togati, senza il correttivo della presenza, quan­tomeno di rappresentanti della Collettività (sul tipo della Corte d’assise), la decisione sulla ricusazione del giudice, nel caso che occupa, civile (ma il discorso vale anche per quello penale)», a parte evidenti profili di i­nammissibilità, in considerazione dell’ampia discrezionalità che va ricono­sciuta al legislatore nella conformazione degli istituti processuali, ivi com­presa la composizione degli organi giudicanti, e della circostanza che la soluzione proposta non appare costituzionalmente obbligata, è manife­stamente infondata.

Infatti, il procedimento di ricusazione non si configura come un procedi­mento a carico del giudice ricusato, in cui lo stesso sia parte, e pertanto non può ritenersi fondato un generale sospetto di parzialità del giudice della ricusazione in conseguenza del generico rapporto di “colleganza”.

D’altra parte, la Corte costituzionale (sent. n. 444 del 2002), a fugare ogni sospetto di parzialità, ha ritenuto sufficiente il meccanismo previsto dagli artt. 11 cod. proc. pen. e 30-bis cod. proc. civ., operando, peraltro, alcune attenuazioni allo spostamento di competenza in alcune specifiche controversie civili.

3. – Venendo ai motivi specifici di ricusazione, nei confronti dei tre magi­strati viene ipotizzata la sussistenza delle cause di ricusazione di cui all’art. 51, n. 3 e n. 1, cod. proc. civ.

Premesso che le ipotesi previste dall’art. 51, ai fini della possibilità di a­stenersi e, correlativamente, dall’art. 52, relativo alla ricusazione, sono tassative e non estensibili per via interpretativa e che l’inimicizia prevista dall’art. 51, n. 3, cod. proc. civ. deve riguardare “rapporti estranei al pro­cesso” e non può essere dimostrata sulla base di soli comportamenti processuali del giudice, ritenuti anomali dalla parte ricusante, la quale è te­nuta a indicare fatti e circostanze concrete che rivelino l’esistenza di ra­gioni di rancore o di avversione (Cass. n. 12345 del 2001; Cass. n. 22501 del 2014), il ricusante non ha allegato, né tanto meno provato, la sussi­stenza di fatti integranti una “grave inimicizia” nei termini su precisati tra lui e i tre giudici, né di fatti integranti la prova di un “interesse” dei tre giudici “nella causa o in altra vertenza su identica questione di diritto”, né, tanto meno che tale interesse sia “personale e diretto”.

4. – Con riferimento alla ricusazione del Presidente R. e del Consi­gliere G., la stessa prospettazione del ricorrente appare inammissibile.

Il Collegio ritiene, infatti, che la ricusazione non possa essere proposta per la decisione assunta dal giudice su una precedente istanza di ricusa­zione, come in genere per l’adozione di un provvedimento giurisdizionale tipico, sol perché il detto provvedimento accolga una soluzione contraria all’interesse della parte.

In altri termini, ove la ricusazione venga propo­sta addebitando al giudice di avere adottato o concorso ad adottare un provvedimento giurisdizionale tipico, al di fuori di quanto previsto dal n.4 dell’art. 51 cod. proc. civ., si è al di fuori dello statuto della ricusazione, non essendo individuabile nelle ipotesi tassative descritte nel citato arti­colo, richiamate dall’art. 52 come altrettante ipotesi di ricusazione, quella dell’adozione di un provvedimento che non accolga ie istanze della parte.

Né il rigetto delle istanze può essere ascritto per ciò solo a grave inimici­zia del giudice, dovendo la grave inimicizia preesistere al procedimento nel quale il provvedimento è adottato.

D’altra parte, l’anomalia del prov­vedimento, che pure potrebbe costituire sintomo della causa di astensio­ne costituita dalla grave inimicizia, deve essere evidente e agevolmente riconoscibile in quanto tale, senza quindi che possa desumersi alcunché dal merito di una decisione adeguatamente motivata, ma non condivisa dalla parte.

Del resto, le stesse ordinanze del 2014 di queste Sezioni Uni­te, contrariamente a quanto supposto dal ricorrente, non hanno affatto escluso la possibilità che le condotte processuali tenute dai giudici desti­natari della richiesta di ricusazione possano avere una qualche rilevanza a tali fini, ma hanno precisato che la detta rilevanza postula che le anoma­lie denunciate «siano tali da non consentire neppure più [‘identificazione dell’atto come provvedimento giurisdizionale». Ipotesi, questa, che in ve­rità neanche il ricorrente formula in questa sede.

Prive di fondamento sono poi le ulteriori osservazioni in ordine alla valo­rizzazione della pendenza di una causa di responsabilità ex legge n. 117 del 1988. In proposito, è sufficiente qui ricordare quanto di recente af­fermato dalla VI Sezione Penale della Corte: «Il magistrato la cui condot­ta professionale sia stata oggetto di una domanda risarcitoria ex lege n. 117/1988 non assume mai la qualità di debitore di chi tale domanda ab­bia proposto. Ciò per l’assorbente ragione che la domanda (anche dopo la legge n. 18/2015) può essere proposta solo ed esclusivamente nei con­fronti dello Stato (salvi i casi di condotta penalmente rilevante, art.13).

Né la eventualità di una successiva rivalsa dello Stato nei confronti dei magistrato, nel caso in cui quell’originaria azione si sia conclusa con la condanna dell’Amministrazione, muta la conclusione, perché i presupposti e i contenuti dell’azione di rivalsa sono parzialmente diversi da quelli dell’azione diretta della parte privata nei confronti del solo Stato (art. 7; artt. 2 e 3).

II che, tra l’altro, impone di escludere che anche nel caso di intervento del magistrato nel processo civile che la parte promuove ex lege n. 117/1988 (art.6), si instauri un rapporto diretto parte/magistrato che possa condurre alla qualificazione del secondo in termini di anche so­lo potenziale debitore della prima. In altri termini, non solo la qualità di debitore si assume nel momento in cui viene riconosciuta la compiuta fondatezza della pretesa risarcitoria, e non prima, ma nel caso del siste­ma della legge n. 117/1988 il magistrato la cui condotta professionale è valutata nel processo civile non potrà mai assumere la qualità di debitore della parte privata» (Cass. pen. n. 19924 dei 2015). 

5. – Per quanto attiene alla istanza di ricusazione dei consigliere A.A., l’istanza stessa si fonda su una frase contenuta in una relazio­ne ex art. 380-bis, predisposta in relazione alla trattazione di un ricorso per revocazione di precedente sentenza di questa Corte proposta dall’Avvocato S..

Anche la richiesta di ricusazione in esame è infondata, dovendosi esclu­dersi in radice ogni “anomalia” della relazione dalla quale è stata estratta la frase ritenuta idonea ad evidenziare la grave inimicizia dell’estensore nei confronti dei ricorrente. Invero, la valutazione di sintesi espressa nelle poche righe riprodotte dal ricorrente ha poi trovato ampio e completo svi­luppo nel corpo della relazione, nella quale vengono presi in esame i vari profili prospettati dal ricorrente nel ricorso per revocazione. In sostanza, la proposta di decisione sul ricorso per revocazione nei sensi della inam­missibilità discende non dalla ritenuta inidoneità formale del ricorso, ma, all’esito di una completa ricognizione delle censure del ricorrente, dalla ritenuta insussistenza di vizi revocatori.

6. – In conclusione, il ricorso per ricusazione del Presidente L.A.R. e dei consiglieri A.A. e Alberto G. deve essere rigettato.

Sulla base dell’art. 54, secondo comma, cod. proc. civ. (prevedente che con l’ordinanza con cui rigetta o dichiara inammissibile la ricusazione il giudice può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non superiore ad euro 250), ed alla luce di quanto fin qui esposto, si ritiene di condannare il ricorrente al pagamento della pena pecuniaria nella misura di euro 450,00 (in ragione di 150,00 euro per ciascuno dei giudici infondatamente ricusati).

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso per ricusazione; condanna l’istante al pagamento della pena pecuniaria di euro 450,00 .