Rifiuto atti d’ufficio per la guardia medica che non visita il malato terminale (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 2 marzo 2020, n. 8377).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente –

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Angelo – Rel. Consigliere –

Dott. GIORGI Maria Silvia – Consigliere –

Dott. APRILE Ercole – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Pecoraro Alfonso nato a (OMISSIS) il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 11/07/2019 della Corte Appello Trento Sez. Dist. di Bolzano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Angelo Capozzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Perla Lori che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore avvocato ALLEGRO AGOSTINO del foro di SALERNO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, a seguito di gravame interposto dal Pubblico Ministero avverso la sentenza emessa in data 21/11/2016 dal Tribunale di Bolzano, in riforma della decisione con la quale l’imputato Alfonso Pecoraro era stato assolto dal reato di cui all’art. 328 cod. pen. perché il fatto non costituisce reato, ha assolto il predetto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen.

2. All’imputato è ascritto il reato di omissione in atti di ufficio per aver, quale guardia medica in servizio, indebitamente rifiutato di effettuare una visita domiciliare a Maria Luisa Santi, malata terminale di cancro in preda ad atroci sofferenze, atto del suo ufficio che per ragioni di sanità doveva essere compiuto senza ritardo.

Risulta dall’accertamento di merito che la donna è morta dopo circa un’ora dalla richiesta di intervento formulata dal figlio Dario Giannelli per sedare i suoi dolori, essendo intervenuto nel frattempo il 118 – che la guardia medica aveva detto di far intervenire – che aveva praticato morfina.

La sentenza ha affermato la necessità della visita domiciliare da parte dell’imputato per verificare quale fosse il rimedio più adeguato per alleviare il dolore e, pertanto, l’indebita indicazione da parte del predetto medico di guardia di rivolgersi al 118.

3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato che con atto del difensore, deduce:

3.1. Inosservanza degli artt. 591, comma 1 lett. c), e 582, comma 1, cod. proc. pen. con riferimento all’appello proposto dal P.M. di cui doveva dichiararsi l’inammissibilità in quanto l’atto recava una annotazione stampigliata «Tribunale di Bolzano» con data 26.1.2017 con sottoscrizione ignota e senza indicazione del nome di chi ha depositato l’impugnazione.

3.2. Violazione dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. in relazione agli artt. 178 lett. c) e 180 cod. proc. pen. per l’omessa rinnovazione istruttoria riguardante le prove dichiarative decisive del teste dott. Conci – che, all’esito del giudizio disciplinare, aveva escluso rilievi a carico dell’imputato in ordine a quanto ascrittogli in sede penale – e del c.t. dott. Cavallo – che aveva rappresentato le ragioni per le quali l’imputato non dovesse intervenire la sera quale medico di guardia -, valutate dalla Corte in modo diametralmente opposto rispetto al primo Giudice.

3.3. Vizio cumulativo della motivazione in relazione alla necessità di una motivazione rafforzata rispetto alla prima sentenza assolutoria con riferimento alla omessa considerazione della testimonianza Conci e del c.t. Cavallo in ordine agli obblighi incombenti sulla guardia medica e sul loro corretto rispetto da parte dell’imputato.

3.4. Travisamento del fatto e vizio cumulativo della motivazione in relazione alla testimonianza Conci e all’esame del c.t. Cavallo che non hanno mai sostenuto che il Pecoraro avrebbe dovuto effettuare la visita personalmente al fine di decidere se chiamare il 118.

4. In ogni caso, la stessa Corte contraddittoriamente conclude per l’inutilità dell’intervento dell’imputato, assolvendolo ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato risultando l’atto di gravame del Pubblico Ministero depositato presso la cancelleria del Giudice a mani di soggetto nominativamente indicato e dichiarato noto alla cancelleria che ha sottoscritto la attestazione di deposito.

3. Il secondo e terzo motivo sono manifestamente infondati, quando non genericamente proposti per questioni di fatto – volte alla riformulazione del giudizio probatorio – che non possono trovare accesso in sede di legittimità.

3.1. Invero, la Corte di appello ha correttamente disposto la nuova audizione del solo teste Giannelli, in relazione al quale il Pubblico ministero impugnante aveva censurato l’omessa valutazione della sua deposizione in primo grado, in conformità all’orientamento secondo il quale in caso di impugnazione della sentenza assolutoria da parte del pubblico ministero, l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, previsto dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., non riguarda tutte le prove dichiarative assunte in primo grado, ma solo quelle che, secondo le ragioni specificatamente prospettate nell’atto di impugnazione, siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e siano ritenute decisive ai fini della valutazione di responsabilità (Sez. 1 , n. 12928 del 07/11/2018, P., Rv. 276318).

3.2. In ogni caso, il ricorrente non solo non indica in quali termini le deposizioni del Conci e del Cavallo siano state decisive ai fini della sentenza assolutoria – limitandosi ad una sommaria e parcellizzata loro considerazione (v. pg. 6, 7 e 10 dell’atto di ricorso) -, ma – soprattutto – non si confronta con le ragioni poste a base della affermazione di responsabilità della sentenza impugnata che esclude rilievo alle stesse predette dichiarazioni, dopo averle puntualmente prese in considerazione.

In particolare, quanto alle informazioni provenienti dal dott. Conci, responsabile del servizio di medicina di base che ebbe a svolgere l’indagine interna a seguito del reclamo formulato dal figlio della donna – il Giudice di appello annota come questi abbia evidenziato che l’indicazione di rivolgersi direttamente al 118 o all’ospedale è una scelta del medico, dipende dal caso, dato che la guardia medica può attivare direttamente il servizio di urgenza ed emergenza territoriale 118.

Quanto alle dichiarazioni del dott. Cavallo, consulente tecnico della difesa, la Corte – dopo aver rilevato l’inicidenza della questione circa la adeguatezza della Novalgina o del Buscopan – ha evidenziato l’affermazione del consulente secondo la quale l’invio al Pronto soccorso presuppone una visita del paziente ed il medico di guardia può fare iniezioni a domicilio con somministrazione di farmaci a sua disposizione, assumendosi la responsabilità della sua decisione di non effettuare visita a domicilio.

4. Il quarto motivo è infondato ed al limite della inammissibilità quando fa genericamente leva sulle dichiarazioni del Conci e del Cavallo, delle quali invoca una sostanziale rivalutazione probatoria non ammessa in sede di legittimità.

4.1. La Corte di appello ha fondato la responsabilità dell’imputato sulla sua violazione dell’obbligo di effettuare – nelle circostanze date – la visita domiciliare per valutare di persona la situazione e verificare un possibile diverso immediato trattamento per alleviare il dolore, anche praticando iniezioni, che rientravano nella sua competenza, con farmaco in fiale diverso dalla morfina, pur a fronte della situazione di emergenza rappresentata dall’utente.

Il Giudice di appello ha smentito – senza incorrere in censure – la circostanza addotta dalla difesa dell’imputato secondo la quale il suo mancato intervento fosse dovuto allo stato di agitazione dell’utente (figlio della donna) che non avrebbe fornito i propri dati né il luogo dove andare, interrompendo bruscamente la telefonata in quanto era risultato – invece – che la telefonata era stata interrotta a causa del comportamento omissivo del Pecoraro, che non sarebbe intervenuto, indirizzando il richiedente al 118.

4.2. Ritiene questo Collegio che, pertanto, non è incorsa in vizi logici e giuridici la sentenza impugnata nell’affermare la rilevante omissione del ricorrente, nell’assenza di altre soluzioni, come una consulenza telefonica in ordine ad indicazioni terapeutiche, oppure una visita in ambulatorio, in una situazione di grave compromissione della salute della madre dell’utente che aveva interpellato il predetto medico.

5. La conclusione cui è pervenuto il giudice di merito è conforme all’orientamento di legittimità secondo il quale sussiste il reato di omissione di atti d’ufficio nell’ipotesi in cui un sanitario addetto al servizio di guardia medica non aderisca alla richiesta di intervento domiciliare urgente, limitandosi a suggerire al paziente l’opportunità di richiedere l’intervento del “118” per il trasporto in ospedale, dimostrando così di essersi reso conto che la situazione denunciata richiedeva il tempestivo intervento di un sanitario (Sez. 6, n. 35344 del 28/05/2008, Nikfam, Rv. 241250).

Come pure è stato affermato che integra il delitto di rifiuto di atti d’ufficio la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che non aderisca alla richiesta di recarsi al domicilio di un paziente malato terminale per la prescrizione di un antidolorifico per via endovena e si limiti a formulare per via telefonica le sue valutazioni tecniche e a consigliare la somministrazione di un altro farmaco di cui il paziente già dispone, trattandosi di un intervento improcrastinabile che, in assenza di altre esigenze del servizio idonee a determinare un conflitto di doveri, deve essere attuato con urgenza, valutando specificamente le peculiari condizioni del paziente (Sez. 6, n. 43123 del 12/07/2017, Giancristofaro, Rv. 271378), essendo stato chiarito che il delitto descritto nell’art. 328 cod. pen. è reato di pericolo, perché prescinde dalla causazione di un danno effettivo e postula semplicemente la potenzialità del rifiuto a produrre un danno o una lesione e questa Corte ha costantemente affermato il principio che l’esercizio del potere dovere del medico di valutare la necessità della visita domiciliare ex art. 13, comma 3, d.P.R. n. 41/1991 è pienamente sindacabile da parte del giudice sulla base degli elementi di prova acquisiti (ex multis: Sez. 6, n. 23817 del 30/10/2012, dep. 31/05/2013, Rv. 255715; Sez. 6, n. 35526 del 06/07/2011, Rv. 250876; Sez. 6, n. 12143 del 11/02/2009, Rv. 242922).

6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 28.01.2020.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.