REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. SERGIO BELTRANI -Presidente-
Dott. PIERLUIGI CIANFROCCA -Consigliere-
Dott. GIUSEPPE NICASTRO -Consigliere Rel.-
Dott. SANDRA RECCHIONE -Consigliere-
Dott. MARZIA MINUTILLO TURTUR -Consigliere-
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
suI ricorso proposto da:
(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 13/09/2022 della Corte d’appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa PAOLA MASTROBERARDINO, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
lette le conclusioni dell’Avv. (omissis) (omissis) difensore della parte civile (omissis) (omissis) il quale ha concluso chiedendo la conferma della sentenza impugnata e la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali in favore della menzionata parte civile, come da allegata nota;
lette le conclusioni del (omissis) (omissis) il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NICASTRO.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13/09/2022, la Corte d’appello di Bologna, per quanto qui ancora interessa, confermava la sentenza del 29/06/2020 del Tribunale di Modena che aveva condannato (omissis) (omissis) per reato di truffa aggravata (dall’avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità) ai danni di (omissis) (omissis) rideterminando la pena irrogata allo stesso (omissis).
Secondo il capo d’imputazione (capo A), il predetto reato di truffa aggravata era stato contestato all’imputato poiché, con artifici raggiri consistiti nell’approfittare di rapporti di conoscenza personale con (omissis) (omissis) in quanto cognato del figlio del predetto, ed agendo in qualità di mediatore immobiliare, trattando l’acquisto da parte di (omissis) di un immobile sito in (omissis) di proprietà di (omissis) induceva in errore sulla serietà dell’intento negoziale il (omissis) che gli consegnava, a titolo di caparra confirmatoria, la somma di € 46.425,00 a mezzo di assegno bancario nr. (omissis) assegno che, contrariamente agli accordi, tratteneva e riscuoteva per sé, conseguendo in tal modo un ingiusto profitto, con altrui danno patrimoniale di rilevante gravità. Accertato in (omissis) ((omissis) il (omissis).
2. Avverso l’indicata sentenza del 13/09/2022 della Corte d’appello di Bologna, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, (omissis) (omissis) affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 124 cod. pen., con riferimento all’art. 640 cod. pen., come modificato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – il quale, modificando il terzo comma dell’art. 640 cod. , ha reso il reato di truffa aggravata ai sensi dell’art. 61, primo comma, n. 7), cod. pen., punibile a querela della persona offesa – nonché l’inosservanza del principio, sancito dall’art. 2, quarto comma, cod. pen., della retroattività della legge penale sopravvenuta più favorevole all’imputato.
Dopo avere evidenziato che entrambe le sentenze di primo e di secondo grado avevano affermato la tardività della querela che era stata proposta dalla persona offesa (omissis) (omissis) – reputando, comunque, che ciò fosse ininfluente attesa la procedibilità d’ufficio del reato di truffa in quanto aggravato dalla circostanza prevista dall’art. 61, primo comma, n. 7), cod. pen. – il ricorrente deduce che, poiché, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2002, la truffa aggravata da tale circostanza è divenuta punibile a querela della persona offesa, sulla base del principio, sancito dall’art. 2, quarto comma, cod. pen., di retroattività della legge penale sopravvenuta più favorevole all’imputato, dovrebbe essere emessa sentenza di non doversi procedere per la tardività della querela.
Il ricorrente deduce l’inapplicabilità al caso di in esame della disposizione transitoria di cui all’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022, in quanto questa disciplinerebbe le sole ipotesi in cui la querela non era stata proposta e non anche quelle in cui – come, appunto, nel caso in esame – la stessa querela era stata proposta tardivamente e rappresenta che l’opposta conclusione comporterebbe di «da un lato “rimettere in termini” la Persona Offesa nella proposizione di un diritto già esercitato e consumato (tardivamente) e dall’altro disapplicare il principio di retroattività delle legge sopravvenuta più favorevole ai danni dell’imputato».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, b), cod. proc. pen., l’errata qualificazione come truffa del fatto a lui attribuito, in luogo della qualificazione come mero inadempimento civilistico o come appropriazione indebita, nonché, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., l’omessa motivazione con riguardo al proprio motivo di appello attinente a detta asseritamente errata qualificazione.
Il ricorrente deduce che gli elementi posti dalla Corte d’appello di Bologna a fondamento della qualificazione come truffa del fatto a lui attribuito sarebbero «assolutamente compatibili» con la qualificazione dello stesso fatto come mero inadempimento civilistico o come appropriazione indebita e rappresenta, in particolare, come tali invocate qualificazioni troverebbero conferma sia nella consapevolezza, che era stata affermata dalla persona offesa (omissis) (omissis) nel corso del suo esame testimoniale, che il (omissis) avrebbe potuto versare sul proprio conto corrente l’assegno, privo dell’indicazione del beneficiario, che gli era stato consegnato dallo stesso (omissis) per poi “girare” la relativa somma ad (omissis) sia nella sottoscrizione, da parte dell’imputato, già nel settembre del 2015, di una ricognizione di debito e promessa di pagamento in favore della persona offesa, così, secondo il ricorrente, «esplicitando palesemente l’appropriazione indebita del denaro posta in essere ai danni del (omissis) ed esplicitando (quando ancora la denuncia penale non era stata sporta) l’elemento soggettivo posto a base dell’incasso dell’assegno sul proprio conto corrente: la necessità di avere somme liquide a propria disposizione».
Secondo il ricorrente, nella motivazione della sentenza impugnata mancherebbe «ogni riferimento ad artifici e raggiri o alla preordinazione del (omissis) riguardo alla sua volontà di non versare l’assegno sul conto di (omissis)
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), proc. pen., l’omessa motivazione con riguardo al proprio motivo di appello relativo al «trattamento sanzionatorio».
Il ricorrente lamenta in particolare che la Corte d’appello di Bologna abbia omesso di motivare con riguardo alla congruità dell’irrogata pena di 11 mesi di reclusione ed € 150,00 di multa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
L’art. 2, comma 1, lett. o), del d.lgs. n. 150 del 2022, col sopprimere, nel terzo comma dell’art. 640 cod. pen., le parole «o la circostanza aggravante prevista dall’art. 61, primo comma, numero 7», ha reso il reato di truffa aggravato da tale circostanza, in precedenza procedibile d’ufficio, punibile, invece, a querela della persona offesa.
Ai sensi del quarto comma dell’art. 2 cod. pen., tale disposizione, in quanto incide, in senso favorevole all’imputato, sull’an e sul quomodo dell’applicazione del precetto penale, si applica retroattivamente.
Tuttavia, per le truffe commesse prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022 (30 dicembre 2022), lo stesso decreto ha previsto, all’art. 85, una disciplina transitoria secondo la quale, per le stesse truffe, il termine per la presentazione della querela decorre dalla menzionata data di entrata in vigore del decreto legislativo, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato.
Pertanto, sulla base di tale disposizione transitoria, in tale ipotesi – che ricorre anche nel caso in esame – è con riferimento al momento dell’entrata in vigore della nuova legislazione che vanno svolte le valutazioni in ordine alla sussistenza e alla ritualità della condizione di procedibilità della querela, senza che possano rilevare eventuali “deficit” legati a momenti processuali in cui la stessa condizione non era richiesta.
La diversa tesi, sostenuta dal ricorrente, condurrebbe all’irragionevole risultato di consentire la procedibilità, ai sensi dell’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022, con riguardo a mere denunzie, alle quali sia poi seguita, nel termine di tre mesi dall’entrata in vigore dello stesso decreto legislativo, una “tardiva” manifestazione di volontà di punizione – e anche con riguardo ad ipotesi in cui nessuna denunzia sia mai stata presentata (essendosi appresa aliunde la notitia criminis) – e di escludere invece la stessa procedibilità con riguardo ad atti, quali quelli costituiti da una querela irrituale, che, in ragione del regime di procedibilità ex officio del tempo del commesso reato, avevano, ai fini della procedibilità, l’identica valenza di notitia criminis.
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la soluzione qui seguita non comporta né una “rimessione in termini” della persona offesa, attesa l’evidente improprietà del riferimento a tale istituto rispetto a un termine che, all’epoca, non esisteva, né una «disapplica[zione]» del principio di retroattività della legge penale più favorevole all’imputato, atteso che la stessa soluzione muove anch’essa dal presupposto dell’applicabilità retroattiva delle modifiche in tema di procedibilità contenute nell’art. 2 del d.lgs. n. 150 del 2022.
Pertanto, avendo riguardo, per le ragioni che si sono dette, al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, è sufficiente rilevare come la persona offesa (omissis) avesse già espresso la propria volontà punitiva, sia presentando una querela – non rileva se tempestiva o, come è stato ritenuto dai giudici di merito, tardiva – sia costituendosi parte civile (in senso analogo: Sez. 2, n. 16760 del 19/01/2023, Zilli, Rv. 284526-01).
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Sussiste il delitto di truffa e non quello di appropriazione indebita quando l’artificio e il raggiro risultino necessari all’appropriazione (Sez. 2, n. 51060 del 11/11/2016, Losito, Rv. 269234-01; Sez. 2, n. 35798 del 18/06/2013, Actis, Rv. 257340-01).
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Bologna ha ritenuto la sussistenza del delitto di truffa argomentando che l’imputato: era riuscito a ottenere dalla persona offesa la consegna dell’assegno, oltre che approfittando del rapporto di affinità che esisteva tra i due (essendo il (omissis) il cognato del figlio di (omissis) (omissis) grazie all’artificio e raggiro di fare credere alla stessa persona offesa che avrebbe utilizzato la relativa provvista quale caparra o acconto sul complessivo prezzo dell’immobile che il (omissis) stava acquistando da (omissis) in tale momento, lo stesso imputato si doveva ritenere avere già il preordinato intento di non versare al (omissis) la somma recata dall’assegno, preordinazione che si poteva desumere dagli elementi dell’elevato importo che era stato richiesto a titolo di caparra o acconto, dall’espressa richiesta del (omissis) di non indicare sull’assegno il nominativo del beneficiario, dalla contemporanea prospettazione, sempre da parte del (omissis) al venditore (omissis) che il (omissis) avrebbe versato l’intero prezzo al momento del rogito e dalle circostanze che neppure una parte della somma recata dall’assegno era stata riversata al (omissis) e che, al momento del rogito, il (omissis) fu indotto dall’imputato, con la prospettazione di ragioni fiscali, a consegnare un assegno di importo identico al precedente, del quale aveva poi simulato al distruzione.
La Corte d’appello di Bologna ha pertanto adeguatamente argomentato come la consegna dell’assegno, da parte della persona offesa all’imputato – e, quindi, la successiva appropriazione, da parte di questi, della relativa provvista – fosse stata ottenuta dal (omissis) con l’artificio e raggiro di fare credere alla persona offesa che avrebbe utilizzato la stessa provvista quale caparra o acconto sul complessivo prezzo dell’immobile che la persona offesa stava acquistando, e con il preordinato proposito, in tale momento, di non fare ciò, ma di appropriarsi, una volta ottenuto l’assegno grazie al predetto artificio e raggiro, della somma dallo stesso recata.
Tale motivazione non risulta né contraddittoria né manifestamente illogica nel ritenere che l’appropriazione della somma recata dall’assegno fosse stata realizzata grazie al menzionato preordinato artificio e raggiro, con la conseguente corretta configurabilità, in linea con la rammentata giurisprudenza della Corte di cassazione, del delitto di truffa (e non di quello di appropriazione indebita o, tanto meno, di un mero illecito civilistico).
Del tutto logico appare poi, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, quanto ritenuto dalla Corte d’appello di Bologna in ordine all’ininfluenza, ai fini dell’integrazione del delitto di truffa, del fatto che il (omissis) nel corso del proprio esame testimoniale, avesse ipotizzato che l’imputato potesse anche inizialmente versare l’assegno sul proprio conto corrente, atteso che ciò che effettivamente rilevava, ai fini della sussistenza del predetto reato, era che, se la persona offesa avesse saputo del preordinato intento dell’imputato, contrariamente a quanto gli era stato fatto artificiosamente credere, di trattenere per sé la somma che costituiva la provvista dell’assegno, mai glielo avrebbe consegnato.
L’accertata necessità dell’indicato artificio e raggiro per l’appropriazione della provvista dell’assegno rende poi parimenti ininfluente, ai fini della sussistenza della già consumata truffa, la successiva ricognizione di debito e promessa di pagamento rilasciata dall’imputato alla persona offesa il
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Il motivo di appello del (omissis) relativo alla misura della pena, con la richiesta di contenimento della stessa nel minimo edittale, si fondava sulle stesse ragioni in base alle quali lo stesso (omissis) aveva chiesto la concessione delle circostanze attenuanti generiche (tema, questo, che non è oggetto del motivo di ricorso).
Nel rigettare quest’ultima richiesta, la Corte d’appello di Bologna si deve perciò ritenere avere dato conto anche delle ragioni per le quali riteneva la congruità della pena che era stata irrogata dal Tribunale di Modena, ragioni che sono state motivatamente adeguatamente ravvisate nella relativa gravità del fatto attribuito all’imputato («[i]I fatto appare di una certa gravità») – atteso che egli, cosi mostrando spregiudicatezza, aveva carpito la fiducia di una persona alla quale era anche legato da un rapporto di affinità e, grazie a ciò, si era appropriato di una notevole somma di denaro – e nel contegno dallo stesso tenuto anche successivamente, col fare scaltramente credere alla persona offesa di avere provveduto a versare la somma al (omissis) mentre la stessa Corte d’appello di Bologna ha anche motivatamente adeguatamente ritenuto non significativi gli elementi che l’appellante aveva addotto ai fini delle richieste sia di concessione delle circostanze attenuanti generiche sia di contenimento della pena nella misura del minimo edittale (pagg. 14 e 15 della sentenza impugnata).
4. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
In conformità al principio recentemente ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, Sacchettino), il Collegio ritiene di rigettare la richiesta della parte civile (omissis) (omissis) di condannare l’imputato alla rifusione delle spese processuali riferibili alla fase di legittimità in favore di tale parte civile, atteso che questa non ha fornito alcun utile contributo alla decisione, giacché si è limitata a chiedere la conferma della sentenza impugnata, compresa la condanna al risarcimento dei danni, con vittoria di spese, senza contrastare specificamente i motivi di ricorso proposti dall’imputato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Rigetta la richiesta della parte civile (omissis) (omissis) di condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio.
Così deciso il 18/07/2023.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2023.