Risponde di furto aggravato, perseguibile d’ufficio, colui che per illuminare la propria bancarella, si allaccia abusivamente alla corrente pubblica (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 7 marzo 2023, n. 9452).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore – Presidente –

Dott. VIGNALE Lucia – Consigliere –

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere –

Dott. CENCI Daniele – Consigliere –

Dott. PAVICH Giuseppe – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) nato a Foggia il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 19/11/2021 della CORTE APPELLO di BARI

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere dott. GIUSEPPE PAVICH;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. LUIGI ORSI che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Bari, in data 19 novembre 2021, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Foggia, in data 4 aprile 2019, aveva condannato (OMISSIS) (OMISSIS) per il delitto di furto di energia elettrica a lui contestato come commesso il 2 marzo 2012, con l’aggravante dell’aver commesso il fatto su cose destinate a servizio pubblico e con la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale.

Il (OMISSIS) secondo l’assunto descritto nell’editto imputativo e recepito dai giudici di merito, sottraeva energia elettrica dai bagni pubblici di proprietà del Comune di (OMISSIS) per poter illuminare la propria bancarella per la vendita di fiori, utilizzando a tal fine una prolunga della lunghezza di 34 metri.

La Corte di merito ha disatteso le doglianze dell’imputato rassegnate con l’atto d’impugnazione, sia con riguardo alla prova dell’attribuibilità soggettiva della condotta al (OMISSIS) sia con riguardo alla richiesta di esclusione della recidiva, sia ancora con riguardo alla misura della pena e al giudizio di bilanciamento delle circostanze, sia infine alle ragioni del mancato riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il (OMISSIS) articolando quattro motivi di

2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla prova dell’attribuzione della condotta furtiva a lui medesimo: La prova in tal senso richiamata nella motivazione della sentenza é consistita in una dichiarazione di un testimone operante, appartenente all’Arma dei Carabinieri, che ha riferito di avere appreso dallo stesso (OMISSIS) che la bancarella in favore della quale era stato effettuato l’allaccio abusivo era sua: ciò viola le disposizioni del codice di rito, nel senso che, secondo l’esponente, il divieto di testimonianza de relato da parte del testimone appartenente alla polizia giudiziaria (art. 195, comma 4, cod. proc. pen.) va raccordato anche con la posizione del semplice indiziato di reato e con la corretta interpretazione del principio generale di cui all’art. 62 cod. proc. pen., valendo tale principio nei confronti di chiunque sia legittimato ad esercitare il diritto di non rendere dichiarazioni autoaccusatorie, a prescindere dalla formale assunzione della qualità di indagato.

2.2. Con il secondo motivo il deducente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen.: non é univoca la giurisprudenza che assegna all’energia elettrica una funzione di pubblico servizio; né può ravvisarsi nella specie l’aggravante dell’aver agito su cose esposte alla pubblica fede, atteso che la cassetta di derivazione non era esposta al pubblico, ma si trovava in un locale chiuso e non accessibile.

2.3. Con il terzo motivo si denunciano nuovamente violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al fatto che, a seguito della mancata applicazione dell’aumento di pena per la recidiva (equivalente all’esclusione della stessa, secondo il ricorrente, in dipendenza di quanto affermato dalla sentenza a Sezioni Unite n. 20808 del 15 maggio 2019) e del bilanciamento in equivalenza delle circostanze, la pena massima del reato contestato non superava i sei anni, con la conseguenza che il reato contestato si sarebbe estinto per prescrizione.

2.4. Con il quarto motivo il ricorrente, ancora deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, lamenta il mancato riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto: istituto che la Corte di merito ben avrebbe potuto applicare, in relazione alle modalità della condotta e all’esiguità del danno o del pericolo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Si premette che, alla stregua dell’imputazione, il reato per cui si procede deve ritenersi tuttora procedibile d’ufficio, pur a fronte delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 150/2022 al regime di procedibilità dei delitti di furto: ed invero, la procedibilità a querela disposta dalla novella legislativa é esclusa ove la persona offesa risulti incapace, per età o per infermità, oppure qualora ricorra taluna delle circostanze ex articolo 625, numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, nonché 7-bis; nel caso di specie l’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 é contestata in relazione al fatto che la condotta fu commessa su un bene, come l’energia elettrica, destinato a servizio pubblico (cfr. da ultimo Sez. 5, n. 1094 del 03/11/2021, dep. 2022, Mondino, Rv. 282543) e, pertanto, il reato rimane perseguibile d’ufficio.

2. Tanto premesso, il primo motivo deve ritenersi infondato.

In base a quanto si legge nella sentenza impugnata, il teste operante (car. Celentano) ha riferito che, allorché i militari arrivarono sul posto, il (OMISSIS) riferì loro che la bancarella che fruiva dell’allaccio era sua.

Orbene, atteso che – per quanto é dato ricavare dalla motivazione – l’interessamento dei Carabinieri per la situazione in corso doveva ritenersi riferito alla natura abusiva dell’allaccio (e, dunque, alla illecita sottrazione di energia elettrica), deve dedursi che i militari stessero conducendo i primi accertamenti in ordine a un’ipotesi di delitto di furto di energia elettrica; e nella specie, a ben vedere, l’affermazione del (OMISSIS) rivolta agli operanti, con la quale egli affermava di essere il titolare della bancarella a favore della quale veniva sottratta l’energia elettrica assume, in tale contesto, un valore indirettamente autoindiziante, o comunque decisivo ai fini dell’attribuzione soggettiva della condotta furtiva.

Tuttavia deve pure considerarsi che la giurisprudenza considera legittima, perché riconducibile agli “altri casi” di cui all’art. 195, comma quarto, cod. proc. pen., la testimonianza indiretta dell’ufficiale o agente di polizia giudiziaria sulle dichiarazioni di contenuto narrativo ricevute dall’imputato non solo al di fuori del procedimento, ma anche prima del formale inizio delle indagini, con la conseguenza che le stesse sono liberamente valutabili dal giudice di merito, assumendo la valenza di fatto storico percepito e riferito dal teste (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 15760 del 20/01/2017, Capezzera, Rv. 269574; Sez. 6, Sentenza n. 1764 del 09/10/2012, dep. 2013, Naso, Rv. 254180).

Nel caso di specie, gli accertamenti in corso di espletamento nell’immediatezza dei fatti contestati non possono ovviamente assimilarsi al formale inizio delle indagini, con la conseguenza che si sottrae a censure l’utilizzo, da parte della Corte di merito, delle dichiarazioni con le quali il (OMISSIS) affermava di essere il titolare della bancarella illecitamente illuminata.

3. Il secondo motivo deve ritenersi manifestamente infondato, avuto riguardo a quanto già precisato supra in ordine alla configurabilità dell’aggravante contestata ex 625 n. 7 c.p., in relazione alla destinazione dell’energia elettrica a servizio pubblico.

4. Del pari deve ritenersi manifestamente infondato il terzo motivo di doglianza.

Ed invero, va preliminarmente chiarito che la determinazione del trattamento sanzionatorio nella sentenza impugnata é stata operata facendo espresso riferimento al bilanciamento “in equivalenza” della contestata recidiva (e della contestata aggravante) con le attenuanti generiche; al riguardo, del resto, é pacifico che il giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 cod.pen. ha carattere unitario e deve necessariamente comprendere tutte le circostanze contestate e ritenute dal giudice (Sez. 5, Sentenza n. 12988 del 22/02/2012, Benatti, Rv. 252313).

Ciò chiarito, é di tutta evidenza che il richiamo del ricorrente alla sentenza Schettino a Sezioni Unite é affatto eccentrico e privo di pregio.

Nella detta sentenza il tema della mancata considerazione della recidiva nel computo del trattamento sanzionatorio – dalla quale discende la disapplicazione delle statuizioni inerenti al calcolo del tempo necessario alla prescrizione e dipendenti dalla recidiva contestata – é espressamente chiarito nei suoi contorni muovendo dalla «considerazione che, tanto sul piano normativo che su quello logico, il fatto stesso di aver operato il giudizio di bilanciamento presuppone il riconoscimento della recidiva; diversamente, mancando addirittura uno dei termini da comparare, non sussisterebbe quel concorso di circostanze eterogenee che é all’origine delle regole poste dall’art. 69 cod. pen. »; tuttavia, «quando il giudice di merito valuta la recidiva subvalente rispetto alle concorrenti attenuanti, egli esprime una valutazione di disfunzionalità della recidiva rispetto al programma di trattamento che comincia a delinearsi con la fissazione della pena da infliggere».

Ben diversa é la situazione alla mano, nella quale il calcolo della recidiva é stato operato in equivalenza, con conseguente rilevanza della stessa ai fini dell’esito sanzionatorio finale. Ne discende che la recidiva deve considerarsi a tutti gli effetti sia ai fini del calcolo del tempo necessario a prescrivere (in relazione al quale, ai sensi dell’art. 157 comma 2 cod. pen., assumono rilievo esclusivo le circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e quelle ad effetto speciale, tra cui rientra pacificamente la recidiva), sia ai fini della misura dell’aumento connesso all’interruzione del termine di prescrizione (a norma del combinato disposto degli articoli 160 e 161 cod. pen.).

Nella specie, deve considerarsi che il termine minimo di prescrizione, trattandosi di delitto, é comunque quello di sei anni, pur comprendendo nel conteggio l’aumento per la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all’articolo 625 n. 7 cod.pen. (che comporta il raddoppio della pena prevista per l’ipotesi – base di furto).

Al termine predetto va poi applicato in ragione di un terzo, ex art. 63, comma 4, cod.pen., l’aumento della pena per la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale (da considerarsi equivalente a un’aggravante a effetto speciale: Sez. 3, Sentenza n. 3391 del 12/11/2014, dep. 2015, Policoro, Rv. 262015), considerando che essa comporta un aumento di misura inferiore rispetto a quello dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 7, con conseguente determinazione del termine – base di prescrizione in ragione di otto anni; termine rispetto al quale deve essere pure applicato l’aumento per i fatti interruttivi ex art. 161, comma 2, cod.pen., da commisurarsi nella specie in ragione dei due terzi di quello base, ancora per la riconosciuta recidiva ex art. 99, comma 4, cod.pen. (cfr. in terminis Sez. 2, Sentenza n. 57755 del 12/10/2018, Saetta, Rv. 274721; Sez. 5, Sentenza 32679 del 13/06/2018, Pireddu, Rv. 273490; Sez. 4, Sentenza n. 6152 del 19/12/2017, dep. 2018, Freda e altro, Rv. 272021; Sez. 3, Sentenza n. 50619 del 30/01/2017, Zandomeneghi, Rv. 271802).

Si devono poi aggiungere al termine massimo di prescrizione così determinato gli eventuali periodi di sospensione del termine medesimo; ma, in ogni caso, risulta all’evidenza che il termine di prescrizione non é, a tutt’oggi decorso, trattandosi di fatti commessi nel 2012.

5. Deve, infine, ritenersi infondato il quarto motivo di doglianza.

Invero, a fronte della censura del ricorrente, il diniego della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto é stato motivato dalla Corte di merito esclusivamente sul rilievo della pena massima del reato commesso, superiore nel massimo ai cinque anni; ed al riguardo é noto che é intervenuta, medio tempore, la modifica dell’art. 131-bis cod. pen. sotto il profilo del requisito del limite di pena detentiva oltre il quale la causa di non punibilità non può essere riconosciuta: limite di pena che, precedentemente, era indicato nel massimo in misura non superiore a cinque anni di reclusione e che, per effetto del già richiamato D.Lgs. 150 del 2022, é oggi indicato esclusivamente nel minimo edittale, che non dev’essere superiore a due anni.

Orbene, trattandosi di disposizione di natura sostanziale più favorevole all’imputato, é certamente possibile rilevarla d’ufficio in applicazione dell’art. 2, comma 4, cod. pen..

Tuttavia, nella specie, deve pure constatarsi che al ricorrente é contestata la recidiva qualificata, riferita – per come emerge in atti – a una pluralità di furti, ossia di reati della stessa indole di quello per cui si procede (al riguardo si osserva che, in relazione ai precedenti per furto oggetto di patteggiamento, non sono maturate le condizioni per il verificarsi degli effetti estintivi di cui all’art. 445, comma 2, cod. proc. pen.); ed é noto che – anche nell’attuale testo novellato dell’art. 131-bis cod. pen. – l’aver commesso più reati della stessa indole (anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità) costituisce elemento di abitualità, ostativo al riconoscimento della causa di non punibilità in esame.

Perciò, a nulla rileva la sopravvenuta abrogazione del limite massimo di cinque anni di pena ai fini dell’applicabilità della particolare tenuità del fatto, applicabilità cui osta, nel caso di che trattasi, altro ed ulteriore elemento ostativo che il ricorrente ha omesso di considerare nel motivo di ricorso in esame, ma che é oggettivamente rilevabile in base agli atti disponibili.

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, l’8 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2023.

SENTENZA – originale -.