Ristorante dato alle fiamme per ritorsione. Il proprietario aveva negato un prestito (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 2 marzo 2020, n. 8311).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZEI Antonella Patrizia – Presidente

Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere

Dott. LIUNI Teresa – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Vanzetto Leopoldo, nato a Bassano del Grappa il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 25/10/2018 della Corte di appello di Venezia;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Teresa Liuni;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Kate Tassone, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza;

udito il difensore, avvocato Renato Alberini, il quale ha chiesto l’accoglimento dei motivi del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25/10/2018 la Corte di appello di Venezia ha riformato la sentenza del giudice monocratico del Tribunale di Treviso emessa il 17/6/2015, che aveva assolto Leopoldo Vanzetto dal reato di cui agli artt. 110 e 423 cod. pen., per avere causato, in concorso morale e materiale con Giuseppe Donnarumma ed Adriano Lazzarato (materiali esecutori del fatto, per i quali si era proceduto separatamente), l’incendio del ristorante “Al Vecchio Mulino”, con modalità tali da generare fiamme ed esplosioni diffusive, facili a propagarsi e di difficile spegnimento, e comunque idonee a mettere in pericolo l’incolumità di un numero indeterminato di persone, tra cui gli stessi piromani, gli abitanti nei pressi, i vigili del fuoco intervenuti per lo spegnimento; fatto commesso in Onè di Fonte, in provincia di Treviso, nel pomeriggio del 3/10/2011.

1.1. L’imputato, proprietario del ristorante, è stato ritenuto dai giudici di appello responsabile dell’incendio – in qualità di mandante – e quindi condannato alla pena di tre anni di reclusione.

1.2. La Corte territoriale, adita dal Procuratore della Repubblica, ha basato l’impianto motivazionale, in punto di ricostruzione del fatto e dichiarata responsabilità di Vanzetto, sulla rivalutazione critica degli elementi di prova.

In particolare, ha ritenuto che il giudizio di esclusiva responsabilità degli esecutori materiali dell’incendio, Donnarumma e Lazzarato, fondato sulle dichiarazioni auto ed etero-accusatorie di quest’ultimo (il primo si era avvalso della facoltà di non rispondere), non resistesse alla ricostruzione del fatto, come logicamente condotta sulla base di tutte le risultanze istruttorie, che deponevano a favore del mandato agli esecutori conferito da Vanzetto, titolare e gestore del ristorante, in difficoltà finanziarie e, perciò, interessato a lucrare il premio assicurativo derivante dall’incendio del locale.

In motivazione la Corte ha precisato che il rovesciamento della decisione assolutoria non richiedeva alcuna rinnovazione istruttoria, poiché l’accertamento della responsabilità di Vanzetto non dipendeva dalla diversa interpretazione delle dichiarazioni del coimputato Lazzarato, ma dal vaglio critico del complesso degli elementi di prova raccolti.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Vanzetto tramite il difensore, avv. Renato Alberini, il quale ha dedotto due motivi di impugnazione, qui enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge processuale e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. c) ed e), cod. proc. pen., per omessa applicazione dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. e difetto di motivazione discendente dalla mancata rinnovazione dell’esame dell’imputato in procedimento connesso, Lazzarato, il quale aveva attribuito solo a se stesso e all’altro coimputato, Donnarunnma, la deliberazione e l’attuazione dell’incendio.

Sostiene il ricorrente che la Corte di appello di Venezia ha operato una diversa valutazione della prova dichiarativa di Lazzarato, ritenuta inattendibile a fronte di un quadro indiziario apprezzato come autonomamente idoneo a sostenere il concorso di Vanzetto nel delitto di incendio col ruolo di mandante; al contrario, il Tribunale di Treviso aveva fondato, proprio sul contenuto delle dichiarazioni di Lazzarato, il suo giudizio di incompletezza probatoria a carico dello stesso Vanzetto e il conseguente proscioglimento.

Ciò avrebbe imposto il rinnovato esame dell’imputato in procedimento connesso, Lazzarato, che invece era stato omesso, dovendo il giudice di appello saggiare direttamente l’attendibilità della fonte dichiarativa, come prescritto dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen..

Il rovesciamento della decisione, esclusivamente cartolare, non consentiva di superare il ragionevole dubbio sulla responsabilità dell’imputato, determinato dall’adozione di decisioni contrastanti, in violazione altresì della presunzione di non colpevolezza.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione all’analisi delle risultanze istruttorie, anche per travisamento delle medesime.

Sulla premessa che il ribaltamento del giudizio assolutorio di primo grado avrebbe richiesto una motivazione rafforzata, tale da conferire alla seconda decisione un’autorevolezza maggiore rispetto alla prima, il ricorrente procede alla illustrazione della censura con metodo analitico, esaminando indizio per indizio, per contrastarne la valutazione operata dalla Corte di appello.

La prima disamina riguarda il contenuto delle immagini riprese dall’impianto di videosorveglianza.

Il ricorrente si attarda nell’analisi dei plurimi elementi di prova, confutandone l’interpretazione a carico di Vanzetto datane dalla Corte territoriale.

Essi sono qui sinteticamente richiamati:

lo scatolone introdotto preventivamente nel ristorante dai due esecutori materiali;

l’andirivieni degli stessi tra l’interno e l’esterno del locale prima di innescare l’incendio;

i guanti costantemente indossati dagli esecutori per non lasciare tracce;

i vini ed i liquori pregiati asportati prima dell’azione per salvare la merce di maggiore valore;

le taniche rinvenute sul posto dello stesso tipo e colore di quelle vuote caricate in auto;

il videoregistratore asportato ma lasciato in una borsa abbandonata all’esterno del locale, perché gli autori del fatto, a causa dell’improvvisa esplosione, non erano riusciti a portarlo via;

l’effrazione della porta principale da parte di Donnarumma, mentre Lazzarato era entrato attraverso un accesso secondario, munito di chiavi e di telecomando per disattivare il sistema di allarme;

di essi Vanzetto aveva rilevato la scomparsa alcuni giorni prima del fatto, lamentandosene con alcuni interlocutori, secondo una studiata messinscena, così ritenuta dalla Corte territoriale ma confutata come illogica e indimostrata dal ricorrente.

Ulteriori difformità tra l’interpretazione delle prove resa dalla Corte di appello e l’effettiva consistenza delle medesime vengono rilevate nel ricorso, a proposito del prestito che Donnarumnna avrebbe chiesto a Vanzetto, già creditore verso il primo di cinquemila euro, proprio nella sera precedente all’incendio quando Donnarumma e Lazzarato si erano incontrati con Vanzetto nel ristorante; della negazione dell’ulteriore prestito da parte di Vanzetto; della conseguente iniziativa vendicativa di Donnarumma, con l’ausilio dell’amico Lazzarato, al quale era stato promesso un compenso in denaro, sfociata nell’azione incendiaria; dell’esistenza, pertanto, di un movente alternativo ed esclusivo di Donnarumma rispetto a quello attribuito a Vanzetto per conseguire fraudolentemente il premio assicurativo.

Quest’ultimo movente, secondo il ricorrente, non era stato più sostenuto neppure dal pubblico ministero, anche perché il consulente contabile-tributario della difesa aveva descritto una situazione patrimoniale dell’esercizio pubblico non particolarmente problematica al punto di impedire la prosecuzione dell’attività commerciale.

3. Il ricorrente ha chiesto, quindi, l’annullamento della sentenza impugnata; anche il procuratore generale ha concluso per l’annullamento della decisione in accoglimento del solo primo motivo, restando assorbiti gli altri.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è fondato e assorbe l’esame dei secondo.

Si legge testualmente, nella sentenza impugnata, che “a fronte della deposizione confessoria di Lazzarato (ed eteroaccusatoria solo nei riguardi di Donnarumma avvalsosi della facoltà di non rispondere: n.d.r.), il giudice di primo grado non riteneva raggiunta la prova della responsabilità di Vanzetto per insufficienza degli elementi indiziari raccolti a suo carico” (così a pag. 2); mentre la Corte di appello ha esplicitamente concluso nel senso che la “ricostruzione alternativa dei fatti (rispetto al coinvolgimento di Vanzetto come mandante nell’incendio del suo locale: n.d.r.) è di tutta evidenza inidonea a scalfire l’inconfutabile quadro indiziario (…) basato sugli elementi oggettivi raccolti” (così a pag. 5), considerando dunque del tutto inattendibili le dichiarazioni di Lazzarato, laddove scagionanti Vanzetto in contrasto con i plurimi elementi indiziari, da essa Corte valorizzati e, invece, illogicamente trascurati dal Tribunale nel primo giudizio.

Tale iter processuale configura, con ogni evidenza, il caso previsto dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., che impone al giudice di appello di rinnovare l’istruzione dibattimentale, quando appellante sia il pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa.

E’, invero, il devolutum che segna il confine dell’obbligo di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale da parte del giudice dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., e non il decisum, laddove questo pretenda di prescindere dalla valutazione della prova dichiarativa, costruendo aliunde il giudizio di condanna, già escluso dal primo giudice, invece, proprio sulla base dell’apprezzamento della medesima prova.

Nel caso in esame, pertanto, la Corte territoriale non poteva prescindere dalla rinnovazione dell’esame di Lazzarato, sebbene non reputato utile a sostenere il giudizio di colpevolezza da essa espresso, poiché, in primo grado, proprio al contenuto delle dichiarazioni di Lazzarato era stata attribuita importanza dirimente ai fini del proscioglimento di Vanzetto.

2. Discende l’annullamento della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Venezia che dovrà provvedere al rinnovato esame di Lazzarato, impregiudicato l’esito del giudizio alla luce dell’esito della prova dichiarativa da riassumere e di tutti gli altri elementi raccolti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.

Così deciso il 28/02/2020.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.