Ritardata attivazione dell’utenza telefonica: la competenza di AGCOM non è esclusiva. Condannata Telecom Italia Spa. (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 21 novembre 2022, n. 34152).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STAFANO Franco – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Rel. Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10301/2020 R.G. proposto da:

TELECOM ITALIA Spa , in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, in forza di procura in calce al ricorso, dall’avv. Giuseppe (OMISSIS), domiciliata per legge in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) Romano, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. (OMISSIS) Fabio, domiciliato per legge in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 60/2020, pubblicata in data 16 gennaio 2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 settembre 2022 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

Svolgimento del processo

1. Con atto di citazione notificato in data 3 novembre 2011, (OMISSIS) convenne in giudizio la Telecom Italia Spa chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 17.895,00 a titolo di indennizzo da ritardata attivazione della linea telefonica presso la sede della propria ditta individuale, della ulteriore somma di Euro 600,00 a titolo di indennizzo da ritardata attivazione del servizio ADSL fino a 7 mega, oltre che della somma di Euro 1.800,00 a titolo di indennizzo da mancato inserimento negli elenchi telefonici per le annualità 2008, 2009 e 2010, il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria.

La Telecom Italia Spa, costituitasi in giudizio, chiese il rigetto della domanda di parte attrice e spiegò domanda riconvenzionale invocando in compensazione il riconoscimento delle “spese tutte sostenute dalla Telecom Italia Spa per procedere all’allacciamento della linea telefonica del (OMISSIS) Romano”.

Il Tribunale di Crotone accolse la domanda, condannando la società convenuta al pagamento, in favore dell’attore, della complessiva somma di Euro 20.895,00, oltre interessi legali.

2. Interposto appello dalla Telecom Italia Spa , la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la sentenza di primo grado.

Respingendo il primo motivo di gravame, con il quale la parte appellante aveva eccepito che il Tribunale, nel fare applicazione delle previsioni di cui al Regolamento in materia di indennizzi previsto per la definizione delle controversie tra utenti ed operatori, adottato dall’Autorità Garante per le Telecomunicazioni ex L. n. 249 del 1997, era incorso nella violazione del D.Lgs. n. 259 del 2003 art. 84, per essere la relativa disciplina riferibile esclusivamente alle controversie promosse dinanzi alla AGCOM, la Corte territoriale ha dapprima osservato che né nel D.Lgs. n. 259/2003, né nel richiamato Regolamento approvato con delibera 173/07/Con, il cui art. 14 era richiamato nella delibera 73/11/Cons del 16 febbraio 2011, né infine in quest’ultima delibera era contenuta una disposizione che ne limitasse l’applicazione ai casi sottoposti al vaglio della suddetta Autorità: ed ha da tanto tratto la conclusione dell’insussistenza di una valida ragione ostativa alla possibilità anche per il giudice investito di una di tali controversie in sede contenziosa ordinaria di attingere da detta disciplina elementi utili per determinare la misura degli indennizzi.

Ha pure disatteso il secondo motivo di gravame, a mezzo del quale era stata dedotta l’errata applicazione retroattiva della disciplina di cui alla delibera AGCOM 73/11/Cons del 16 febbraio 2011 ad una fattispecie verificatasi in epoca precedente alla sua entrata in vigore, rilevando che l’istanza con cui il (OMISSIS) aveva chiesto la definizione in sede conciliativa della vertenza, protocollata dal Corecom al n. 26770 del 25 maggio 2011, come pure l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado erano successivi alla data di entrata in vigore della delibera n. 73/11/Cons, avvenuta in data 15 marzo 2011.

Ha, parimenti, respinto il quarto ed il quinto motivo di appello, che investivano l’an della domanda risarcitoria, spiegando che la ritardata attivazione del servizio non era riconducibile, come sostenuto dalla Telecom Italia Spa, all’esistenza di fattori tecnici ostativi ad un tempestivo allaccio alla rete telefonica ad essa non imputabili, poiché dalla documentazione prodotta dall’utente emergeva che le istanze volte ad ottenere il rilascio delle necessarie autorizzazioni per l’ampliamento della rete e la posa dei relativi cavi telefonici erano state inoltrate alle competenti autorità amministrative, da parte della Telecom, solo in data 2 marzo 2010, a fronte di una richiesta di attivazione della linea telefonica, da parte del (OMISSIS), risalente alla fine del 2007.

La corte territoriale ha, infine, ritenuto infondati il terzo ed il sesto motivo di appello, attinenti alla quantificazione della somma riconosciuta a titolo di indennizzo, sottolineando, al riguardo, che la liquidazione era avvenuta in conformità ai criteri di computo previsti dalla delibera AGCOM 73/11/Cons del 16 febbraio 2011, con specifico riguardo alle ipotesi di ritardata attivazione dell’utenza telefonica di cui all’art. 3, comma 1, e dei servizi accessori relativi all’allaccio alla rete internet, di cui al comma 4 dello stesso articolo, nonché di omesso inserimento nell’elenco degli abbonati di cui all’art. 10, comma 1, della medesima delibera.

3. Avverso la suddetta decisione propone ricorso per cassazione la Telecom Italia Spa , affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso (OMISSIS) Romano.

4. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1. cod. proc civ.

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “errata applicazione della L. n. 249/1974, la violazione dell’art. 84 del D.Lgs. n. 259 del 2003 e l’errata applicazione dell’allegato “A” della delibera 73/11/Cons in materia di indennizzi”.

Lamenta che la Corte territoriale avrebbe errato nel rigettare il motivo di gravame con il quale era stato dedotto che le norme previste dal D.Lgs. n. 259 del 2003 potevano trovare ingresso solo nelle controversie in sede conciliativa dinanzi all’AGCOM o al Corecom e non in sede contenziosa ordinaria, poiché non aveva tenuto conto dell’ambito oggettivo di applicazione del Regolamento, chiaramente delineato dall’art. 5, comma 2, né di quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 15349/2017.

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 1373 e 1569, nonché degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c.

La ricorrente, partendo dalla considerazione che la Corte territoriale ha affermato che il contratto d’utenza telefonica, essendo a forma libera, si perfeziona con l’accordo delle parti legittimamente manifestato ed ha individuato nella missiva Telecom del 19 dicembre 2007, prot. n. 80973316, la manifestazione di volontà di adesione alla richiesta di attivazione dell’utenza telefonica, avanzata dal (OMISSIS), sostiene che, quanto meno dal 19 dicembre 2007, era in essere tra le parti un contratto di somministrazione a tempo indeterminato, cosicché doveva riconoscersi a ciascuna parte, ai sensi dell’art. 1569 c.c., il diritto di recedere dal contratto previo preavviso ed escludersi la censurabilità dell’esercizio del diritto di recesso ad nutum al di fuori delle ipotesi in cui fosse stata accertata la volontà di arrecare pregiudizio alla controparte.

Sotto altro profilo, la ricorrente, alla stregua delle suddette considerazioni, censura la decisione impugnata nella parte in cui la Corte d’appello non ha rinvenuto nella missiva del 12 agosto 2008 una evidente manifestazione di volontà di recesso dal contratto di utenza, dato che il significato letterale della missiva lasciava chiaramente trasparire l’intenzione della odierna ricorrente di sciogliersi dal vincolo contrattuale, volontà di cui il (OMISSIS) avrebbe dovuto prendere atto per poi rivolgersi ad altro operatore al fine di ottenere l’attivazione della linea telefonica.

3. Con il terzo motivo, deducendo la violazione dell’art. 11 delle disposizioni della legge in generale, la ricorrente assume che la Corte d’appello, utilizzando i criteri di determinazione dell’indennizzo previsti dalla delibera 73/11/Cons, pubblicata sulla G.U. del 14 marzo 2011, avrebbe erroneamente attribuito efficacia retroattiva alle disposizioni di detta delibera, avendole applicate ad un contratto d’utenza che si era perfezionato nel dicembre 2007, e, quindi, in epoca antecedente alla entrata in vigore della stessa delibera.

4. Preliminarmente, il Collegio non può esimersi dal rilevare che tutte le censure rivolte alla sentenza impugnata risultano estremamente generiche e tali da non consentirne una piena valutazione in sede di giudizio di legittimità, laddove il principio di autosufficienza di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., di contro, richiede che il giudice di legittimità sia messo nelle condizioni di valutare ex actis la rilevanza della questione in diritto sollevata.

Difatti, in forza dei principi di economia processuale, ragionevole durata del processo e interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio patito dalla parte, sicché l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata.

Per giurisprudenza costante, nel valutare tutti questi aspetti, nel giudizio di legittimità è necessario esporre nel ricorso, in maniera succinta ma esaustiva, il vizio di violazione di legge sostanziale o processuale per come inizialmente dedotto unitamente all’atto processuale in cui esso è ictu oculi rinvenibile (Cass., sez. 6-1, 25/09/2019, n. 23834; Cass., sez. 6-3, 10/08/2017, n. 19985; Cass., sez. 6 – L, 30/07/2010, n. 17915; Cass., sez. 1, 17/05/2006, n. 11501).

Dovendo il giudice di legittimità, sulla base della lettura del ricorso, essere posto in grado di comprendere l’oggetto della controversia e delle questioni dibattute tra le parti, senza fare autonomamente riferimento ad atti esterni al ricorso, risulta evidente che, qualora la tecnica di redazione del ricorso non risponda a tale modello, come nel caso in esame, il ricorso è inammissibile, valendo tale requisito formale quale unico filtro per il giudizio di legittimità, da considerarsi ex art. 111 Cost. svincolato da ogni considerazione discrezionale da parte della giudice di legittimità (Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34469; Cass., sez. U, 19/04/2016, n. 7701).

5. Cionondimeno, il primo motivo risulta comunque inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi della pronuncia impugnata.

5.1. La Corte d’appello, affrontando il motivo di gravame con il quale l’odierna ricorrente aveva dedotto che il regolamento adottato dall’AGCOM si applicherebbe solo alle controversie tra utenti e operatori telefonici promosse dinanzi alla stessa Autorità, e non alle controversie demandate alla cognizione del giudice ordinario, ha ben evidenziato che né nel D.Lgs. n. 259 del 2003, né nel Regolamento in materia di risoluzione delle controversie tra utenti ed operatori approvato con delibera n. 173/07/Cons, né ancora nella delibera n. 73/11/Cons del 16 febbraio 2011 sono contenute disposizioni che ne limitano l’applicazione in via esclusiva ai soli casi sottoposti all’esame dell’Autorità Garante.

5.2. La ricorrente anche in questa sede si è limitata a ribadire la deduzione difensiva secondo cui gli indennizzi determinati con il Regolamento debbano trovare applicazione esclusivamente in sede amministrativa, senza tuttavia chiarire, a fronte delle ragioni che, ad avviso dei giudici di appello, portano a ritenere tale tesi difensiva destituita di fondamento, per quale motivo la conclusione raggiunta dai giudici di merito comporti la violazione delle norme evocate in rubrica e, comunque, omettendo di esplicitare le ragioni in forza delle quali la disciplina normativa incontri le limitazioni invocate.

Difatti, occorre, sul punto, osservare che il richiamato art. 84 del Codice delle Comunicazioni non stabilisce affatto che i Regolamenti dell’Autorità Garante si applicano esclusivamente dinanzi a tale Autorità, ma prevede piuttosto che l’Autorità è tenuta ad adottare “procedure extragiudiziali trasparenti, non discriminatorie, semplici e poco costose per l’esame delle controversie tra i consumatori le imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica, inerenti alle condizioni contrattuali o all’esecuzione dei contratti riguardanti la fornitura di tali reti e servizi”.

La disposizione si prefigge dunque la finalità di consentire “una equa e tempestiva risoluzione delle controversie prevedendo, nei casi giustificati, un sistema di rimborso o di indennizzo”.

Inoltre, la parte ricorrente, con il generico riferimento alla “errata applicazione della L. n. 249 del 1974” ed alla errata applicazione dell’Allegato “A” della delibera n. 73/11/Cons non illustra, in concreto, quale specifica disposizione sarebbe stata violata dalla sentenza impugnata, non consentendo in tal modo a questa Corte di delibare la doglianza sollevata, che è rimasta del tutto inesplicata e non adeguatamente sviluppata.

5.3. Neppure soccorre a supporto della censura la sentenza n. 15349/17 di questa Corte, in quanto tale arresto giurisprudenziale è del tutto inconferente rispetto alla questione qui prospettata.

Pronunciando nell’ambito di controversia in cui la parte ricorrente nel richiedere il risarcimento dei danni, e non la condanna al pagamento di indennizzo, aveva dedotto che il giudice di merito avrebbe dovuto liquidare il danno quanto meno in misura pari all’indennizzo giornaliero previsto nelle delibere AGCOM, si è chiarito che “gli indennizzi sono previsti nella delibera AGCOM e nel D.M. citati in funzione deflattiva, per prevenire ed evitare il contenzioso inducendo il cliente a ricorrere agli organismi di composizione delle controversie” e che essi “non equivalgono ad una presunzione sul verificarsi stesso del danno”, di talchè non possono supplire alla mancata prova del verificarsi del danno nel caso in cui sia stato introdotto un giudizio per avanzare domanda risarcitoria fondata sulle regole ordinarie dell’inadempimento e della prova del danno.

Si tratta, all’evidenza, di decisione che esula dalla questione di cui discute in questa sede e con la quale si è inteso statuire, con riguardo alla domanda di risarcimento da inadempimento contrattuale, che il ricorso ai criteri dettati dal Regolamento in materia di indennizzi, benché consentita ai fini della determinazione del quantum, non permette in alcun caso di prescindere dall’onere, incombente sulla parte che chiede il risarcimento, di fornire la prova del danno di cui chiede il ristoro.

6. Anche il secondo motivo di ricorso, quand’anche si potesse prescindere dal profilo d’inammissibilità rilevato al p. 4), sarebbe comunque inammissibile per le ulteriori ragioni che di seguito si espongono.

Nell’illustrare la censura, la Telecom Italia Spa non assolve all’onere di precisare se la questione con essa introdotta – con la quale si chiede di verificare se, anche a voler ritenere concluso il contratto in data 19 dicembre 2007, la lettera Telecom del 12 agosto 2008 integri un valido recesso ad nutum – fosse stata già sollevata nel giudizio di merito o, se piuttosto, costituisca questione nuova irritualmente agitata per la prima volta in sede di legittimità.

Infatti, in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga una questione – che implichi accertamenti di fatto – ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Cass. sez. 3, 21/11/2017, n. 27568; Cass., sez. 1, 21/06/2018, n. 16347).

Tale onere, benché nella sentenza impugnata non si faccia menzione della questione, non risulta minimamente assolto dall’odierna ricorrente che ha incentrato le sue contestazioni sull’assunto che la missiva datata 12 agosto 2008 esterni una chiara volontà di recedere dal contratto d’utenza telefonica, liberamente esercitabile da ciascuna parte qualora la durata del contratto non sia stata stabilita e manchi una diversa regolamentazione pattizia, in forza di quanto disposto dall’art. 1569 c.c., oltre che su una presunta violazione, da parte del giudice a quo, dei criteri di interpretazione dell’atto.

7. In ogni caso, la censura è inammissibile per difetto di interesse.

Infatti, a fronte della missiva del 12 agosto 2008, con cui si informava l’utente che la domanda di attivazione dell’utenza telefonica sarebbe stata annullata, la Telecom ha successivamente dato esecuzione al contratto, provvedendo all’attivazione della linea in data 18 marzo 2011, come pacificamente si evince dalla sentenza impugnata, cosicché la doglianza, anche laddove venisse accolta, non potrebbe spiegare alcun rilievo pratico in relazione alle domande svolte (in tal senso, Cass., sez. 1, 13/10/2016, n. 20689, che ha statuito che “il motivo di impugnazione con cui si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, priva di qualsivoglia influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta, quindi, all’emanazione di una pronuncia senza rilievo pratico risulta inammissibile”) ed accolte, nei suoi confronti, per ragioni indipendenti ed ulteriori.

8. Anche con il terzo motivo la ricorrente svolge argomentazioni inconferenti che non colgono la ratio decidendi della sentenza gravata.

Si sostiene che sarebbero stati applicati retroattivamente criteri di liquidazione dell’indennizzo di cui alla delibera 73/11 Cons, entrata in vigore a decorrere dal 14 marzo 2011, sebbene il contratto d’utenza telefonica si fosse già perfezionato dal dicembre 2007, ma non si censura idoneamente la statuizione della Corte d’appello che ha, correttamente, rilevato che le disposizioni in materia di liquidazione degli indennizzi, dettate dalla delibera, sono applicabili ai procedimenti che siano stati promossi successivamente alla sua entrata in vigore e non già ai fatti accaduti in epoca successiva alla sua entrata in vigore.

Sul punto la motivazione del giudice a quo si rivela pienamente corretta, considerato che l’art. 5, comma 2, della citata delibera AGCOM prevede espressamente che “le disposizioni contenute nel regolamento concernente la liquidazione da parte dell’Autorità o dei Corecom degli indennizzi in sede di definizione delle controversie, sono applicate ai procedimenti di definizione per i quali la relativa istanza sia stata presentata successivamente alla data di entrata in vigore della presente delibera”.

Essendo la notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado pacificamente intervenuta in data 3 novembre 2011, il giudice del gravame ha legittimamente applicato le disposizioni della invocata delibera AGCOM 73/11/Cons alla presente controversia insorta dopo la sua entrata in vigore.

9. Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002 art. 13, comma 1-quater, inserito dal L. n. 228 del 2012 art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.