Rito abbreviato: nell’udienza preliminare l’imputato può pur sempre revocare la scelta processuale precedentemente compiuta (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, Sentenza 13 febbraio 2020, n. 5788).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARCANO Domenico – Presidente –

Dott. LAPALORCIA Grazia – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Patrizia – Consigliere –

Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere –

Dott. RAGO Geppino – Consigliere –

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere –

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –

Dott. DE CRESCIENZIO Ugo – Rel. Consigliere –

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Halan Andriy, nato a Striy il 15/06/1972;

avverso la sentenza del 18/10/2017 della Corte di Assise d’Appello di Perugia;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal componente dOTT. Ugo De Crescienzo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale aggiunto Dott. Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio parziale e l’annullamento senza rinvio sulla pena;

udito l’avvocato Renato Chiaranti, difensore della parte civile Claudia Bellini, che ha chiesto la conferma della sentenza, con particolare riferimento alle statuizioni civili;

uditi gli avvocati Luca Maori e Francesco Mattiangeli, difensori dell’imputato, che hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. All’esito di indagini seguite alla denuncia della scomparsa di Sandro Bellini la polizia giudiziaria arrestava Halan Andriy che, dopo avere ammesso il proprio coinvolgimento nella vicenda omicidiaria, indicava, nell’immediatezza il luogo ove aveva occultato il corpo della vittima, spiegando le ragioni del delitto e fornendo una personale ricostruzione del fatto.

Il Pubblico Ministero, ritenuta la evidenza della prova procedeva con giudizio immediato formulando la seguente imputazione:

“a) del delitto di cui all’art. 575 cod. pen., perché cagionava la morte di Sandro Bellini, causata da multiple fratture della volta cranica-anteriore e della fossa cranica anteriore con conseguente sfacelo cranio-encefalico.

“b) del delitto di cui all’art. 423 cod. pen. perché cagionava l’incendio del veicolo targato CA039PW di proprietà di Sandro Bellini, con l’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen. per avere commesso il fatto per assicurarsi l’impunità del reato sub a).

Fatti commessi in Terni il 18.5.2016″.

Introdotto il giudizio immediato ex art. 455 cod. proc. pen., seguiva la richiesta dell’imputato di procedere con il rito abbreviato condizionato al compimento di accertamenti peritali sui telefoni cellulari e all’audizione di un testimone; il giudice ammetteva le prove richieste, disponendo di ufficio anche l’audizione del consulente medico del pubblico ministero; quest’ultimo contestava poi, all’imputato, in via suppletiva, l’ulteriore reato di occultamento di cadavere (art. 412 cod. pen.), nonché, con riferimento al delitto di omicidio, le circostanze aggravanti dei motivi abbietti (art. 61, primo comma, n. 1 cod. pen.), di avere adoperato sevizie (art. 61, primo comma. N. 4, cod. pen.) e di avere agito con premeditazione (art. 577, primo comma, n. 3, cod. pen.).

La difesa denunciava ex art. 441-bis cod. proc. pen. l’inammissibilità della contestazione suppletiva argomentando che nel corso del giudizio abbreviato non era emersa alcuna circostanza nuova ed ulteriore rispetto a quanto già noto al pubblico ministero al momento della formulazione dell’imputazione originaria.

Con ordinanza del 24 ottobre 2016 il giudice respingeva le censure della difesa, disponeva la prosecuzione del giudizio anche in relazione alle nuove contestazioni formulate dalla pubblica accusa e, esclusa la aggravante di cui all’art. 61 n. 4 cod. pen. e derubricato il delitto di cui al capo b) in danneggiamento aggravato seguito da incendio, con sentenza del 23 febbraio 2017 dichiarava la penale responsabilità dell’imputato, condannandolo alla pena di anni trenta di reclusione, oltre alle pene accessorie.

La Corte di Assise di Appello di Perugia, adita dalla difesa, ritenuta, a sua volta, la legittimità delle contestazioni suppletive, siccome inerenti a fatti già desumibili dagli atti del processo, esclusa l’aggravante di cui all’art. 577 n. 3 cod. pen., confermava nel merito la decisione di primo grado con la sentenza in epigrafe indicata.

2. Contro la sentenza di appello, l’imputato tramite i suoi difensori ha proposto ricorso per Cassazione deducendo i seguenti motivi:

– ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. per inosservanza degli artt. 441 e 441 bis, 423 cod. proc. pen. conducente ad una nullità a regime intermedio ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. tempestivamente denunciata;

– ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nel punto in cui la Corte territoriale ha escluso la riconducibilità del fatto contestato al capo a) sotto la disciplina dell’art. 584 cod. pen.;

– ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per violazione dell’art. 61, primo comma, n. 1 cod. pen. nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al riconoscimento della residua aggravante dei motivi abbietti e futili;

– ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e l’omessa indicazione dei criteri di determinazione della pena ex art.133 cod. pen., perché la Corte non avrebbe valutato condizioni sociali del reo, la sua incensuratezza e il suo comportamento processuale.

La difesa ha depositato i motivi aggiunti (da ricollegarsi al terzo motivo del ricorso principale), denunciando, ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., il vizio di manifesta illogicità della motivazione nel punto ove si afferma che il movente del delitto di omicidio è da rinvenirsi nell’intento di vendetta e non già in quello della gelosia.

3. La Prima Sezione di questa Corte, assegnataria del procedimento per competenza interna, con ordinanza del 14 dicembre 2018, ai sensi dell’art. 618 comma 1 cod. proc. pen. ha trasmesso gli atti alle Sezioni Unite, segnalando l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza relativamente alla legittimità delle contestazioni suppletive elevate dal pubblico ministero nel corso del giudizio abbreviato condizionato riferibili a circostanze già in atti del processo e non riportate nell’originario capo di imputazione.

In particolare, la sezione remittente sottolinea che è riscontrabile dagli atti del processo come, sia la natura “passionale” del reato di omicidio, sia l’occultamento del corpo della vittima, emergessero in modo chiaro già dalle dichiarazioni confessorie rese dall’imputato pochi giorni dopo la consumazione del grave delitto, mentre non è rinvenibile alcun nesso di derivazione tra la contestazione suppletiva e l’esito degli accertamenti istruttori svolti nel corso del giudizio abbreviato condizionato.

3.1. Sulla base di tale premessa viene evidenziato che nella giurisprudenza di legittimità) sarebbe presente un orientamento interpretativo costante (applicato, nel caso concreto dalla Corte di Assise di appello) in base al quale, nel giudizio abbreviato condizionato, ai sensi dell’art. 423 cod. proc. pen. possono essere formulate contestazioni suppletive che, pur non derivando da nuove emergenze processuali, riguardino fatti o circostanze non contestate, ma già desumibili dagli atti (Sez. 2 n. 23466 del 09/05/2005, Scozzari, Rv. 231993; Sez. 5, n. 7047 del 27/11/2008, Reinhard, Rv. 242962; Sez 6, n. 5200 del 15/11/2017, Ribaj, Rv. 272214), e quindi conosciute o conoscibili da parte dell’imputato nel momento della richiesta di ammissione al rito speciale.

Viene anche sottolineato come, nelle decisioni richiamate, il tema della legittimità delle suddette contestazioni suppletive sia risolto in modo del tutto implicito affermandosi che nel caso di contestazione suppletiva relativa a fatti già emergenti dagli atti del processo, l’imputato non può esercitare il diritto di rinunciare alla prosecuzione del giudizio con il rito abbreviato, così come previsto dall’art. 441 bis cod. proc. pen. (Sez. 6 n. 5200 del 15.11.2017, Ribaj, Rv. 272214).

Viene poi rilevato che con la sentenza Sez. 4, n. 48280 del 26/09/2017, Squillante, Rv 271293, si è affermato che in sede di giudizio abbreviato condizionato la contestazione suppletiva per circostanze già desumibili dagli atti sarebbe comunque legittima, perché la regola contenuta nell’art. 423 cod. proc. pen. (attuativo della direttiva contenuta nell’art. 2, punto 52, della legge delega 16 febbraio 1987 n. 81, che impone la previsione per il pubblico ministero nell’udienza preliminare del potere di modificare l’imputazione e procedere a nuove contestazioni) se pur riferita esplicitamente alla sola udienza preliminare, deve ritenersi estesa, valendo gli stessi criteri, anche nella ipotesi di giudizio abbreviato condizionato, non ricorrendo nella specie alcuna lesione del diritto di difesa.

La sezione rimettente, afferma di non condividere il suddetto orientamento, perché esso non trova giustificazione né sul piano dell’interpretazione letterale delle norme che disciplinano il rito abbreviato, né su quello logico – sistematico.

In particolare viene messo in evidenza che la soluzione prospettata dalla giurisprudenza circa la legittimità della contestazione suppletiva, possibile nel giudizio “abbreviato condizionato” in relazione a fatti già noti ed in atti, si pone in antitesi rispetto alla disciplina del rito abbreviato c.d. “secco”, ove analoga opzione non è invece possibile.

Si sottolinea infine che la soluzione seguita nell'”abbreviato condizionato” è in contrasto con quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 140/2010.

Il collegio, richiamate quindi l’evidente asimmetria tra le due forme di rito abbreviato in tema di contestazioni suppletive per fatti già in atti, nonché i principi affermati dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza, motivatamente segnala il profilarsi di un potenziale contrasto rilevante ex art. 618 cod. proc. pen.

Infatti, secondo il collegio rimettente, le deroghe alla disciplina generale introdotte dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, (artt. 438 comma 5 e art. 441 comma 5 cod. proc. pen.), devono essere interpretate e considerate come eccezioni al regime ordinario dettato dall’art. 441 comma 1 cod. proc. pen. con la conseguenza che dette eccezioni non sono estensibili oltre il sistema specifico di riferimento.

Pertanto conclude che l’adeguamento dell’imputazione nel giudizio abbreviato condizionato è giustificato solo in relazione ai fatti nuovi emersi nel corso del giudizio e direttamente dipendenti dall’ampliamento della base cognitiva attraverso le nuove prove (c.d. contestazioni suppletiva fisiologica); in caso contrario vi sarebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra un giudizio abbreviato che, nel caso sia stato condizionato dall’imputato, pur in assenza di elementi di novità, potrebbe portare a contestazioni suppletive patologiche, rispetto ad un giudizio abbreviato “puro” ove queste non sono comunque ammissibili.

4. Con decreto del 28 gennaio 2018 il Presidente Aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza.

RITENUTO IN DIRITTO

1. La questione sottoposta alle Sezioni Unite può essere così sintetizzata: “Se nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria o nel quale l’integrazione sia stata disposta dal giudice, sia consentito procedere alla modificazione dell’imputazione o a contestazioni suppletive con riguardo a fatti già desumibili dagli atti delle indagini preliminari e non collegati agli esiti dei predetti atti istruttori”.

2. Per la soluzione della questione occorre partire dalla disciplina dell’art. 441, comma 1, cod. proc. pen. ove, è previsto che nel rito abbreviato si osservano in quanto applicabili le disposizioni dettate per l’udienza preliminare, fatta eccezione per quelle di cui agli artt. 422 e 423 cod. proc. pen.

L’effetto derivante dalla suddetta regola è l’impossibilità per il pubblico ministero di modificare l’imputazione originariamente mossa e nota all’imputato nel momento in cui questi ha formulato la propria richiesta di ammissione al rito premiale.

La regola anzidetta si applica anche nel caso in cui l’imputazione sia errata (cd. “imputazioni patologiche”), per essere caratterizzata da errori od omissioni desumibili già dalla sola lettura degli atti del fascicolo processuale, come nel caso di omessa contestazione di reati connessi o di circostanze aggravanti.

La regola segnata dall’art. 441, comma 1, cod. proc. pen., unitamente alla rinuncia da parte dell’imputato alla formazione della prova in contraddittorio, a fronte del riconoscimento di una diminuente sulla pena, costituisce il tratto distintivo proprio del c.d. rito abbreviato.

La lettera dell’art. 441, comma 1, cod. proc. pen., rimasta invariata anche dopo le modificazioni introdotte dal legislatore nel 1999 è chiara, con la conseguenza che (anche alla luce della sentenza 378/1997 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato la piena legittimità dell’istituto) va confermata la consolidata linea giurisprudenziale (v., fra le altre: Sez. 4, n. 3758 del 03/06/2014, Costa, Rv. 263196; Sez. 6 n. 13117 del 19.1.2010, Sghizi Yassine e altro, Rv. 246680; Sez. 4, n. 12259 del 14/02/2007, Biasotto, Rv. 236199) per la quale la modificazione dell’imputazione in violazione della norma in esame, ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., è causa di nullità generale a regime intermedio della sentenza pronunciata all’esito del giudizio.

Per completezza, si osserva che il dettato dell’art. 441 cod. proc. pen. attiene esclusivamente ai limiti posti al pubblico ministero nel modificare l’imputazione nel corso del giudizio e non riguarda invece l’autonomo ed esclusivo potere-dovere del giudice di dare al fatto una diversa definizione giuridica del fatto; infatti il legislatore ha previsto il mezzo di impugnazione dell’appello da parte del pubblico ministero contro la sentenza di condanna nella quale sia stato modificato il titolo del reato originariamente contestato (art. 423 comma 3 cod. proc. pen).

2.2. La regola scaturente dalla lettura dell’art. 441, comma 1, cod. proc. pen. porta alle seguenti pratiche conseguenze:

1) qualora, successivamente alla ammissione del giudizio abbreviato c.d. “secco” vengano in evidenza fatti (reati connessi o circostanze aggravanti) desumibili dagli atti processuali, ma non ricompresi nell’imputazione, in linea generale il pubblico ministero non potrà procedere alla formulazione di contestazioni suppletive;

2) nel caso in cui l’omessa contestazione attenga ad un reato connesso, il pubblico ministero dovrà procedere con un separato giudizio, posto che in tal caso la azione penale non è stata ancora consumata;

3) nel caso in cui la omissione attenga ad una circostanza aggravante, questa non sarà più recuperabile.Il sistema descritto è stato ritenuto immune da vizi rilevanti in sede costituzionale sia nel caso in cui la preclusione alla modificazione dell’accusa venga collegata agli effetti premiali del rito, sia che essa venga inquadrata nella peculiare natura del giudizio “allo stato degli atti” essendo invece del tutto coerente con le finalità del rito (v. Corte Cost. sentenza n. 378/1997).

2.3. Con la legge 16 dicembre 1999 n. 479 il legislatore ha modificato il rito processuale in esame, introducendo la possibilità di arricchire la piattaforma probatoria o su richiesta dell’imputato (art. 438, commi 1 e 5, cod. proc. pen. cd. rito abbreviato condizionato) o su disposizione del giudice (art. 438, comma 1 e 441, comma 5, cod. proc. pen.).

In tale modo il legislatore ha superato l’originaria rigidità del giudizio abbreviato assecondando le esigenze dell’imputato o dello stesso giudicante attraverso la possibilità di un ampliamento della base cognitiva del processo, con la immissione di materiale istruttorio “nuovo” rispetto a quello già presente in atti.

Il legislatore, nella previsione che l’apporto di nuovi elementi di prova, potesse far emergere nuove circostanze aggravanti o nuovi reati connessi a quelli già oggetto del giudizio, ha dettato ulteriori regole (art. 441, comma 5, e art. 441-bis cod. proc. pen.) che permettessero, da un lato, al pubblico ministero di modificare la imputazione ex art. 423, comma 1, cod. proc. pen. e dall’altro, all’imputato alternativamente di recedere dal rito abbreviato ex art. 441 bis comma 1 cod. proc. pen. o, ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo richiamato, proseguire nel giudizio abbreviato in corso chiedendo l’ammissione di nuove prove relative alle contestazioni formulate ai sensi dall’art. 423 cod. proc. pen.

La soluzione della questione rimessa alle Sezioni Unite va quindi rinvenuta all’interno delle disposizioni richiamate che vanno fra loro coordinate in una lettura che tenga presente i principi affermati dalla Corte Costituzionale.

Il dato letterale dell’art. 423 cod. proc. pen. non appare di per sé solo, sufficiente a dare una convincente risposta al quesito posto.

Infatti se l’articolo in esame è chiaro nel delimitare l’oggetto della modificazione della contestazione (diversità del fatto; reato connesso ex art. 12, lett. b), cod. proc. pen.; circostanze aggravante) l’espressione “nel corso del giudizio” appare ancora vaga e non idonea a far univocamente ritenere se le contestazioni suppletive debbano riguardare esclusivamente fatti nuovi o possano ritenersi estensibili anche a fatti già noti, in atti e non regolarmente contestati.

La ambiguità segnalata viene invece superata nel momento in cui l’art. 423 cod. proc. pen. viene calato allo interno della disciplina del giudizio abbreviato e letta in relazione alle peculiarità del rito.

Questo si caratterizza per tre elementi distintivi:

è un giudizio allo stato degli atti;

è un giudizio nel quale l’imputato accetta di essere giudicato rinunciando al contraddittorio sulla formazione della prova;

è un giudizio che prevede un trattamento sanzionatorio premiale per la scelta fatta dall’imputato.

Il fatto che il legislatore abbia previsto (artt. 441, comma 5, e 438, comma 5, cod. proc. pen.) che la base cognitiva del giudizio possa essere ampliata da una richiesta di integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione, non muta la natura del giudizio che è e rimane comunque “allo stato degli atti”. Infatti l’imputato continua a rinunciare al contraddittorio sulla formazione delle prove acquisite e per esempio a far valere le nullità a regime intermedio, la incompetenza per territorio e le inutilizzabilità c.d. fisiologiche.

Tali rinunce processuali, eventualmente temperate dalla possibilità di richiedere una integrazione probatoria (utile ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del processo) sono il frutto di una scelta dell’imputato fondata proprio sullo “stato degli atti”.

La anzidetta valutazione degli “atti” non può prescindere dal tenore della imputazione che costituisce, per il suo contenuto, la sintesi degli addebiti che vengono mossi proprio in loro funzione.

Tale considerazione vale tanto per il rito abbreviato c.d. “secco”, quanto nel caso del rito abbreviato condizionato.

Infatti, nel caso in cui l’imputato scelga di seguire la strada del rito abbreviato condizionato, è di tutta evidenza che la richiesta di integrazione probatoria viene formulata in funzione degli atti contenuti nel fascicolo, apprezzati alla luce del tenore dell’accusa mossa, sicché anche la richiesta di integrazione probatoria risente del tenore dell’accusa.

Va altresì rilevato che la valutazione del giudicante in ordine all’ammissione delle prove richieste, ex art. 438, comma 5, cod. proc. pen., a sua volta, si fonda necessariamente su tutti gli atti del processo compresa la relativa imputazione.

Proprio questa diretta dipendenza dallo stato degli atti, incidente sulle scelte nel rito abbreviato condizionato dell’imputato e sulla susseguente decisione del giudice porta a ritenere che il pubblico ministero non è legittimato a variare la imputazione originariamente formulata recuperando aspetti già desumibili dal contenuto del fascicolo depositato al momento della richiesta di ammissione al rito, ma non correttamente considerati.

All’interno di questa dimensione giuridica e della pregnanza della scelta processuale di accedere al rito abbreviato, non può essere sottaciuto che la imputazione è presidio di garanzia per l’imputato che ha diritto a conoscere nei suoi esatti termini il contenuto dell’accusa sulla cui base opera le proprie scelte anche in relazione al rito processuale e alla modalità di accesso ad esso.

Ritenere che il pubblico ministero possa, nel rito abbreviato condizionato, modificare ad libitum l’imputazione originaria, perché ritenuta non adeguata rispetto a quanto già è agli atti del processo, vuol dire minare una garanzia dell’imputato e indirettamente la bontà delle decisioni del giudice nella fase di ammissione al rito.

Sempre in una lettura coordinata delle disposizioni che disciplinano il rito abbreviato, viene ancora in evidenza (come segnalato dalla sezione rimettente) che diversamente opinando si andrebbe incontro ad una illogica disarmonia di sistema.

Infatti, mentre è assolutamente pacifico che in caso di rito abbreviato “secco” il pubblico ministero non può operare alcuna modificazione dell’imputazione neppure per recuperare una contestazione più adeguata allo stato degli atti, tale facoltà gli sarebbe inspiegabilmente riconosciuta nel caso in cui l’imputato abbia optato per un rito abbreviato condizionato attraverso una lettura asistematica dell’art. 423 cod. proc. pen. che non tenga conto delle caratteristiche proprio del rito abbreviato.

La soluzione data dalla giurisprudenza criticata nell’ordinanza di rimessione non trova pertanto giustificazione nel contenuto delle norme in esame, lede il presidio di garanzia dell’imputato costituito dalla stabilità dell’accusa rispetto a quanto già in atti, crea una ingiustificata disarmonia di sistema che si concreta in un’inspiegabile diversità di trattamento tra rito abbreviato secco e rito abbreviato condizionato in relazione ad una medesima situazione processuale rappresentata da una contestazione patologica.

Mutatis mutandis le considerazioni fin qui svolte valgono anche nel caso in cui sia il giudice a disporre l’acquisizione di nuovi elementi ex art. 441, comma 5, cod. proc. pen.

A tal proposito va osservato che la decisione del giudice di ampliare il quadro probatorio non può costituire l’ “occasione” per il pubblico ministero di mutare e adeguare il tenore dell’accusa rispetto a quanto già in atti, così pervenendosi ad una disparità di trattamento rispetto al caso in cui il giudice non senta alcuna necessità di allargare la piattaforma probatoria.

Da quanto sopra deriva, quindi, che le nuove contestazioni ex art. 423 cod. proc. pen. non possono che trovare giustificazione se non nei nuovi elementi di fatto emersi dall’allargamento della piattaforma probatoria ex artt. 438, comma 5, e 441, comma 5, cod. proc. pen. e le nuove contestazioni devono essere direttamente dipendenti dall’arricchimento del piano cognitivo del giudizio.

Riconoscere che il pubblico ministero possa, nel giudizio abbreviato condizionato, modificare l’imputazione sulla base di quanto già in atti, si traduce nell’inosservanza delle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale che si è pronunciata a tal proposito con la sentenza 140 del 2010, con cui, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 441 e 441-bis cod. proc. pen, in relazione agli artt. 3, 24, 97, 111 e 112 della Costituzione, ha sottolineato che la previsione della possibilità per il pubblico ministero di modificare ex art. 423 cod. proc. pen. il capo di imputazione nelle ipotesi in cui sia stato operato un ampliamento della piattaforma probatoria si pone come eccezione rispetto alla regola enunciata dall’art. 441, comma 1, cod. proc. pen.

Sicché le nuove contestazioni sono legittimamente formulate in quanto ancorate a fatti nuovi o nuove circostanze emerse a seguito della modificazione della base cognitiva conseguenti all’attivazione dei meccanismi di attivazione probatoria.

La Corte Costituzionale ha inoltre affermato che «…con la richiesta di giudizio abbreviato l’imputato accetta di essere giudicato con il rito semplificato in rapporto ai reati già contestatigli dal pubblico ministero, rispetto ai quali solo egli esprime l’apprezzamento della convenienza del rito: sicché non sarebbe costituzionalmente accettabile che egli venisse a trovarsi vincolato dalla sua scelta anche in relazione ad ulteriori reati concorrenti che gli potrebbero essere contestati a fronte di evenienze patologiche».

Nella specie si tratta di una sentenza interpretativa di rigetto della quale va comunque tenuto conto nella lettura delle disposizioni qui richiamate.

4. In conclusione, sulla base di quanto fin qui considerato, si deve pertanto affermare il seguente principio di diritto: “nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria a norma dell’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. o nel quale l’integrazione sia stata disposta a norma dell’art. 441, comma 5, dello stesso codice è possibile la modifica dell’imputazione solo per i fatti emergenti dagli esiti istruttori ed entro i limiti previsti dall’art. 423 cod. proc. pen.”.

5. Sfuggono ovviamente alla rigida applicazione delle regole indicate i casi in cui il pubblico ministero proceda, dopo l’ammissione del rito, a mere rettifiche di imprecisioni contenute nell’atto di accusa e che non incidano sugli elementi essenziali dell’addebito in considerazione dei quali l’imputato ha compiuto le sue scelte difensive.

Va infine affermato che è legittima la formulazione di una contestazione suppletiva da parte del pubblico ministero anche successivamente alla richiesta dell’imputato di ammissione al rito speciale, quando questa non sia stata ancora disposta dal giudice con ordinanza; infatti, prima della formale instaurazione del rito speciale deve ritenersi che è ancora in corso l’udienza preliminare e l’imputato può pur sempre revocare la scelta processuale precedentemente compiuta.

6. Passando all’esame della fattispecie concreta, ed applicando il principio di diritto sopra formulato, va accolto il primo motivo di ricorso con assorbimento del terzo e del quarto, essendo inammissibile il secondo con il quale la difesa, prescindendo dai limiti entro i quali è deducibile un vizio di motivazione, si limita a formulare censure generiche relative ad una ricostruzione alternativa della vicenda, che è stata ampiamente ed esaustivamente esaminata dalla Corte d’appello, in particolare nelle pagine 23-25 della sentenza con motivazione immune da vizi.

6.1. La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio per quanto attiene alla (residua) circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen. contestata nel corso del giudizio abbreviato condizionato in relazione al delitto di omicidio di cui al capo a).

Infatti le ragioni sottese alla commissione del delitto erano già emergenti dagli atti di indagine depositati dal pubblico ministero al momento dell’esercizio della azione penale e non sono derivazione dell’attività istruttoria suppletiva richiesta dall’imputato, né da quella disposta ex officio dal giudice.

La sentenza impugnata va annullata senza rinvio per quanto attiene al delitto di occultamento di cadavere (capo c), contestato successivamente all’ammissione al rito abbreviato.

Anche in questo caso si tratta di un fatto che già emergeva dagli atti di indagine, attraverso le dichiarazioni dell’imputato che aveva permesso il ritrovamento del cadavere della vittima.

Per tale parte gli atti vanno pertanto restituiti al pubblico ministero perché proceda al corretto esercizio della azione penale in relazione a tale reato.

Per l’effetto la sentenza impugnata va annullata anche in riferimento al trattamento sanzionatorio che dovrà essere riconsiderato dalla Corte di Assise di Appello di Firenze, cui vanno rinviati gli atti per un nuovo giudizio sul punto.

Per quanto attiene alle conclusioni della parte civile, queste dovranno essere prese in considerazione solo all’esito del giudizio definitivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la impugnata sentenza limitatamente: alla circostanza di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen. del capo A) e che elimina; al delitto di cui al capo c) (occultamento di cadavere) e dispone la trasmissione dei relativi atti al Procuratore della Repubblica di Terni.

Annulla la impugnata sentenza con rinvio alla Corte di Assise d’Appello di Firenze limitatamente al trattamento sanzionatorio.

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020.

SENTENZA