Rivelazione segreti d’ufficio: la conversazione intercettata può essere utilizzata in un procedimento diverso perché costituisce corpo del reato (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 27 giugno 2022, n. 24753).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPOZZI Angelo – Presidente –

Dott. CRISCUOLO Anna – Rel. Consigliere –

Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedetto – Consigliere –

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere –

Dott. GIORGI Maria Silvia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(OMISSIS) Antonio, nato a Brindisi il 21/11/19xx;

avverso la sentenza del 11/10/2021 della Corte di appello di Venezia;

letti gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata;

udita la relazione del consigliere, Dott.ssa Anna Criscuolo;

lette le richieste del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Silvia Salvadori, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di Antonio (OMISSIS) propone ricorso avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte di appello di Venezia ha confermato quella emessa il 19 dicembre 2018 dal locale Tribunale, che aveva dichiarato l’imputato colpevole dei reati riuniti di cui all’art. 326 cod. pen. e, esclusa al recidiva, con la continuazione e le attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena, sospesa, di mesi 7 di reclusione oltre pena accessoria.

L’imputato è stato ritenuto autore di rivelazione di segreti di ufficio per avere, in qualità di sottocapo della Capitaneria di Porto di Venezia, informato preventivamente Antonio (OMISSIS) dei controlli a sorpresa che sarebbero stati svolti il 4 e l’11 giugno 2015 presso gli stabilimenti balneari dello stesso, informandolo anche degli esiti dell’attività di controllo.

L’affermazione di responsabilità è stata fondata sulle conversazioni intercettate il 4 e il 10 giugno 2015, sulle dichiarazioni degli ufficiali della Capitaneria di Porto in ordine alla programmazione dei controlli e sul comportamento tenuto dal (OMISSIS) nel corso del secondo controllo.

Ne chiede l’annullamento per un unico motivo ovvero per l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni disposte in un procedimento diverso e per reati diversi.

La Corte dì appello ha disatteso l’eccezione difensiva in base ad una decisione risalente di questa Corte, richiamata anche dalla recente sentenza delle Sezioni Unite n. 51 del 28/11/2019, Cavallo, secondo la quale la conversazione intercettata che costituisce corpo di reato è utilizzabile in un procedimento diverso, in quanto acquisibile come prova.

La difesa obietta che tale interpretazione non tiene conto della giurisprudenza costituzionale e della ratio del divieto di utilizzazione dell’intercettazione in un procedimento diverso per mancanza della garanzia del previo intervento del giudice, sicché quando dall’intercettazione emergano prove di un fatto diverso da quello per il quale l’autorizzazione fu emessa, il P.m. deve iniziare un separato procedimento nel quale i risultati sono utilizzabili solo se il nuovo reato rientra tra quelli per cui è obbligatorio l’arresto in flagranza.

L’eccezione prevista dall’art. 270 cod. proc. pen. riguarda solo i reati più gravi e le stesse regole dovrebbero valere nel caso in cui la registrazione riguardi comunicazioni che costituiscono di per sé un reato, acquisibile come corpo di reato.

Si sostiene che non può confondersi il risultato con la cosa che documenta il colloquio, sicché solo in presenza di intercettazioni illecite la registrazione costituisce corpo dì reato, mentre quando illecito è solo il contenuto del colloquio registrato, la registrazione è soltanto una forma di documentazione.

Nel caso di specie, poiché l’accusa ha adombrato l’esistenza di un accordo preventivo tra le parti, l’intercettazione non è corpo di reato, né può per tale via trascurarsi la mutata prospettiva del nuovo art. 270 cod. proc. pen. e i principi affermati dalla sentenza delle Sezioni Unite Cavallo, in base ai quali nel caso di specie si è in presenza di una prova illegittimamente acquisita e di una inutilizzabilità patologica.

Conseguentemente, una volta espunte le conversazioni intercettate, manca la prova della rivelazione di un segreto di ufficio e di un previo accordo in tal senso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza del motivo, reiterativo di una censura respinta sin dal primo grado con motivazione lineare e con argomentazioni giuridiche corrette, nuovamente contestate nel ricorso con le stesse considerazioni.

La tesi giuridica accolta in sentenza si fonda su un risalente orientamento giurisprudenziale, ribadito anche di recente dalle sezioni di questa Corte e dalle Sezioni Unite nella nota sentenza Cavallo, richiamata nel ricorso.

Tenuto conto che detta sentenza ha risolto il contrasto giurisprudenziale sull’art. 270 cod. proc. pen., elevando al massimo il sistema di garanzie che deve assistere l’attività captativa per evitare che il giudice rilasci un’autorizzazione in bianco, come sottolineato dallo stesso ricorrente, proprio la circostanza che la tesi seguita dai giudici di merito risulti menzionata come eccezione in detta sentenza smentisce la tesi difensiva, risultando confermata, anche nel quadro più garantista tracciato, la deroga all’utilizzabilità in un procedimento diverso della conversazione che esaurisca in sé il reato, anche senza rientrare nei limiti autorizzativi di cui all’art. 266 cod. proc. pen.

E ciò in ragione del fatto che il colloquio e non solo il supporto che lo registra costituisce corpo di reato, acquisibile (e sequestrabile) al processo penale.

Si è, pertanto, al di fuori dei limiti di applicazione dell’art. 270 cod. proc. pen. come precisato appunto nella sentenza Cavallo, recuperando e convalidando le argomentazioni giuridiche fissate dalle Sezioni Unite Floris del 2014 (sentenza n. 32697 del 26/06/2014, Rv. 259776) e riprese in sentenze successive (Sez. 3, n. 38822 del 16/06/2016, Salierno e altri, Rv. 267802; Sez. 6, n. 26307 del 20/05/2021, Pisapia, Rv. 281536).

Tale linea interpretativa riguarda solo i reati che si consumano con condotta dichiarativa, purché la dichiarazione o la comunicazione esaurisca la condotta criminosa e la dichiarazione registrata integri, di per sé, il reato, come nel caso di favoreggiamento o di rivelazione di un segreto di ufficio.

In tal caso non si tratta di mera documentazione del contenuto illecito del colloquio, ma, essendo il colloquio in sé ad integrare il reato, la registrazione è la cosa sulla quale il reato è commesso, sicché non operano le norme di cui all’art. 270 cod. proc. pen. bensì quelle che regolano l’acquisizione del corpo del reato.

L’orientamento appena illustrato è perfettamente applicabile alla fattispecie in esame, in quanto il Cairo ha commesso il reato comunicando preventivamente al correo le date in cui sarebbero stati effettuati i controlli presso i suoi stabilimenti balneari e ciò appena dopo averle apprese per ragioni di ufficio, in tal modo rivelando dati destinati a non essere divulgati, in ciò esaurendosi l’offensività della condotta di rivelazione di segreti di ufficio.

Alcun utilizzo trasversale di intercettazioni illegittime si è verificato, ma solo la legittima acquisizione della prova del reato, commesso proprio mediante divulgazione telefonica dell’informazione riservata, destinata a rimanere segreta ed appresa per ragioni di ufficio con contestuale violazione dell’obbligo di segretezza, lealtà e fedeltà, incombente ad un pubblico ufficiale.

All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativamente determinata in tremila euro.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso, 9 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.