Rivendica la proprietà, ex art. 948 c.c.: la prova rimane ‘diabolica’ anche se il convenuto eccepisce l’usucapione (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 19 ottobre 2021, n. 28865).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13255-2016 proposto da:

(OMISSIS) PAOLO QUIRICO, rappresentato e difeso dall’avv. ANDREA (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SOCIETA’ ANONIMA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI (OMISSIS) (OMISSIS) 20, presso lo studio dell’avvocato GIANBENSO (OMISSIS) (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 465/2015 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. di SASSARI, depositata il 13/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/06/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;

lette le conclusioni del P.M in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Luisa De Renzis che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Sassari ha confermato la sentenza del Tribunale, con la quale era stata accolta la domanda di rivendicazione di un fondo, proposta dalla Società Anonima (OMISSIS) (Società) nei confronti di (OMISSIS) Paolo Quirico, in relazione a terreni siti in Trinità d’Agultu, della superficie di circa 451 ettari. In particolare la Corte d’appello ha rilevato:

a) che il (OMISSIS) aveva in precedenza richiesto l’accertamento dell’usucapione in proprio favore ex art. 1159-bis c.c., procedendo alla notificazione dell’istanza nei confronti della Società;

b) che, proposta l’opposizione contro l’istanza da parte della Società, la stessa era stata rigettata con sentenza d’appello confermata in sede di legittimità;

c) che, in considerazione della pregressa vicenda giudiziale, si giustificava l’applicazione dei principi di giurisprudenza di legittimità sull’attenuazione dell’onere della prova in tema di azione di rivendicazione, quando il convenuto abbia opposto alla pretesa dell’attore l’acquisto per usucapione in proprio favore;

d) in base a quegli stessi principi, l’onere della prova a carico della Società si esauriva perciò nella dimostrazione del proprio titolo di acquisto;

e) tali considerazioni rendevano secondaria la questione, sollevata dall’appellante, di quale fosse stato l’atteggiamento del convenuto nel presente giudizio;

f) il primo giudice aveva fondatamente ritenuto che il diritto di proprietà della Società non fosse stato specificamente contestato, ma, seppure così non fosse stato, rimanevano impregiudicate le conseguenze, sul piano dell’onere della prova imposto all’attore in rivendicazione, dall’avere il convenuto infondatamente affermato nel precedente giudizio di avere acquistato la proprietà dei fondi per usucapione.

Per la cassazione della sentenza il (OMISSIS) ha proposto ricorso, affidato a due motivi.

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. e degli artt. 922 e 1158 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

Il giudizio instaurato per l’accertamento dell’acquisto della proprietà per usucapione, definito con il rigetto della domanda, si era esaurito con il disconoscimento dell’acquisto da parte dell’attuale ricorrente.

In quella sede non fu negato il possesso del (OMISSIS), né c’era stato alcun riconoscimento del diritto di proprietà dell’attrice, la quale, quindi, rimaneva onerata dal fornire la prova della proprietà secondo il rigore imposto in tema di azione di rivendicazione.

Si sottolinea che l’attenuazione dell’onere a carico del rivendicante implica che il convenuto non contesti l’originaria appartenenza del bene a un comune autore, evenienza che, nel caso di specie, non si era verificata.

D’altra parte, la Corte d’appello non avrebbe potuto considerare, quale fattore di attenuazione del rigore probatorio, lo svolgimento del (precedente) giudizio di usucapione nel contraddittorio fra le stesse parti della successiva causa di rivendicazione.

L’usucapione, infatti, è un modo di acquisto a titolo originario e la proposizione della relativa domanda contro l’intestatario formale non implica alcun riconoscimento del diritto.

Non c’erano quindi i presupposti per ritenere operante la regola dell’attenuazione dell’onere della prova, tenuto conto che non c’era stato alcun riconoscimento del diritto in capo all’attrice o ai suoi aventi causa.

Si sottolinea ancora che i principi affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, intesi nel loro effettivo significato, non dicono nulla di diverso.

La domanda del rivendicante, quindi, in base a quegli stessi principi, andava rigettata, perché la Società aveva prodotto solo una relazione notarile, inidonea a dimostrare la proprietà. Il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo.

Si rimprovera alla corte d’appello di avere definito la lite senza verificare se l’attrice avesse dato la prova del possesso del fondo in capo al convenuto, essendo siffatto possesso l’essenziale presupposto della domanda di rivendicazione.

La Società Anonima (OMISSIS) ha resistito con controricorso, con il quale si evidenzia che, mediante la relazione notarile, l’attrice in rivendicazione aveva dato la prova del proprio diritto, essendo palesemente fuori luogo, da parte del ricorrente, pretendere la probazio diabolica nei confronti del soggetto contro il quale egli stesso aveva proposto in passato una infondata domanda di usucapione.

La controricorrente ha eccepito poi l’inammissibilità del secondo motivo sotto un duplice profilo, sia perché si denunciava quale “omesso esame” di un fatto la supposta mancata considerazione di una tesi difensiva, sia per la novità della questione.

La causa, in un primo tempo chiamata all’udienza camerale del 7 aprile 2021, è stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza di pari data.

Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Risulta dalla sentenza di questa Suprema Corte intervenuta nel precedente giudizio fra le odierne parti in causa (Cass. 25 luglio 2011, n. 16238), che, nel 1998, il (OMISSIS) presentò la richiesta di riconoscimento di acquisto di proprietà per usucapione speciale in virtù dell’art. 1159-bis c.c. in ordine ad alcuni fondi siti in agro di Trinità d’Agultu (località “Tinnari”).

Contro la richiesta di riconoscimento dell’usucapione, proposta nelle forme di cui alla legge 10 maggio 1976 n. 346, la Società Anonima (OMISSIS), con sede in San Vittore (Svizzera), propose opposizione, il Tribunale di Tempio Pausania (subentrato alla soppressa Pretura), con sentenza depositata il 13 agosto 2001, rigettò ogni domanda sul presupposto dell’invalidità della procura ad litem della società opponente.

Interposto appello avverso la suddetta sentenza da parte del (OMISSIS), nella resistenza della società appellata che propose, a sua volta, appello incidentale, la Corte di appello di Cagliari rigettò l’appello principale e accolse, per quanto di ragione, quello incidentale.

In parziale riforma della sentenza impugnata (che veniva confermata nel resto), dichiarò la validità della procura alle liti conferita per il giudizio di primo grado alla Società Anonima (OMISSIS) e condannò il (OMISSIS) al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Con riguardo al merito, la Corte sarda ritenne che il (OMISSIS) non avesse offerto una prova sufficiente del suo possesso ad usucapionem in relazione al disposto dell’art. 1159-bis c.c., rigettando ogni avversa domanda avanzata dalla Società appellata ed appellante incidentale.

2. Costituisce orientamento consolidato della Suprema Corte che il procedimento ex lege 10 maggio 1976 n. 346 riproduce lo schema predisposto in materia di decreto ingiuntivo e le opposizioni ivi previste, al pari di quella ex art. 645 c.p.c., danno luogo ad un giudizio ordinario a cognizione piena che sostituisce l’originario procedimento introdotto nelle forme speciali ed è inteso all’accertamento del diritto di proprietà in contestazione tra le parti (Cass. n. 7029/1995; n. 8789/2000; n. 13083/2016).

È stato già chiarito che, nel caso di specie, l’opposizione, proposta dalla Società contro l’istanza del (OMISSIS), è stata accolta.

Esiste quindi un accertamento con efficacia di giudicato in ordine all’inesistenza dei presupposti per il riconoscimento della proprietà ex art. 1159-bis c.c. in favore del (OMISSIS).

È nello stesso tempo un dato acquisito, risultante pacificamente dagli scritti di parte, dalla sentenza impugnata e dalla stessa sentenza di cassazione, che non ci fu, nel giudizio instaurato a seguito dell’opposizione, una domanda dell’opponente intesa a riacquistare il possesso del fondo, previo accertamento del diritto di proprietà.

3. L’azione di rivendicazione è stata proposta dalla Società in separato giudizio, definito in grado d’appello con la sentenza oggetto del presente ricorso. Il problema posto dal primo motivo di ricorso riguarda in modo specifico le eventuali ricadute, sull’onere probatorio a carico dell’attore in rivendicazione, delle vicende del precedente giudizio svoltosi fra le stesse parti.

È tuttavia prioritario l’esame del secondo motivo di ricorso, che è infondato.

Legittimato passivamente all’azione di rivendica ex art. 948 c.c., qualunque sia il titolo di acquisto invocato dall’attore, è chiunque di fatto possegga o detenga il bene rivendicato e sia in grado quindi di restituirlo (Cass. n. 9861/1997; n. 13973/2006).

Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello, benché la questione fosse stata ripresa con l’impugnazione della sentenza del Tribunale, non aveva tenuto conto delle deduzioni da lui fatte all’atto della costituzione nel giudizio di primo grado, «allorché aveva contestato quanto affermato in citazione “in ordine all’attuale illegittima occupazione sine titulo da parte del (OMISSIS)” […] ed il fatto quindi non potesse ritenersi né ammesso né pacifico».

È indubbio che il possesso del bene rivendicato, costituendo uno degli elementi dell’azione di rivendicazione, deve essere provato con gli altri dall’attore (Cass, n. 5398/1985).

È stato anche chiarito che se il convenuto nega la propria qualità di possessore non propone un’eccezione in senso stretto, ma una semplice difesa che non esime l’attore dalla dimostrazione che sussiste nel convenuto la legittimazione passiva, costituita, appunto, dalla sua qualità di possessore, che è condizione dell’azione di rivendica (Cass. n. 2356/1950).

Ciò non toglie, però, che nel caso in esame si debba tenere nel debito conto il fatto che il (OMISSIS), sul fondamento del possesso, aveva chiesto il riconoscimento dell’acquisto della proprietà per usucapione ai sensi dell’art. 1159-bis c.c., notificando l’istanza alla Società, che propose poi opposizione.

Ora non è configurabile che colui il quale abbia proposto una domanda di usucapione nei confronti di un determinato soggetto, e si sia visto respingere tale domanda, possa nel successivo giudizio di rivendicazione negare, nei confronti di quel medesimo soggetto, di essere al possesso del fondo nei generici termini che emergono dalla trascrizione delle deduzioni di parte di cui sopra.

Il (OMISSIS), per fondare l’onere della prova dell’attore di dare specifica dimostrazione del possesso del fondo, avrebbe dovuto dedurre in modo specifico sul punto, assumendo, per esempio, un sopravenuto mutamento rispetto al momento di introduzione del precedente giudizio di usucapione.

Ciò che nel caso di specie non risulta essere avvenuto. Il possesso del fondo, da parte del (OMISSIS), era perciò un fatto che poteva ritenersi acquisito e che correttamente la Corte d’appello ha ritenuto tale.

4. Si impone, in via prioritaria rispetto all’esame del primo motivo, la ricognizione degli indirizzi di questa Corte in materia di onere della prova nell’azione di rivendicazione.

I. L’affermazione di carattere generale è che nel giudizio di revindica l’attore deve provare di essere divenuto proprietario della cosa rivendicata risalendo anche attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando che l’attore stesso o alcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo.

All’attore, perciò, non basta esibire un titolo di acquisto derivativo, perché un tale titolo non prova con certezza che egli è divenuto proprietario del bene: egli potrebbe avere acquistato dal non proprietario.

Pertanto il rivendicante, per assolvere l’onere probatorio gravante a suo carico, deve dimostrare:

1) o che egli è fornito di un valido titolo derivativo proveniente, direttamente o tramite i suoi autori, da un soggetto cui possa attribuirsi la qualità di dominus nel senso precisato, di legittimo titolare della proprietà del bene in contestazione, per averlo acquistato a titolo originario;

2) o che egli stesso possa vantare un acquisto a titolo originario, per avere posseduto il bene per il tempo necessario all’usucapione.

A tal fine potrà eventualmente sommare il proprio possesso al possesso dei precedenti danti causa (Cass. n. 2325/1964; n. 1210/2017; n. 25643/2014; n. 21940/2018).

Sull’onere della prova nell’azione di rivendicazione, la giurisprudenza, con indirizzo assolutamente costante, afferma che la prima e fondamentale indagine che il giudice del merito deve compiere concerne l’esistenza, la validità e la rilevanza del titolo dedotto dall’attore a fondamento della pretesa, e ciò prescindendo da qualsiasi eccezione del convenuto, giacche, investendo essa uno degli elementi costitutivi della domanda, la relativa prova deve essere fornita dall’attore e l’eventuale insussistenza deve essere rilevata dal giudice anche d’ufficio (Cass. n. 991/1977; n. 4704/1985; n. 5131/2009).

Si tratta di un onere fondamentale ed assoluto, tanto che il convenuto in rivendicazione non è a sua volta tenuto a fornire alcuna prova e può trincerarsi dietro il possideo quia possideo, e, se adduce qualche prova o qualche suo diritto sulla cosa, ciò non deve mai tornare a suo pregiudizio, non implicando, di per se, rinuncia alla posizione vantaggiosa derivantegli dal possesso e non esonerando l’attore dalla prova a suo carico (Cass. n. 1034/1962; n. 11555/2007; n. 14734/2018).

Così, l’eccezione di usucapione, anche se non risulti fondata, non può avere, da sola, la conseguenza che ne risulti provato, per converso, che il rivendicante abbia usucapito il suo diritto o l’abbia comunque acquistato (Cass. n. 1738/1962; n. 496/1970).

II. Nello stesso tempo si riconosce che, anche in caso di azione di rivendica, la intensità e la estensione della prova a carico dell’attore devono stabilirsi in relazione alla peculiarità di ogni singola controversia, cosicché il criterio di massima secondo cui l’attore deve fornire la prova rigorosa della proprietà sua e dei suoi danti causa fino a coprire il periodo necessario per l’usucapione, può subire opportuni temperamenti secondo la linea difensiva adottata dal convenuto (Cass.n 305/1964; n. 1873/1985; n. 6592/1986; n. 8394/1990).

La giurisprudenza può dirsi ormai pacificamente orientata nel senso che la probatio diabolica, la dimostrazione, cioè, dell’acquisto legittimo dei danti causa all’infinito fino a trovare un acquisto originario non è sempre mezzo istruttorio necessario per la vittoria giudiziaria del rivendicante.

Il limite della esigenza probatoria a carico del rivendicante non è costituito, infatti, da una fattispecie legale tipica ed astratta e cioè da una figura di prova legale, bensì, come per qualsiasi altro istituto giuridico, dalla sufficienza della prova rispetto all’ entità giuridica che nelle singole fattispecie deve essere dimostrata, avuto riguardo sempre alle contestazioni tra i contendenti.

Si tratta di un limite logico all’onere della prova, che deve essere sempre valutato in relazione alle pretese delle parti.

Così, si ammette concordemente che il rigore probatorio a carico dell’attore in rivendicazione trova temperamento nella ipotesi in cui il convenuto ammetta in tutto od in parte il diritto di proprietà del rivendicante, riconoscendo l’esistenza del diritto stesso fino ad un dato momento ed a un determinato acquisto (Cass. n. 2420/1965; n. 634/1964; n. 1925/1997; n. 5487/2002; n. 5852/2006).

È inutile risalire nel tempo al periodo occorrente per l’usucapione, se il titolo di uno dei danti causa dell’attore sia riconosciuto come valido ed efficace dal convenuto in revindica (Cass. n. 537/1962).

III. In via esemplificativa l’attenuazione è stata ravvisata nelle seguenti ipotesi:

a) quando il convenuto ammetta, in modo non equivoco, che, almeno fino a un certo momento, il bene conteso era di proprietà dell’attore o dei suoi danti causa (Cass. n. 1416/1965): in tale l’attore in revindica e tenuto soltanto ad offrire la prova della successiva continuità dei trapassi sino a quello in suo favore (Cass. n.1598/1965; Cass. n. 1014/1962);

b) quando l’acquisto della proprietà sia un fatto pacifico fra le parti (Cass. n. 1182/1965);

c) quando il convenuto ammette che il bene conteso si appartenga all’attore e oppone un titolo di acquisto successivo, che derivi la sua efficacia da quello dedotto dal rivendicante (Cass. n. 1229/1966), mancando in tal caso ogni contestazione sul diritto di proprietà di quest’ultimo e risolvendosi la controversia attraverso la verifica della validità dell’atto di acquisto a favore dell’uno o dell’altro degli stessi contendenti (Cass. n. 6359/1991). In tale ipotesi, il rivendicante non ha l’onere di provare il diritto dei suoi autori sino ad un acquisto a titolo originario, ma solo che il bene medesimo abbia formato oggetto del proprio titolo di acquisto (Cass. n. 7081/1983);

d) quando le affermazioni del convenuto, volte ad ottenere il riconoscimento a suo favore della proprietà del medesimo bene, risultino basati, su asserzioni che presuppongano l’originaria sussistenza del titolo su cui si fonda la domanda dell’attore e ne deducano la sopravvenuta caducazione (Cass. n. 696/2000);

e) quando il convenuto non contesti l’originaria appartenenza del bene conteso ad un comune dante causa o ad uno dei danti causa dell’attore, e contrapponga l’esistenza di un suo titolo derivativo di proprietà che abbia per presupposto l’originaria appartenenza del cespite al dante causa indicato dal rivendicante, bastando, in tal caso, al rivendicante dimostrare che il bene medesimo ha formato oggetto del proprio titolo d’acquisto, perché la proprietà sia attribuita alla parte che ha addotto un titolo prevalente rispetto a quello dell’altra (Cass. n. 13066/1995; Cass.n. 15388/2005; n. 21829/2007; n. 22598/2010).

IV. Il rigore della prova non è attenuato, di per sé, dalla mera proposizione di una domanda o eccezione di usucapione da parte del convenuto e troverà applicazione il principio che la mancata prova del titolo della proprietà da parte del convenuto nell’azione di rivendicazione non può costituire motivo per l’inversione dell’onere della medesima che incombe sempre sul rivendicante (Cass. n. 515/1994).

Si ammette così, in linea generale, che il convenuto si possa avvalere del principio possideo quia possideo, anche se opponga un proprio diritto di dominio sulla cosa rivendicata, poiché tale difesa non implica alcuna rinuncia alla vantaggiosa posizione di possesso (Cass. n. 5472/2001).

Infatti, essendo l’usucapione un titolo d’acquisto a carattere originario, la sua invocazione non suppone alcun riconoscimento a favore della controparte, atteso che chi è convenuto in un giudizio di rivendicazione non ha l’onere di fornire alcuna prova, potendo avvalersi del principio possideo quia possideo, anche se opponga un proprio diritto di dominio sulla cosa rivendicata, poiché tale difesa non implica alcuna rinuncia alla posizione vantaggiosa di possesso (Cass. n. 4748/1996; n. 11555/2007; n. 5131/2009; n. 14734/2018); a meno che il convenuto, avendo riconosciuta l’originaria appartenenza del bene ad uno dei danti causa del bene medesimo, deduca e invochi l’usucapione come avvenuta solo successivamente a favore proprio o di un proprio dante causa (Cass.n. 8246/1997; n. 43/2000; n. 1250/2000).

In tali ipotesi, detto onere può ritenersi assolto, in caso di mancato raggiungimento della prova dell’usucapione, con la dimostrazione della validità del titolo di acquisto da parte del rivendicante e dell’appartenenza del bene ai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assuma di aver iniziato a possedere (Cass. n. 5487/2002), e con la prova che quell’appartenenza non è stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte del convenuto (Cass. n 12327/2001; n. 8806/2000; n. 5161/2006).

V. Secondo altre pronunce l’opposizione di un acquisto per usucapione, il cui dies a quo sia successivo a quello del titolo di acquisto del rivendicante, comporta che il thema disputandum sia costituito dall’appartenenza attuale del bene al convenuto in forza dell’invocata usucapione e non già all’acquisto di esso da parte dell’attore (Cass. n. 8215/2016).

In base a tale orientamento, dovendo il tema della prova coincidere con quello del decidere (Cass. n. 1997/1964), l’onere probatorio, imposto all’attore in rivendica, può ritenersi assolto per effetto del fallimento dell’avversa prova della prescrizione acquisitiva, con la dimostrazione della validità del titolo in base al quale quel bene gli era stato trasmesso dal precedente titolare (Cass. n. 1634/1996; n. 13186/2002; n. 7529/2006).

Si argomenta che il convenuto non potrebbe avvalersi del principio possideo quia possideo senza alcuna rinuncia a tale situazione vantaggiosa, atteso che, quando invoca l’acquisto per usucapione, il convenuto non si limita ad opporre la tutela garantita dalla legge a favore del possessore indipendentemente da un corrispondente diritto di proprietà, ma deduce di possedere nella qualità di proprietario, chiedendo – nell’ipotesi di domanda riconvenzionale – addirittura una pronuncia di accertamento di tale diritto di proprietà con efficacia di giudicato (Cass. n. 22418/2004; n. 7529/2006).

VI. Gli orientamenti passati in rassegna risentono inevitabilmente della particolarità di ogni singola vicenda ed è arduo cogliere effettivamente, nelle sfumature del linguaggio, due diversi modi di intendere la regola dell’attenuazione dell’onere della prova al cospetto dell’opposizione, da parte del convenuto, di un acquisto per usucapione: l’uno, che si può definire «rigoroso», in base al quale, nonostante l’opposizione dell’usucapione, vale pur sempre, in linea di principio, la regola del possideo guia possideo, salva la rilevanza delle ammissioni, anche implicite o tacite, del convenuto, che ridondino a vantaggio del rivendicante; l’altro, «meno rigoroso», in base al quale il convenuto che invoca l’usucapione rinuncia al principio possideo quia possideo.

Intanto, anche nelle pronunce che possono annoverarsi all’orientamento «meno rigoroso», si richiede, ai fini dell’attenuazione del rigore probatorio a carico dell’attore, l’opposizione di un acquisto per usucapione che non sia in contrasto con il titolo di acquisto dell’attore (Cass. n. 1634/1996; n. 8215/2016).

Talvolta tale requisito è precisato nel senso che occorre che l’usucapione sia riferita a un possesso il cui dies a quo sia successivo a quello del titolo di acquisto del rivendicante (Cass. n. 22418/2004).

Altre volte il requisito del dies a quo del possesso, che deve essere successivo al titolo del rivendicante, è considerato in connessione con la «mancata contestazione, da parte del convenuto stesso, dell’originaria appartenenza del bene rivendicato al comune autore ovvero ad uno dei danti causa» (Cass. n. 7529/2006; n.13186/2002).

Sembra così, al di là del diverso modo di formulazione delle massime, che, anche in relazione alla domanda o all’eccezione di usucapione del convenuto, ciò che giustifica l’attenuazione è pur sempre la regola secondo cui il criterio di massima che l’attore deve fornire la prova rigorosa della proprietà sua e dei suoi danti causa fino a coprire il periodo necessario per la usucapione, può subire opportuni temperamenti secondo la linea difensiva adottata dal convenuto.

Non si rinviene, nella giurisprudenza della Corte, un principio in base al quale la domanda o l’eccezione di usucapione del convenuto importi, per ciò solo, il riconoscimento del dominio dell’attore o dei suoi danti causa, attenuandosi, in conseguenza della sua semplice opposizione, il rigore dell’onere probatorio a carico del rivendicante.

VII. È possibile a questo punto tentare di fare un quadro di sintesi:

A. Nella rivendicazione l’attore deve fornire la prova «rigorosa» della proprietà, dimostrando un titolo di acquisto originario o, nel caso di titolo derivativo, risalendo fino al dante causa che abbia acquistato a titolo originario, senza che alcun onere gravi sul convenuto, il quale può trincerarsi sul commodum possessionis, limitandosi ad eccepire il principio possideo quia possidio. L’acquisto a titolo derivativo (il contratto o la successione ereditaria) indica solo che c’è stato un atto di trasmissione del diritto di cui era titolare il dante causa.

Poiché nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse ha bei, il rivendicante che esibisca un titolo derivativo non dimostra di essere effettivamente proprietario, ma solo di avere ricevuto la legittimazione a possedere che era vantata dal suo predecessore.

Ecco dunque che interviene l’insegnamento per cui l’attore deve risalire a un acquisto a titolo originario ovvero dimostrare di avere posseduto (direttamente o sommando il proprio possesso a quello dei suoi predecessori per effetto dell’accessione o successione del possesso ex art. 1146 c.c.) per il tempo necessario al compimento dell’usucapione.

B. Mancando la prova positiva della proprietà, l’attore in rivendica soccombe, anche se il convenuto non dimostra la sua proprietà a sostegno del proprio possesso; questi ha infatti il possesso in suo favore e se l’attore non dà la prova del suo diritto di proprietà, la domanda deve essere rigettata anche quando il possesso del convenuto non risulti corroborato da alcun titolo. Neppure se il convenuto abbia invocato il proprio diritto sulla cosa e la sua prova sia fallita, viene meno il rigore probatorio a carico dell’attore, perché il sistema difensivo del convenuto non può tornare a suo pregiudizio, non implicando di per sé rinuncia alla posizione di vantaggio derivantegli dal possesso.

C. Non basta che sia data la prova di un titolo preminente a quello del convenuto, quando questo titolo non sia attributivo del diritto di proprietà. Il nostro diritto non ammette l’antica actio pubbliciana, mediante la quale il possessore ad usucapionem, in cui favore, però, l’usucapione non fosse ancora compiuta, poteva reclamare la cosa dal possessore, il cui possesso si dimostrasse a titolo inferiore: oggi occorre fornire la prova della proprietà.

D. Si devia da tale rigore se il convenuto abbia fatto delle ammissioni, per esempio quando l’acquisto della proprietà sia un fatto pacifico fra le parti o il convenuto si affermi avente causa dello stesso autore da cui l’attore deriva il suo diritto, o quando si riconosca che il dante causa è comune o il convenuto riconosca la proprietà in capo ad alcuno dei danti causa dell’attore. Si tratta di un limite logico all’onere della prova, che deve essere sempre valutato in relazione alle pretese delle parti.

E. Deve ribadirsi pertanto che non si rinviene, nella giurisprudenza della Corte, un principio in base al quale la domanda o l’eccezione di usucapione comporta, per ciò solo, il riconoscimento del dominio dell’attore o dei suo aventi causa, attenuandosi di conseguenza il rigore dell’onere probatorio a carico del rivendicante.

F. Infatti, essendo l’usucapione un titolo d’acquisto a carattere originario, la sua invocazione non suppone alcun riconoscimento a favore della controparte.

È fatta salva l’ipotesi che l’usucapione, così come dedotta dal convenuto, non sia in contrasto con la proprietà dell’attore o di uno dei suoi danti causa (Cass. n. 10576/1994; n. 1634/1996; n. 5487/2002): il che si verifica quando il convenuto abbia comunque riconosciuto che il rivendicante o uno dei danti causa dell’attore era proprietario del bene all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere (Cass. n. 8246/1997; n. 1250/2000; n. 7264/2003).

In assenza di tale riconoscimento, il solo dato temporale, consistente nella deduzione di un possesso successivo, non giustifica, di per sé, l’attenuazione del rigore probatorio.

Va da sé che il rigore probatorio rimane invariato qualora il convenuto si dichiari proprietario per usucapione in forza di un possesso remoto rispetto ai titoli vantati dall’attore.

G. Vale in altre parole, anche in relazione all’usucapione opposta dal convenuto nel giudizio di rivendicazione, la regola generale che l’attore si può giovare delle ammissione del convenuto, il quale abbia riconosciuto l’esistenza del diritto stesso fino ad un dato momento ed a un determinato acquisto. In questo caso il rivendicante, nel fallimento della prova della prescrizione acquisitiva, potrà utilmente limitarsi a provare i titoli di acquisto che risalgono a quel dante causa.

Al solito, l’ammissione del convenuto non deve essere necessariamente espressa, ma può essere anche implicita o tacita; potrà risultare inoltre dalla mancanza di specifiche contestazioni rispetto a un’allegazione dell’attore, puntuale e specifica, dei titoli posti a fondamento della pretesa.

5. Le considerazioni di cui sopra inducono a ritenere fondato il primo motivo di ricorso nei limiti di seguito indicati.

La Corte d’appello ha richiamato il seguente principio: «In tema di azione di rivendicazione, qualora il convenuto abbia in passato presentato una domanda onde ottenere il riconoscimento della proprietà dell’immobile, poi oggetto di rivendica, in forza dell’usucapione speciale di cui all’art. 1159-bis c.c., e abbia notificato tale domanda al dante causa dell’attore in rivendicazione, così implicitamente riconoscendone l’originaria proprietà del bene sulla base dei titoli trascritti nei registri immobiliari (senza, tuttavia, ottenere una valida declaratoria di acquisto della proprietà per usucapione) e successivamente, nel giudizio di rivendica, sostenga – in via di eccezione – di aver acquistato per usucapione la proprietà del bene rivendicato, l’onere probatorio posto a carico dell’attore in rivendicazione si attenua, riducendosi alla prova di un valido titolo di acquisto da parte sua e dell’appartenenza del bene ai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assuma di aver iniziato a possedere, nonché alla prova che quell’appartenenza non è stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte del convenuto» (Cass. n. 15539/2015).

A un attento esame il principio, così come riflesso nella massima, è equivoco, perché, da un lato, si ritiene che la precedente proposizione della domanda di usucapione nei confronti dell’attore in rivendicazione, comporti, in favore del rivendicante, l’implicito riconoscimento della originaria proprietà del bene, dall’altro, nel regolare l’onere probatorio a carico dell’attore in rivendica, si richiama la regola tradizionale in base alla quale l’attenuazione si verifica quando l’usucapione non sia in contrasto con la proprietà del dante causa o dei suoi autori, tant’è vero che è richiamata la regola che l’usucapione deve riflettere un possesso che sia iniziato successivamente rispetto al titolo del rivendicante.

Nel medesimo equivoco incorre la sentenza impugnata, la quale, dopo avere richiamato la massima, afferma essere «costante giurisprudenza, d’altra parte, che la mera eccezione di usucapione sollevata nei confronti del rivendicante attenui il di lui onere probatorio, fino a ridurlo alla dimostrazione del proprio titolo di acquisto».

È stato chiarito che non si rinviene nella giurisprudenza della Corte un principio del genere.

6. Ex art. 3 legge n. 346 del 1976, l’istanza per il riconoscimento della proprietà va resa pubblica mediante affissione, per novanta giorni, nell’albo della Pretura ed in quello del Comune in cui è situato il fondo, e mediante pubblicazione per estratto (entro quindici giorni dalla data dell’avvenuta affissione nei due albi) nel Foglio degli annunzi legali della Provincia.

Tutte queste forme di pubblicità devono contenere esplicitamente l’avvertimento che chiunque vi abbia interesse può proporre opposizione entro 90 giorni dalla scadenza del termine di affissione.

Infine, la detta istanza va notificata, come a potenziali controinteressati, a coloro che nei registri immobiliari figurano essere titolari di diritti reali sull’immobile, nonché a coloro che nel ventennio antecedente abbiano trascritto contro l’istante o i suoi danti causa domanda giudiziale non perenta diretta a rivendicare la proprietà o altri diritti reali di godimento sul fondo, con possibilità per costoro di fare opposizione entro novanta giorni dalla notifica.

Senza che sia minimamente necessario scendere nel dettaglio circa la specificità dell’accertamento dell’usucapione, operato ai sensi della legge n. 346 del 1976, si può affermare che la notifica della istanza non contiene, di per sé, alcun implicito riconoscimento del diritto del destinatario della notificazione.

Nel caso di opposizione, come l’istante non otterrà la sentenza di riconoscimento di proprietà solo per il fatto che l’opponente non riesca a provare il suo diritto poziore, analogamente l’opponente non vedrà accolta la propria domanda di rilascio in conseguenza del fallimento nella prova dell’usucapione.

Deve farsi salva la possibilità dell’opponente di giovarsi di eventuali ammissioni della controparte secondo la regola generale sul tema dell’onere della prova a carico del rivendicante.

L’opponente si potrà giovare di tali ammissioni anche quando l’azione di rivendicazione non sia stata proposta con l’opposizione, ma in un secondo tempo contro colui che rimase soccombente rispetto all’istanza volta al riconoscimento dell’usucapione ai sensi dell’art. 1159-bis, c.c., come è avvenuto nel caso in esame.

Nella sentenza impugnata si assume che il convenuto non avrebbe contestato il titolo di proprietà della Società.

Tale affermazione, nella logica della sentenza, costituisce un semplice passaggio argomentativo privo di effettiva incidenza sulla decisione.

La stessa Corte d’appello, del resto, dimostra di volere e poter prescindere dalla supposta “non contestazione”, fondando poi la decisione sulla regola dell’attenuazione del rigore probatorio imposto al rivendicante in conseguenza della opposizione della usucapione da parte del convenuto.

Si deve aggiungere, come risulta dalla stessa trascrizione delle deduzioni di parte operate nella sentenza impugnata, che la corte di merito non ha riferito la non contestazione al diritto del rivendicante o dei suoi danti causa, ma genericamente al “diritto di proprietà dell’attrice”.

Tuttavia, tale supposta non contestazione è difficilmente compatibile con il contenuto della deduzione difensiva richiamata dalla Corte d’appello a conferma dell’assunto.

Con tale deduzione, trascritta nella sentenza, il (OMISSIS) aveva evidenziato che le pregresse vicende giudiziali inter-partes non esoneravano la società dall’onere di «provare tutti gli elementi di fatto e di diritto che pone a fondamento della domanda».

Si deve sottolineare che, nel successivo giudizio di rivendicazione proposto dalla Società, il (OMISSIS) non aveva affermato alcun proprio diritto sul bene, opponendosi solamente all’accoglimento della domanda attorea.

Quindi la “non contestazione”, se davvero la Corte d’appello l’avesse riscontrata, avrebbe dovuto condurre de plano all’accoglimento della domanda e qualsiasi ulteriore considerazione sarebbe stata superflua.

7. In conclusione, la sentenza deve essere cassata in relazione al primo motivo e il giudice di rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto: «Essendo l’usucapione un titolo d’acquisto a carattere originario, la sua invocazione, da parte del convenuto con l’azione di rivendicazione, non suppone, di per sé, alcun riconoscimento idoneo ad attenuare il rigore dell’onere probatorio a carico del rivendicante, il quale, anche in caso di mancato raggiungimento della prova dell’usucapione, non è esonerato dal dover provare il proprio diritto, risalendo anche attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando che egli stesso o alcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo. Il rigore probatorio rimane tuttavia attenuato quando il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere.

Per contro la mera deduzione, da parte del convenuto, di un acquisto per usucapione il cui dies a quo sia successivo al titolo del rivendicante o di uno dei suoi danti causa, disgiunta dal riconoscimento o dalla mancata contestazione della precedente appartenenza, non comporta alcuna attenuazione del rigore probatorio a carico dell’attore, che a maggior ragione rimane invariato qualora il convenuto si dichiari proprietario per usucapione in forza di un possesso remoto rispetto ai titoli vantati dall’attore».

8. La corte di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo; rigetta il secondo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Sassari, in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.