Scatta l’autoriciclaggio per il reimpiego con la sottoscrizione di una polizza assicurativa delle somme oggetto di appropriazione indebita (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 8 marzo 2024, n. 9923).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE PENALE

Composta da:

ELISABETTA ROSI                   – Presidente

PIERO MESSINI D’AGOSTINI – Consigliere

GIUSEPPE COSCIONI             – Relatore

MASSIMO PERROTTI             – Consigliere

GIUSEPPE NICASTRO            – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis), nata a (omissis) il xx/xx/19xx;

 avverso la sentenza del 16/05/2023 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE COSCIONI;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ALESSANDRO CIMMINO, che ha chiesto rigettarsi ii ricorso;

letta la memoria del difensore della ricorrente, Avv. (omissis) (omissis) che ha insistito nei motivi di ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. II difensore di (omissis) (omissis) ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino del 16/05/2023, che aveva confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva dichiarato l’imputata responsabile del reato di cui all’art. 648-ter.1 pen., perché, avendo commesso il reato di appropriazione indebita, aveva impiegato la somma di denaro ottenuta per la sottoscrizione di una polizza assicurativa, dichiarando non doversi procedere nei confronti dell’imputata per il reato di circonvenzione di incapace perché estinto per prescrizione e per i reati di appropriazione indebita per mancanza della condizione di procedibilità.

1.1. Al riguardo il difensore eccepisce che con l’atto di appello aveva espressamente impugnato anche l’ordinanza del 10 novembre 2021 emessa dal Tribunale di Biella, contestando la mancata concessione di un termine a difesa ex 519-429 cod. proc. pen. a seguito della memoria depositata in pari data dalla Procura, che costituiva modifica e non mera precisazione dei capi di imputazione; erroneamente il motivo non era stato valutato dalla Corte di appello in quanta ritenuto assorbito.

1.2. II difensore rileva che non era emersa piena prova della sussistenza dell’illecito, in quanto il contratto di assicurazione non costituiva ne attività economica, ne attività finanziaria: posto che veniva garantita la conservazione del capitale alla scadenza, le conclusioni della Corte di “natura di prodotto finanziario” della polizza erano destituite di ogni fondamento.

1.3. Tenuto conto che requisito indispensabile del reato é che l’operazione in contestazione abbia necessariamente capacita di concreto nascondimento, ii difensore non condivide la conclusione del giudice di appello secondo cui “con l’affidamento del denaro al gestore, che a sua volta lo avrebbe utilizzato nell’acquisto di strumenti finanziari, sarebbe ostacolata l’identificazione della provenienza del delitto di appropriazione indebita e tale situazione era evidente sin dal momento della stipulazione del contratto”: nel caso in esame, la polizza era stata accesa con parte delle somme incassate dall’immobiliare di cui­ (omissis) era socia accomandataria e legale rappresentante, a seguito della vendita di due immobili, successivamente bonificate su conto personale dell’amministratrice ed intestato alla stessa, presunta autrice del fatto illecito presupposto, presso il medesimo istituto dove sia (omissis), sia la persona offesa (omissis) erano soggetti noti ed avevano conti tramite i quali effettuavano investimenti.

1.4. II difensore eccepisce che l’erronea qualificazione della natura della polizza in esame aveva inciso anche sulla ingiusta esclusione della causa di non punibilità ex 648 ter.1 comma 5 cod. pen., negata dalla Corte “essendo chiaro che vi erano anche altri soggetti che avrebbero utilizzato il denaro e che ne avrebbero goduto”.

1.5. II difensore osserva che la sentenza impugnata era censurabile anche sotto il profilo sanzionatorio, sia con riferimento all’individuazione della pena base, sua con riguardo alla riduzione operata ai sensi dell’art. 648-ter.1 comma 7 cod. pen., non essendo stata la pena ridotta al minimo edittale malgrado il riaccredito all’immobiliare di tutti gli importi; non era poi coerente che il giudice del gravame avesse preso atto che la (omissis) si era attivata per riaccreditare gli importi ed avesse diminuito la pena in misura inferiore a quanto previsto dall’art. 648-ter.1 cod. pen., mancando totalmente la motivazione al riguardo.

1.6. II difensore lamenta l’erroneità della motivazione della sentenza per quanto riguardava la mancata concessione delle attenuanti generiche.

1.7. II difensore osserva che, secondo parte della dottrina, l’illecito di cui all’art. 648-ter.1 comma 2 cod. pen. sarebbe fattispecie autonoma di reato, sussistendo un rapporto di alternatività, e non di specialità, tra il comma 1 e il comma 2 dell’articolo; avendo riconosciuto all’imputata tale ipotesi, considerate l’entità della pena e la data di commissione del reato, avrebbe pertanto dovuto essere dichiarata la prescrizione, maturata al 6 aprile 2023; pertanto, era errata la motivazione della Corte di appello, che si era limitata genericamente a qualificare la fattispecie applicata attenuante ad effetto speciale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso é infondato.

1.1. Relativamente al primo motivo di ricorso, questa Corte ha constatato, potendo esaminare direttamente gli atti per verificare l’integrazione della violazione denunziata, quale giudice del fatto processuale (Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304), che la motivazione con la quale il giudice di primo grado aveva rigettato la richiesta di un termine a richiesta ritenendo che la precisazione effettuata dal Pubblico Ministero riguardo al capo di imputazione non aveva modificato gli elementi essenziali del fatto contestato era corretta; infatti, dal confronto tra il capo di imputazione originario e quello oggetto di precisazione risulta che erano rimasti immutati le due operazioni di bonifico, gli importi delle stesse, il conto sul quale le somme venivano versate, l’impiego delle somme per la stipulazione della polizza assicurativa, l’oggetto e la data della stessa; la contestazione del reato di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. era quindi rimasta esattamente identica, posto che l’unica specificazione era che le somme provenivano non dalla vendita di un solo immobile, ma una parte dei dei corrispettivi ricavati dalla vendita di due immobili, circostanza che poteva semmai riguardare il reato presupposto di appropriazione indebita (dichiarato prescritto), ma che non incideva in alcun modo sul reato oggetto del presente ricorso.

1.2. II secondo motivo di ricorso é manifestamente infondato.

Premesso che la massima della sentenza citata a pag. 5 del ricorso é nel senso che “costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, in quanto di natura strettamente interpretativa, la riconduzione nella categoria contrattuale dell’intermediazione finanziaria, anziché in quella assicurativa, di un’operazione negoziale complessa (assicurazione sulla vita con premio investito mediante una società fiduciaria in prodotti finanziari), operata dal giudice del merito sul rilievo della mancanza della garanzia della conservazione del capitale alla scadenza concordata tra le parti (Cass civ, sez. 3, Ordinanza n. 10333 del 30/04/2018 (Rv. 648315 – 01)” e che quindi la motivazione della sentenza impugnata (pagg. 20 e 21) non é sindacabile nella presente sede, si deve rilevare che per attività speculativa si deve intendere quella in cui il soggetto ricerca il raggiungimento di un utile.

Come precisato in motivazione da sez.2, n. 37503 del 21/06/2019, Correnti, Rv. 277514, “lo scopo che ha voluto perseguire il legislatore con l’inserimento della fattispecie punita e prevista dall’art. 648-ter.1 cod. pen. é quello di “congelare” ogni utilità economica proveniente da delitto, cioè di impedire che tali beni siano in qualsiasi modo reimmessi nel circuito economico e possano cosi produrre e determinare ulteriori ed illeciti profitti.

A tal fine la norma, come sollecitato anche in sede internazionale, superando la tradizionale clausola di esclusione prevista per l’autore del reato presupposto, ha introdotto questa specifica e peculiare ipotesi di reato.

La formulazione della norma, prevedendo le condotte di “impiego”, “sostituzione” e “trasferimento” in attività economiche e finanziarie é coerente con la citata impostazione che, d’altro canto, risulta anche confermata dalla previsione del quarto comma secondo il quale la punibilità e esclusa per le sole condotte finalizzate all’esclusivo godimento personale, quelle attraverso le quali, quindi, neanche l’autore del reato presupposto esercita attività economica ovvero finanziaria.

Qualora il reato originario riguardi il trasferimento di beni “statici”, come anche il denaro, la condotta attraverso la quale la somma é stata conseguita non é evidentemente idonea a configurare anche il reato di autoriciclaggio (Sez. 5, n. 8851 del 01/02/2019, Petricca, Rv. 275495; Non integra il delitto di autoriciclaggio il versamento del profitto di furto su conto corrente o su carta di credito prepagata, intestati allo stesso autore del reato presupposto Sez. 2, n. 33074 del 14/07/2016, Babuleac, Rv. 267459) che, invece, sarà configurabile in ogni ulteriore e successivo trasferimento, impiego e reimmissione nel circuito economico, evidentemente non finalizzato ad un godimento esclusivamente personale (Sez. 5, n. 5719 del 11/12/2018, dep. 2019, Rea, non massimata; Sez.  2, 4/5/2018, n. 25979, Magri, non massimata”

II contratto stipulato dalla ricorrente é stato correttamente ritenuto dalla Corte di appello prodotto finanziario, definito dall’art. 1 lett. u) T.U.F. come “strumento finanziario e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”, posto che a fronte della polizza acquistata con il denaro oggetto dell’appropriazione indebita veniva riconosciuta alla ricorrente un rendimento minimo garantito ed in rendimento annuo costante.

1.3. Quanto al terzo motivo di ricorso, questa Corte ha più volte precisato che é irrilevante la tracciabilità dell’operazione, atteso che il trasferire somme di denaro ricavate da reato in una polizza assicurativa costituisce condotta idonea a ostacolare l’individuazione del provento delittuoso, posto che “in  tema di autoriciclaggio, il criterio da seguire ai fini dell’individuazione della condotta dissimulatoria é quello della idoneità “ex ante“, sulla base degli elementi di fatto sussistenti nel momento della sua realizzazione, ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene, senza che il successivo disvelamento dell’illecito per effetto degli accertamenti compiuti (nella specie, grazie alla tracciabilità delle operazioni poste in essere fra diverse società), determini automaticamente una condizione di inidoneità dell’azione per difetto di concreta capacita decettiva” (Sez.2, 16059 del 18/12/2019, dep. 27/05/2020, Fabbri, Rv. 279407); correttamente la Corte di appello ha quindi ritenuto che l’affidare il denaro ad un gestore per l’acquisto di strumenti finanziari sia operazione rilevante ai sensi dell’art. 648-ter.1 cod.pen., posto che il compendio monetario ha assunto diversa destinazione, transitando nella disponibilità esclusiva di altro soggetto giuridico per effetto della condotta posta in essere dall’imputata.

1.4. Corretta é l’affermazione della Corte di appello secondo cui vi erano anche altri soggetti che avrebbero utilizzato il denaro e che ne avrebbero goduto, vista che nella polizza era indicato come beneficiario, in caso di morte della contraente, il coniuge dell’imputata; é stata quindi giustamente esclusa la causa di non punibilità di cui all’art. 648-ter.1 comma 5 cod. pen.

1.5. Manifestamente infondato é il quinto motivo di ricorso, posto che la Corte di appello ha diminuito la pena in applicazione del settimo comma dell’art. 648- 1 cod. pen.; quanta all’entità della pena, é principio costantemente affermato da questa Corte quello secondo il quale nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minima edittale (come nel caso in esame), l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, talché é sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.. (vedi sez. 2, sentenza n. 28852 del 08/05/2013 Taurasi e altro, Rv.256464; Sez. 2, sentenza 36104 del 27/04/2017, Mastro e altro, Rv.271243; la Corte di appello ha comunque motivato sul punto, con un giudizio di merito sul quale non é ammesso sindacato nella presente sede.

1.6. Relativamente alla mancata concessione delle attenuanti generiche, la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen. é oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato.

Deve infatti ricordarsi che in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa é quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanta del soggetto che di esso si é reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza.

Al contrario, é proprio la suindicata meritevolezza che necessita, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; nel caso in esame, la ricorrente non indica alcun presupposto in base al quale sarebbe meritevole del beneficio, con conseguente inammissibilità del motivo.

1.7. Quanto all’ultimo motivo di ricorso, deve essere ribadita la giurisprudenza di questa Corte secondo cui “in tema di autoriciclaggio, la previsione di cui all’art. 648-ter.1, comma secondo, cod. pen., nell’originaria formulazione di cui alla legge 15 dicembre 2014, 186, configura una circostanza attenuante ad effetto speciale” (Sez.2, 40389 del 19/05/2023, Mennillo, Rv. 285255); nella motivazione della sentenza é stato chiarito che la struttura delle fattispecie previste dai primi due commi (ora comma primo e terzo) dell’art. 648- ter.1 cod. pen. é unica e non muta la condotta dell’agente, ma soltanto la pena del reato presupposto – estraneo alla condotta – ed il trattamento sanzionatorio; l’elemento più significativo é costituito dal rapporto di specialità, in virtù del quale la fattispecie circostanziale include tutti i requisiti propri del reato base, con uno o più requisiti specializzanti, in questo caso costituiti dalla pena edittale del delitto presupposto.

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 15/02/2024.

Depositato in Cancelleria, oggi 8 marzo 2024.

Dispone, a norma dell’art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che sia apposta, a cura della Cancelleria, sull’originale del provvedimento, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.

Il Presidente

Elisabetta Rosi

Depositato in Cancelleria l’8 marzo 2024.

SENTENZA