REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Silvana SCIARRA;
Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 629 del codice penale, promossi dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, con ordinanza del 20 giugno 2022, e dal Tribunale ordinario di Roma, sezione ottava penale, in composizione collegiale, con ordinanza del 18 luglio 2022, iscritte rispettivamente ai numeri 91 e 126 del registro ordinanze 2022 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 36 e 44, prima serie speciale, dell’anno 2022.
Visti l’atto di costituzione di T. P., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica e nella camera di consiglio del 24 maggio 2023 il Giudice relatore Stefano Petitti;
uditi l’avvocato Rocco Marsiglia per T. P. e l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 24 maggio 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 20 giugno 2022, iscritta al n. 91 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 629 del codice penale, «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia diminuita in misura non eccedente i due terzi quando il fatto risulti di lieve entità», e, in via subordinata, «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia diminuita quando il fatto risulti di lieve entità».
Il rimettente espone di dover giudicare su un’imputazione di estorsione, reato che sarebbe stato consumato in danno di una minore d’età, la quale, perduto il possesso del telefono cellulare in conseguenza di un furto patito durante i festeggiamenti notturni del capodanno del 2022, lo aveva riacquistato solo dietro il pagamento della somma di quaranta euro, preteso dall’imputato quale condizione per la restituzione dell’oggetto.
1.1.– Ad avviso del rimettente, il fatto estorsivo sarebbe di lieve entità, atteso il carattere estemporaneo della condotta, l’esiguità del danno patrimoniale e del profitto, nonché la scarsa incidenza della minaccia, limitatasi alla prospettazione del mancato recupero del bene.
Considerata tuttavia la severità del minimo edittale della pena detentiva per il reato di estorsione, la sanzione da irrogare in concreto risulterebbe irragionevole e sproporzionata, nonostante l’eventuale riduzione per l’attenuante comune della speciale tenuità, di cui all’art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen.
1.2.– L’omessa previsione nell’art. 629 cod. pen. di una specifica attenuante per lieve entità violerebbe l’art. 3 Cost., sia per l’irragionevolezza intrinseca del trattamento sanzionatorio, sia in comparazione con altre ipotesi delittuose.
L’attestarsi del minimo edittale per il delitto di estorsione alla soglia dei cinque anni di reclusione sarebbe di per sé irragionevole, in quanto riferibile anche a fatti connotati – soprattutto per la natura solo patrimoniale della minaccia – da «una gravità modesta, se non addirittura bagatellare».
Sul piano comparativo, il rimettente insiste sulla diminuzione di pena fino a due terzi prevista dall’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. per la violenza sessuale di minore gravità.
A suo avviso, si avrebbe il paradosso per cui, nel caso di specie, considerato il minimo edittale di sei anni di reclusione per la violenza sessuale, «se in funzione della restituzione del telefono l’imputato avesse preteso e ottenuto un atto sessuale, si sarebbe potuta applicare – qualora il fatto fosse risultato di minore gravità – la pena di anni due di reclusione», cioè una pena assai inferiore al minimo edittale del reato di estorsione, pur ridotto di un terzo ai sensi dell’art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen.
Altri tertia comparationis sono individuati nei reati di violenza o minaccia a pubblico ufficiale e di violenza o minaccia per costringere a commettere reato, rispettivamente puniti dagli artt. 336 e 611 cod. pen. con un massimo edittale pari al minimo dell’estorsione, nonostante l’analogia strutturale delle fattispecie tipiche.
1.3.– A parere del giudice a quo, la mancata previsione di un’ipotesi attenuata di estorsione di lieve entità violerebbe altresì la finalità rieducativa della pena, enunciata dall’art. 27, terzo comma, Cost.
Infatti, «ogniqualvolta il fatto estorsivo abbia una gravità contenuta», una pena resa sproporzionata dall’assenza di una previsione moderatrice «sarà avvertita inevitabilmente dal condannato come ingiusta».
1.4.– Il rimettente chiede quindi che, utilizzando la tecnica del “ritaglio”, all’interno della censurata norma incriminatrice questa Corte enuclei una fattispecie attenuata di lieve entità, come nella sentenza n. 68 del 2012 relativa al delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, e come del resto previsto dalla legge per altri reati contro il patrimonio, segnatamente la ricettazione attenuata di cui all’art. 648, quarto comma, cod. pen., e anche per delitti contro la persona, quale appunto la violenza sessuale di minore gravità di cui all’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen.
Proprio in quest’ultima disposizione il rimettente indica la grandezza predata per la richiesta pronuncia additiva, che dovrebbe quindi consentire al giudice di diminuire la pena fino a due terzi quando il fatto estorsivo risulti di lieve entità.
In subordine, lo stesso rimettente chiede che per tale ipotesi sia introdotta un’attenuante ad effetto comune, tale da permettere la riduzione della pena fino a un terzo, secondo la regola prevista dall’art. 65 cod. pen. e sul modello della citata sentenza n. 68 del 2012.
1.5.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi le questioni inammissibili o, in subordine, non fondate.
Ad avviso dell’interveniente, il giudice a quo non avrebbe considerato tutti gli strumenti normativi funzionali all’adeguamento della pena, in particolare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis cod. pen., la cui applicazione nel caso concreto, unitamente a quella dell’attenuante di cui all’art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen., avrebbe consentito di moderare la pena entro i limiti della sospensione condizionale.
In ogni caso, le sollevate questioni sarebbero rivolte «a mettere in discussione scelte di politica criminale preordinate a soddisfare precise esigenze di difesa sociale», mentre la commisurazione delle sanzioni penali, al pari della configurazione delle fattispecie di reato, è riservata alla discrezionalità del legislatore.
2.– Con ordinanza del 18 luglio 2022, iscritta al n. 126 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Roma, sezione ottava penale, in composizione collegiale, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 629, primo e secondo comma, cod. pen., «nella parte in cui non preved[e] una diminuente quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
Il rimettente espone di dover giudicare su un’imputazione di estorsione, aggravata dalla commissione da parte di più persone riunite, reato che sarebbe stato consumato da due autori, entrambi recidivi, i quali, dopo aver sottratto le chiavi dal blocchetto di accensione di un motociclo, avrebbero preteso e ottenuto dal proprietario la dazione di cento euro quale condizione per la restituzione del bene.
2.1.– Richiamata la pacifica natura estorsiva della fattispecie concreta, designata nella prassi giurisprudenziale con l’immagine del “cavallo di ritorno”, poiché l’autore del furto estorce alla persona offesa una somma di danaro quale prezzo della refurtiva, il giudice a quo osserva che la pena detentiva minima applicabile a entrambi gli imputati sarebbe pari a otto anni e quattro mesi di reclusione.
Determinata in applicazione del criterio di concorso tra aggravanti di cui all’art. 63, quarto comma, cod. pen., quindi facendo prevalere sull’aggravante della pluralità di persone riunite ex artt. 629, secondo comma, e 628, terzo comma, numero 1), cod. pen. l’aggravante della recidiva reiterata, specifica per un imputato e infraquinquennale per l’altro, la predetta misura sanzionatoria appare al Tribunale di Roma irragionevole e sproporzionata, attesa l’estemporaneità dell’azione delittuosa nonché l’esiguità del danno e del profitto.
2.2.– In particolare, l’omessa previsione di un’attenuante di lieve entità per il reato di estorsione violerebbe il principio di uguaglianza in base alla comparazione con l’art. 630 cod. pen. sul sequestro di persona a scopo di estorsione, come emendato dalla sentenza n. 68 del 2012, e con l’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. sulla violenza sessuale di minore gravità.
Altri tertia comparationis sono individuati nel reato di sequestro di persona a scopo di coazione, di cui all’art. 289-ter cod. pen., e nel reato di atti sessuali con minorenne, di cui all’art. 609-quater cod. pen., per i quali sono previste diminuzioni di pena in ipotesi di lieve entità e minore gravità del fatto.
Si richiamano altresì la diminuente della lieve entità prevista dall’art. 311 cod. pen. per i delitti contro la personalità dello Stato, quella della particolare tenuità prevista dall’art. 323-bis cod. pen. in materia di delitti contro la pubblica amministrazione e quella della speciale tenuità prevista dall’art. 518-septiesdecies cod. pen. per i reati contro il patrimonio culturale.
Si fa infine riferimento alla disposizione dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), che riduce la pena edittale quando la condotta di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope è di lieve entità.
Oltre che in un’ottica comparativa, l’art. 3 Cost. sarebbe violato per l’irragionevolezza intrinseca del trattamento sanzionatorio del delitto di estorsione, la cui eccessiva severità non rifletterebbe l’«intera gamma dei fatti riconducibili al modello legale», il che impedirebbe al giudice «di adattare la sanzione al caso concreto, mitigando la risposta punitiva, in presenza di elementi oggettivi rivelatori di una limitata gravità del fatto».
2.3.– L’assenza di un’attenuante di lieve entità per il reato di estorsione violerebbe anche il principio di personalità della responsabilità penale e il finalismo rieducativo della pena, sanciti rispettivamente dai commi primo e terzo dell’art. 27 Cost.
Infatti, la sproporzione che potrebbe derivare da tale omissione ostacolerebbe l’individualizzazione della pena, corollario del carattere personale della responsabilità penale, e ne svilirebbe la funzione rieducativa, giacché una sanzione manifestamente eccessiva è sempre avvertita dal condannato come ingiusta.
2.4.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi le questioni non fondate.
Rammentato che le scelte di dosimetria penale competono in esclusiva al legislatore e sono sindacabili unicamente se arbitrarie o manifestamente sproporzionate, l’interveniente assume che la disposizione censurata sia immune da tali vizi, «in quanto tende ad attuare una forma di prevenzione generale rispetto ad una condotta odiosa, quella di estorsione, che genera particolare allarme sociale».
Si contesta che la disciplina del sequestro di persona a scopo di estorsione, come integrata dalla ricordata sentenza n. 68 del 2012, possa costituire un tertium omogeneo, trattandosi di una fattispecie criminosa punita con un minimo edittale incommensurabilmente più elevato rispetto all’estorsione.
La difesa statale aggiunge che la gravità del delitto di estorsione non può essere misurata solo in termini patrimoniali, «ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione del bene personale».
Reputa infine l’Avvocatura generale che, attesa la facoltatività dell’applicazione della recidiva, il giudice a quo sia in grado di adeguare la sanzione alla gravità del fatto.
2.5.– Si è costituito in giudizio T. P., uno dei coimputati nel giudizio principale, aderendo interamente agli argomenti spesi dal rimettente e sollecitando pertanto l’accoglimento delle sollevate questioni.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Firenze (reg. ord. n. 91 del 2022), in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 629 cod. pen., «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia diminuita in misura non eccedente i due terzi quando il fatto risulti di lieve entità», e, in via subordinata, «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia diminuita quando il fatto risulti di lieve entità».
1.1.– Il Tribunale ordinario di Roma (reg. ord. n. 126 del 2022), in riferimento agli stessi parametri nonché al primo comma dell’art. 27 Cost., ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 629, primo e secondo comma, cod. pen., «nella parte in cui non preved[e] una diminuente quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
2.– Entrambi i rimettenti devono giudicare su imputazioni per il reato di estorsione – in forma semplice il Tribunale di Firenze, aggravata dalla pluralità di persone il Tribunale di Roma – riguardo a fatti di coartazione tramite minaccia, perpetrati ai danni di vittime di furto, le quali, per recuperare il bene loro sottratto (rispettivamente, un telefono cellulare e le chiavi di un motociclo), sono state costrette a pagare somme, pur modeste, di danaro (rispettivamente, quaranta e cento euro).
I giudici a quibus ritengono che i fatti estorsivi oggetto delle imputazioni siano di lieve entità, per il carattere estemporaneo della condotta, per l’esiguità del danno patrimoniale e del lucro, per la scarsa incidenza della minaccia di definitiva perdita del bene.
Essi lamentano tuttavia che la severità del minimo edittale della pena impedisca di irrogare una sanzione proporzionata al concreto, modesto, disvalore del fatto, al netto dell’eventuale applicazione dell’attenuante comune della speciale tenuità del danno e del lucro, di cui all’art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen.
L’impedimento discenderebbe in particolare dalla mancata previsione di un’attenuante di lieve entità per il delitto di estorsione, la cui introduzione è oggetto della richiesta di una pronuncia additiva, formulata da entrambi i rimettenti evocando a modello la sentenza di questa Corte n. 68 del 2012.
3.– Il Tribunale di Firenze ritiene che la mancanza di un’attenuante di lieve entità per il reato di estorsione violi l’art. 3 Cost., perché il conseguente trattamento sanzionatorio risulterebbe irragionevole, sia considerato intrinsecamente, sia in comparazione con altre ipotesi delittuose, segnatamente a confronto con la diminuente di pena fino a due terzi prevista dall’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. per la violenza sessuale di minore gravità; la sproporzione per eccesso della pena in concreto non potrebbe d’altronde conciliarsi con la finalità rieducativa che ad essa attribuisce l’art. 27, terzo comma, Cost.
Da qui la richiesta additiva, che il Tribunale di Firenze riferisce, in via principale, ad un’attenuante fino a due terzi, estesa per comparazione dall’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen., e, in via subordinata, ad un’attenuante fino a un terzo, sull’esempio della già citata sentenza n. 68 del 2012.
3.1.– Nell’ordinanza del Tribunale di Roma vengono sviluppati argomenti simili, con l’evocazione aggiuntiva del parametro di cui al primo comma dell’art. 27 Cost., sotto il profilo del canone di personalità della responsabilità penale, che il rimettente assume violato dall’ostacolo normativo all’individualizzazione della sanzione.
Il Tribunale di Roma non formula istanze subordinate, ma chiede unicamente che il trattamento sanzionatorio del reato di estorsione sia ricondotto a legittimità costituzionale tramite una diminuente ad effetto comune, la medesima già introdotta nella disciplina del sequestro di persona a scopo di estorsione dalla menzionata sentenza n. 68 del 2012.
4.– Attesa l’ampia sovrapponibilità delle questioni, i giudizi vanno riuniti, per essere decisi con unica sentenza.
5.– Nel giudizio promosso dal Tribunale di Firenze, il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto tramite l’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato un’eccezione di inammissibilità delle questioni, per non avere il rimettente considerato la possibilità di mitigare la pena attraverso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Questa Corte ha tuttavia già osservato che le circostanze attenuanti generiche hanno, di regola, la funzione di adeguare la misura concreta della pena, e non quella di correggere l’eventuale sproporzione dei minimi edittali (sentenza n. 63 del 2022).
Invero, il Tribunale di Firenze, come quello di Roma, deduce che il minimo edittale del reato di estorsione sia di tale asprezza da non poter essere ricondotto a legittimità costituzionale se non attraverso l’operatività di un’ulteriore e specifica attenuante, che consenta la riduzione della pena nei casi di lieve entità del fatto.
5.1.– Per analoghe ragioni non è pertinente quanto la difesa statale ha eccepito nel giudizio promosso dal Tribunale di Roma riguardo alla facoltatività dell’applicazione della recidiva, deduzione che sembra alludere a un esercizio della discrezionalità del giudice per fini diversi da quelli propri dell’istituto.
6.– Nel merito, non sono fondate le questioni sollevate dal Tribunale di Firenze in via principale.
6.1.– Esse tendono a ottenere l’addizione di una diminuente fino a due terzi, che il rimettente compara all’attenuante prevista per il reato di violenza sessuale dall’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. («[n]ei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi»).
Tuttavia, per costante giurisprudenza di questa Corte, il raffronto tra fattispecie normative diretto a vagliare la ragionevolezza delle scelte legislative di dosimetria penale deve avere ad oggetto casistiche omogenee, risultando altrimenti improponibile la stessa comparazione (sentenze n. 136 del 2020, n. 282 del 2010 e n. 161 del 2009), rilievo tanto più ovvio quando si prospetti l’estensione di un’attenuante ad effetto speciale, che, per sua stessa natura, deroga all’ordinario effetto diminuente.
Rispetto all’oggettività giuridica e all’evoluzione normativa del reato di estorsione, il tertium proveniente dalla disciplina della violenza sessuale è invece del tutto eterogeneo, quindi radicalmente inidoneo alla comparazione.
6.2.– Infatti, l’attenuante di cui all’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. si inscrive nel contesto di un’operazione legislativa di generale riconfigurazione dei delitti sessuali, alla quale il reato di estorsione è estraneo.
La legge 15 febbraio 1996, n. 66 (Norme contro la violenza sessuale), ha infatti unificato il trattamento sanzionatorio della violenza carnale, di cui all’originario art. 519 cod. pen., e quello degli atti di libidine violenti, di cui all’anteriore art. 521 cod. pen., nel nuovo reato di violenza sessuale, di cui all’attuale art. 609-bis cod. pen.
Questa Corte ha avuto modo di sottolineare che l’attenuante della minore gravità è stata introdotta in sede di riforma dei delitti sessuali appunto per temperare gli effetti della concentrazione in un unico titolo di reato di condotte tra loro assai differenti, inclusive tanto della congiunzione carnale quanto dell’atto di libidine (sentenze n. 106 del 2014 e n. 325 del 2005).
6.3.– Oltre che sul piano della costruzione legislativa delle fattispecie, l’eterogeneità tra l’estorsione e la violenza sessuale si misura nella stessa peculiare configurazione che l’attenuante di cui all’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. ha assunto presso la giurisprudenza di legittimità.
Infatti, coerentemente con il bene tutelato dalla norma incriminatrice, la Corte di cassazione collega il riconoscimento dell’attenuante in questione a una valutazione globale del fatto guidata da indici palesemente inconferenti alla dimensione patrimoniale dell’estorsione, in quanto rapportati al grado di compressione della libertà sessuale e al conseguente danno arrecato alla vittima in termini psichici (sezione terza penale, sentenze 18 settembre-14 dicembre 2020, n. 35695, e 10 ottobre-12 dicembre 2019, n. 50336).
7.– Sono invece fondate le questioni sollevate dal Tribunale di Roma e, in via subordinata, dal Tribunale di Firenze.
7.1.– In base al primo comma dell’art. 629 cod. pen., l’estorsione è, nella forma semplice, la condotta di «[c]hiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno».
A fronte di questa tipizzazione legislativa, rimasta inalterata dall’entrata in vigore del codice, il trattamento sanzionatorio del titolo di reato ha registrato un progressivo inasprimento, che ha interessato sia la pena detentiva, sia la concorrente multa, anche con riguardo all’ipotesi aggravata prevista dal secondo comma dello stesso art. 629.
Uno snodo cruciale di tale percorso – anche per la diretta incidenza sulle odierne questioni – va identificato nell’innalzamento del minimo edittale della pena detentiva per l’estorsione semplice da tre a cinque anni, operato dall’art. 8 del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419 (Istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 1992, n. 172.
Siffatto incremento del minimo edittale ha invero determinato una sostanziale impossibilità per l’autore del reato di estorsione di accedere al beneficio della sospensione condizionale della pena, ove pure il fatto-reato sia in concreto, non soltanto esente da circostanze aggravanti, ma finanche connotato dalla speciale tenuità del danno patrimoniale e del lucro.
Era questo, d’altronde, l’obiettivo dichiarato del legislatore del tempo, ai fini del contrasto dell’allora dilagante criminalità estorsiva di stampo mafioso, obiettivo verso il quale pure convergeva la contestuale istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive.
7.2.– Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di tale innalzamento di pena, al metro degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., questa Corte dichiarò le questioni manifestamente infondate, con un argomento in linea con le finalità emergenziali del d.l. n. 419 del 1991, come convertito.
Si osservò infatti che detto inasprimento, «come emerge dalla Relazione accompagnatrice del disegno di legge di conversione del decreto, appare comunque giustificato dalla esigenza di evitare che possano essere irrogate pene che, con il concorso delle circostanze attenuanti, si mantengano nei limiti per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, a causa della difficile individuazione in concreto dell’aggravante di far parte di un’associazione di stampo mafioso» (ordinanza n. 368 del 1995, sostanzialmente confermata dall’ordinanza n. 460 del 1997).
7.3.– Riguardando specificamente l’entità del minimo edittale, questo precedente non pregiudica le questioni ora in esame, che concernono il diverso profilo dell’inesistenza di un’attenuante di lieve entità.
Maggiore attinenza ha quindi la sentenza n. 68 del 2012, sull’attenuante di lieve entità nel sequestro di persona a scopo di estorsione, cui infatti gli odierni rimettenti affidano larga parte delle loro tesi.
7.4.– Con la sentenza appena indicata, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 cod. pen., nella parte in cui non prevedeva che la pena da esso comminata fosse diminuita quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risultasse di lieve entità.
Come il reato di estorsione, anche quello di sequestro di persona a scopo di estorsione, previsto dall’art. 630 cod. pen., ha conosciuto un progressivo inasprimento del trattamento sanzionatorio, sebbene ovviamente in una diversa, e più elevata, scala di grandezza.
Le tappe e le ragioni di questo percorso di aggravamento sono illustrate nella medesima sentenza n. 68 del 2012, che ricostruisce gli interventi normativi, sviluppatisi «con i tratti tipici della legislazione “emergenziale”», i quali, negli anni settanta e ottanta del secolo scorso, hanno inteso contrastare, anche mediante forti inasprimenti sanzionatori, lo «straordinario, inquietante incremento, in quel periodo, dei sequestri di persona a scopo estorsivo, operati da pericolose organizzazioni criminali, con efferate modalità esecutive (privazione pressoché totale della libertà di movimento della vittima, sequestri protratti per lunghissimi tempi, invio di parti anatomiche del sequestrato ai familiari come mezzo di pressione) e richieste di riscatti elevatissimi, al cui pagamento spesso non seguiva la liberazione del sequestrato, che trovava invece la morte in conseguenza del fatto».
Atteso che la fattispecie descritta dall’art. 630 cod. pen. è capace di includere «anche episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, rispetto a quelli avuti di mira dal legislatore dell’emergenza», in particolare «per la più o meno marcata “occasionalità” dell’iniziativa delittuosa», oltre che per la ridotta entità dell’offesa alla vittima e la non elevata utilità pretesa, questa Corte ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, nei termini sopra ricordati, sulla scorta del tertium comparationis della diminuente della «lieve entità del fatto», prevista dall’art. 311 cod. pen. per i delitti contro la personalità dello Stato, tra i quali il sequestro di persona a scopo di terrorismo o eversione, punito dall’art. 289-bis cod. pen.
Infatti, rilevato che il sequestro terroristico o eversivo offende l’ordine costituzionale, quindi un bene superiore al patrimonio viceversa colpito dal sequestro estorsivo, questa Corte ha ritenuto manifestamente irrazionale – e dunque lesiva dell’art. 3 Cost. – la mancata previsione, in rapporto al sequestro di persona a scopo di estorsione, di una attenuante per i fatti di lieve entità, analoga a quella applicabile alla fattispecie “gemella” che, ceteris paribus, aggredisce l’interesse di rango più elevato.
La sentenza ha inoltre ritenuto sussistente la violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., nella prospettiva della proporzionalità della pena come premessa della finalità rieducativa, «tanto più ove si consideri la particolare funzione assolta da detta attenuante, rientrante nel novero delle circostanze cosiddette indefinite o discrezionali (non avendo il legislatore meglio precisato il concetto di “lievità” del fatto): funzione che consiste propriamente nel mitigare – in rapporto ai soli profili oggettivi del fatto (caratteristiche dell’azione criminosa, entità del danno o del pericolo) – una risposta punitiva improntata a eccezionale asprezza e che, proprio per questo, rischia di rivelarsi incapace di adattamento alla varietà delle situazioni concrete riconducibili al modello legale».
7.5.– Un analogo iter argomentativo è stato seguito più di recente dalla sentenza n. 244 del 2022, relativa al cosiddetto sabotaggio militare, con la quale questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 167, primo comma, del codice penale militare di pace, nella parte in cui non prevedeva che la pena fosse diminuita se il fatto di rendere temporaneamente inservibili, in tutto o in parte, navi, aeromobili, convogli, strade, stabilimenti, depositi o altre opere militari o adibite al servizio delle Forze armate dello Stato risultasse, per la particolare tenuità del danno causato, di lieve entità.
Il minimo edittale di otto anni di reclusione, stabilito dalla richiamata norma per ogni fattispecie di sabotaggio, anche solo temporaneo, è parso a questa Corte determinare una situazione «in larga misura corrispondente a quella oggetto della pronuncia con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 cod. pen.», per l’assenza di una «valvola di sicurezza» a fronte di una risposta punitiva improntata a eccezionale asprezza.
L’irrazionalità della carenza normativa è emersa anche dalla comparazione con la parallela figura delittuosa del sabotaggio comune, che l’art. 253 cod. pen. sanziona con uguale asprezza, alla quale risulta tuttavia applicabile l’attenuante della lieve entità di cui all’art. 311 cod. pen.
Pur ritenendo impraticabile un’estensione di tale attenuante dal sabotaggio comune al sabotaggio militare, questa Corte ha osservato che «[l]’indisponibilità di un’analoga valvola di sicurezza nel sistema penale militare comporta, invece, che anche rispetto a condotte del militare che non provochino alcun disservizio significativo, il tribunale militare sia vincolato ad applicare la pena della reclusione non inferiore a otto anni», trattamento sanzionatorio che può risultare, anche per il militare in servizio, «manifestamente sproporzionato rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto, e comunque incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore, con pregiudizio allo stesso principio di individualizzazione della pena e alla sua necessaria funzione rieducativa».
7.6.– Riferite tali considerazioni alle questioni odierne, non può che riscontrarsi un vulnus ai principi costituzionali di ragionevolezza e finalità rieducativa della pena.
Invero, la mancata previsione di una «valvola di sicurezza» che consenta al giudice di moderare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo, può determinare l’irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza.
7.7.– Tenuto conto che il reato di estorsione ha sperimentato – come già detto – un rigido aggravamento del trattamento sanzionatorio in funzione del contrasto ad un mezzo operativo tipico della criminalità organizzata, può per esso ripetersi quanto la più volte citata sentenza n. 68 del 2012 ha osservato a proposito del sequestro estorsivo, esso pure interessato, per analoghe ragioni, da un inasprimento della pena, sebbene su un differente ordine di grandezza.
Deve cioè constatarsi che, al pari dell’art. 630 cod. pen., anche l’art. 629 del medesimo codice è capace di includere nel proprio ambito applicativo «episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, rispetto a quelli avuti di mira dal legislatore dell’emergenza», in particolare «per la più o meno marcata “occasionalità” dell’iniziativa delittuosa», oltre che per la ridotta entità dell’offesa alla vittima e la non elevata utilità pretesa.
7.8.– L’affinità tra l’estorsione e il sequestro di persona a scopo di estorsione, che dunque non emerge soltanto dalla parziale coincidenza dell’oggettività giuridica, ma anche dal parallelismo evolutivo dei rispettivi trattamenti sanzionatori, impone di estendere all’un titolo di reato la medesima «valvola di sicurezza» introdotta per l’altro dalla sentenza n. 68 del 2012.
Sebbene il Tribunale di Firenze, con la locuzione «quando il fatto risulti di lieve entità», sembri esporre un petitum meno definito rispetto a quello del Tribunale di Roma, è tuttavia da ritenere, dato il comune richiamo alla sentenza n. 68 del 2012, che entrambi i rimettenti intendano riferirsi all’attenuante introdotta da tale sentenza, la quale ha riscontro nell’art. 311 cod. pen. («quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità»).
7.9.– Gli indici dell’attenuante di lieve entità del sequestro estorsivo – individuati dalla giurisprudenza di legittimità nell’estemporaneità della condotta, scarsità dell’offesa personale alla vittima, esiguità delle somme estorte e assenza di profili organizzativi (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 22 febbraio-20 aprile 2017, n. 18981) – risultano coerenti con la fisionomia oggettiva del delitto di estorsione.
Essi garantiscono che la riduzione della pena – in misura non eccedente un terzo, come vuole la regola generale dell’art. 65, primo comma, numero 3), cod. pen. – sia riservata alle ipotesi di lesività davvero minima, per una condotta che pur sempre incide sulla libertà di autodeterminazione della persona.
8.– Tutto ciò considerato, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 cod. pen. – per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., assorbita la censura di cui al primo comma dello stesso art. 27 – nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
8.1.– Vanno invece dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 629 cod. pen. – sollevate dal Tribunale di Firenze con riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente i due terzi quando il fatto risulti di lieve entità.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 629 cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente i due terzi quando il fatto risulti di lieve entità, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 2023.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Stefano PETITTI, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 giugno 2023.
Il Cancelliere
F.to: Igor DI BERNARDINI