Se la moglie può fare un lavoro, la stessa non ha il diritto all’assegno di mantenimento (Corte di Cassazione, Sezione VI civile, Sentenza 16 gennaio 2020 n. 770).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9163-2019 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CHIARA BEZANTE;

– ricorrente –

contro

T.S.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA 47, presso lo studio dell’avvocato JACOPO D’AURIA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

P.T. e, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI BRESCIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 03/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 14/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa LAURA TRICOMI.

RITENUTO IN FATTO

1. G.A. aveva agito nei confronti del marito T.S.C. e della suocera P.Tamba E. chiedendo il riconoscimento in proprio favore dell’assegno alimentare ex art. 446 c.c., in ragione delle proprie gravi condizioni di salute e dell’impossibilità a provvedere al proprio mantenimento.

2. T. aveva resistito, opponendo – per quanto interessa l’assenza dello stato di bisogno.

3. La domanda veniva accolta in primo grado ponendo a carico del T. l’obbligo di versare alla G. un assegno mensile di Euro 200,00= con decorrenza dal 10/4/2015, rigettando le domande proposte nei confronti di P.T..

4. La decisione veniva appellata in via principale da G., che chiedeva un congruo aumento dell’assegno, e in via incidentale da T., che chiedeva che venisse escluso ogni diritto di G..

5. La Corte di appello di Brescia ha accolto l’appello incidentale di T., escludendo ogni diritto di G. ed ha respinto l’appello principale di quest’ultima.

5.1. La Corte di appello ha ritenuto che la G. non aveva fornito la prova della ricorrenza dei presupposti richiesti per il riconoscimento dell’assegno alimentare, ciò in particolare dopo avere analizzato la documentazione medica versata in atti ed avere considerato che la patologia diagnosticata alla G. (sindrome psiconeurotica ansioso depressiva con disturbo di personalità) pur menomando gravemente la capacità di prestazione lavorativa specifica, non era tale da impedirle lo svolgimento di attività lavorative generiche di tipo esecutivo, ad esempio nel settore delle pulizie domestiche, e che la stessa G. non aveva fornito la prova di essersi attivata per reperire un’occupazione e di non essere riuscita a trovarla e/o a mantenerla a causa delle patologie da cui è afflitta.

6. G. propone ricorso per cassazione con tre mezzi, corroborati da memoria.

7. Replica con controricorso T.;

8. P.T. è rimasta intimata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 438 c.c., comma 1.

Secondo la ricorrente la Corte di appello aveva escluso la ricorrenza dei presupposti dello stato di bisogno e della impossibilità di mantenersi in capo a lei medesima, senza tuttavia averne verificato, come sarebbe stato onere del giudicante, l’effettiva insussistenza.

Il motivo è infondato.

L’onere probatorio dello stato di bisogno e di non essere in grado di provvedere al proprio mantenimento grava sul coniuge che richiede la prestazione alimentare (Cass. n. 4204 del 24/02/2006; Cass. n. 9415 del 12/04/2017) e la Corte territoriale, in esatta applicazione di tale principio, ha motivatamente escluso che la ricorrente abbia assolto a tale onere probatorio.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia sempre la violazione dell’art. 438 c.c., comma 1.

La ricorrente si duole che non sia stata adeguatamente e correttamente valutata la documentazione medica versati in atti, dalla quale, a suo parere, avrebbero dovuto essere tratte conclusioni opposte a quelle raggiunte in sede di gravame.

Segnatamente riferisce di una certificazione del Dott. M. in data (OMISSIS), dalla quale sarebbe emersa anche la grave menomazione della capacità lavorativa generica, certificazione depositata con le note conclusionali in data 10/4/2017.

2.2. Con il terzo motivo si denuncia ai sensi dell’art. 115 c.p.c., quale error in procedendo, l’omessa valutazione da parte del g. di appello della anzidetta prova documentale ritenuta decisiva in relazione alla documentazione medica versata in atti.

2.3. I motivi secondo e terzo vanno trattati congiuntamente perchè intimamente connessi e vanno dichiarati inammissibili.

Invero, il primo, lungi dal prospettare una violazione di legge, sollecita una nuova valutazione dei fatti nei sensi auspicati dalla ricorrente, inammissibile in sede di legittimità, a meno che non integri un vizio motivazionale, sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo, che non ricorre nel presente caso.

Inoltre, con riferimento alla certificazione in data (OMISSIS), ed ai fatti – asseritamente – da essa desumibili, va osservato che la stessa risulta essere stata prodotta tardivamente in allegato alla comparsa di costituzione di nuovo difensore con note conclusionali (fol. 8 del ricorso), di talchè era inutilizzabile e non è affatto ravvisabile la violazione di cui al terzo motivo.

3. In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

4. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 800,00=, oltre Euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52;

– Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020.

SENTENZA