Sequestro di pc del professionista nei limiti della pertinenza (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 14 aprile 2020, n. 12094).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere

Dott. RICCIARELLI Massimo – Rel. Consigliere

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso presentato da

Bianchi Alberto, nato il 16/05/1954 a Pistoia;

avverso l’ordinanza del 07/10/2019 del Tribunale di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Massimo Ricciarelli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. M. Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ordinanza del 7/10/2019 il Tribunale di Firenze ha confermato il provvedimento di perquisizione e sequestro di documentazione anche di tipo informatico, emesso dal P.M. presso il Tribunale di Firenze in data 13/9/2019 nei confronti di Alberto Bianchi, in relazione ai reati di cui agli artt. 346-bis cod. pen., 7 legge 195 del 1974 e 4 legge 659 del 1981, per i quali il Bianchi è sottoposto ad indagini, correlate ai rapporti del predetto con la Fondazione Open.

2. Ha presentato ricorso Bianchi tramite il suo difensore.

2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 125, 324, comma 7, 253 cod. proc. pen.

Atteso il richiamo alla disciplina dettata dall’art. 309, comma 9-bis, cod. proc. pen., il Tribunale non può integrare un provvedimento nel caso di motivazione mancante.

Nel caso di specie era stata dedotta la mancanza di motivazione in ordine alla relazione di immediatezza tra i reati e le cose sottoposte a sequestro, tale da escludere il rischio che la perquisizione si risolva in mezzo di ricerca della notizia di reato. Il sequestro non avrebbe dovuto essere disposto sulla base di congetture, ma sulla base di un collegamento tra le cose da sequestrare e i reati ipotizzati.

Ma nel caso di specie anziché sequestrare documenti relativi a rapporti economici tra il ricorrente e Fondazione Open, erano stati sequestrati documenti estranei a tali rapporti. Inoltre era stata sequestrata l’intera documentazione informatica mediante sequestro di computer e dispositivi informatici, essendosi dunque proceduto a sequestro finalizzato a perquisizione.

Difettava l’estremo della pertinenzialità, mentre ì dispositivi informatici avrebbero dovuto essere sottoposti a perquisizione mirata, all’esito della quale avrebbero potuto sequestrarsi i documenti di rilievo, non potendosi invece ritenere legittima un’indiscriminata acquisizione dell’intero contenuto, in assenza dell’indicazione di specifiche ragioni.

Avrebbe dovuto ritenersi inidoneo l’utilizzo di acquisizione mediante parole chiave, non potendosi assicurare in tal modo la selezione di documenti non pertinenti, senza adeguata tutela della riservatezza informatica.

In tal modo il decreto era nullo in quanto riferito all’acquisizione della totalità della documentazione afferente la Fondazione Open, esulante dai rapporti indicati dalla Procura.

Correlativamente avrebbe dovuto reputarsi nulla l’ordinanza impugnata, essendosi il Tribunale limitato a reiterare la generica motivazione della Procura, senza vagliare le doglianze difensive.

2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 125, 247-comma 1-bis e 253 cod. proc. pen.

Personal computer e dispositivi informatici erano stati sottoposti a sequestro senza che il provvedimento genetico avesse dato conto delle ragioni di deroga al principio di proporzionalità, a fronte della possibilità di accedere a informazioni non pertinenti e non rilevanti.

Il provvedimento di sequestro informatico avrebbe dovuto essere connotato da motivazione più articolata e stringente in relazione al fondato motivo di procedere a ricerca su sistemi informatici e alle modalità di selezione dei dati, fermo restando che nel decreto non si faceva menzione delle modalità di selezione e della ricerca di parole chiave.

Inoltre, il riferimento alla documentazione, ove presente nei luoghi indicati, attestava l’insussistenza della necessità del sequestro dell’intero patrimonio informatico, se non fosse stato presente ex ante, esso dipendendo dal fatto che casualmente fosse stato rinvenibile.

L’originaria nullità era tale da trasmettersi all’ordinanza del Tribunale che peraltro non avrebbe potuto formulare una motivazione sulle finalità probatorie, ove originariamente mancante.

Il Tribunale aveva cercato di colmare la lacuna richiamando massime di giurisprudenza, peraltro senza prendere posizione sul fatto che la motivazione del decreto presentasse o meno le specifiche ragioni in grado di giustificare la legittimità del sequestro.

Non avrebbe potuto inoltre reputarsi risolutiva la restituzione di atti indebitamente appresi in originale, in quanto l’indebita apprensione si trasmette alle copie dei dati contenuti nei dispositivi informatici.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è genericamente formulato e comunque manifestamente infondato.

2.1. Contrariamente agli assunti difensivi, il Tribunale, esaminando il decreto di perquisizione e sequestro, peraltro preceduto da autorizzazione disposta dal G.I.P. ai sensi dell’art. 103 cod. proc. pen., ha rilevato come fosse ravvisabile il fumus dei reati di cui agli artt. 346-bis cod. pen., 7 legge 195 del 1974 e 4 legge 659 del 1981 e come in relazione ad esso fosse configurabile un collegamento rilevante sul piano probatorio tra le ipotizzate fattispecie e il materiale documentale che si trattava di esaminare e sequestrare.

In particolare è stato dato conto dei rapporti intercorrenti tra il gruppo Toto e l’avvocato Bianchi, nonché tra quest’ultimo e la Fondazione Open, ed anche dei molteplici passaggi di cospicue somme tra il gruppo Toto e il professionista, nonché tra quest’ultimo e la Fondazione Open, ed ancora dei molteplici rapporti e trasferimenti di somme intercorsi tra Donnini Patrizio, a sua volta legato a Fondazione Open, e il Gruppo Toto: l’entità e l’epoca ravvicinata dei passaggi di somme e talvolta la mancanza di valide ragioni alla base di talune operazioni, hanno condotto a prospettare il carattere dissimulatorio dei trasferimenti, intermediati dal Bianchi o coinvolgenti il Bianchi, che era stato legale rappresentante della Fondazione, operante a sostegno dell’attività di un noto uomo politico.

Correlativamente è stata ritenuta legittima l’acquisizione di documentazione anche informatica, idonea a chiarire l’effettiva natura dei rapporti del Bianchi con il gruppo Toto, dei rapporti del ricorrente con la Fondazione e di quest’ultima con il Donnini, materiale che si trattava di ricercare presso l’abitazione e lo studio del Bianchi e presso Fondazione Open e che nel provvedimento genetico era descritto come documentazione cartacea e/o informatica, anche di natura contabile ed extracontabile, bancaria, rubriche, agende, annotazioni, appunti, corrispondenza e ogni altro elemento inerente alle condotte delineate, in relazione a rapporti con Costruzioni Generali Toto e con Fondazione Open.

2.2. A fronte di ciò, deve ritenersi puramente assertiva la doglianza con cui si prospetta che il provvedimento genetico avesse base congetturale e fosse volto non ad accertare reati bensì ad acquisire notizie di reato, essendo stato in realtà stabilito, secondo quanto rilevato, un collegamento tra i reati ipotizzati sulla base di elementi già emersi dalle indagini svolte e la documentazione da acquisire, volta a chiarire la natura di collegamenti e trasferimenti di somme che si potevano prospettare come illeciti, in quanto ispirati da intento dissimulatorio.

Va del resto rimarcato che il provvedimento genetico avrebbe potuto ritenersi impugnabile, solo perché contenente idonei riferimenti al materiale da sequestrare, non rimesso alla mera valutazione della P.G. delegata al compimento della perquisizione: in tale prospettiva la tipologia del materiale era duplicemente descritta attraverso il riferimento sia alla sua natura sia al suo contenuto, riferibile ai rapporti sottoposti a verifica.

Inoltre deve sottolinearsi che è suscettibile di sequestro non solo ciò che costituisce corpo del reato, ma anche ciò che sia ad esso pertinente, in quanto strumentale al suo accertamento e necessario «alla dimostrazione del reato e delle sue modalità di preparazione ed esecuzione, alla conservazione delle tracce, all’identificazione del colpevole, all’accertamento del movente ed alla determinazione dell’ante factum e del post factum comunque ricollegabili al reato, pur se esterni all’iter criminis, purché funzionali all’accertamento del fatto ed all’individuazione del suo autore» (Sez. 4, n. 2622 del 17/11/2010, dep. 2011, Rossini, Rv. 249487): in entrambi i casi (come di recente ribadito da Sez. U, n. 36072 del 19/4/2018, Botticelli, Rv. 273548), al di là della relazione di immediatezza che connota il vero e proprio corpo di reato, e dunque ciò con cui o su cui il reato è stato commesso o ciò che ne costituisce prodotto, profitto o prezzo, deve comunque stabilirsi un collegamento tra la res e il tipo di indagine, in quanto la stessa sia logicamente correlata a quel reato di cui è stato indicato il fumus.

Ed allora deve escludersi che le deduzioni difensive siano idonee a contestare tale vincolo, che il Tribunale ha individuato, conformemente a quanto prospettato nel provvedimento genetico, nella verifica della natura e della causale dei rapporti all’interno dei quali si annidava quella dissimulazione, di cui era stato indicato il fumus, il che corrisponde invero all’individuazione del presupposto della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti, richiesta da consolidati arresti di legittimità (Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, Bevilacqua, Rv. 226711).

2.3. Risultano generiche le deduzioni volte a prospettare che siano stati in concreto sequestrati documenti non inerenti ai rapporti oggetto di indagine.

2.4. Manifestamente infondati si appalesano inoltre gli assunti incentrati sull’indiscriminato sequestro dell’intera documentazione informatica.

A questo riguardo va rimarcato invece come nell’immediatezza si sia proceduto all’estrazione di copie forensi del contenuto di alcuni supporti e dispositivi informatici, peraltro previamente selezionato sulla base di specifiche parole chiave, implicanti correlazione al tipo di rapporti sottoposti a verifica, con conseguente liberazione dei dispositivi e del restante materiale da ogni tipo di vincolo.

Inoltre con riguardo al computer del Bianchi si è proceduto all’estrazione di copia forense, con immediato affidamento ad un consulente dell’incarico di procedere a distanza di soli sette giorni all’estrapolazione del materiale utile, parimenti selezionato con parole chiave, ai fini della restituzione del supporto recante l’originaria copia forense. In tal modo non vi è stata alcuna indiscriminata e totalizzante apprensione, essendosi invece proceduto alla definizione e delimitazione della sola documentazione informatica inerente al tipo di indagine in corso.

E’ d’altro canto generica la contestazione riferita all’utilizzo di parole chiave ai fini della delimitazione della ricerca, giacché, a fronte di quanto indicato nei verbali di perquisizione e sequestro e delle parole chiave in concreto utilizzate per la selezione del materiale, non sono state formulate in merito censure specifiche e non sono stati indicati documenti, se del caso estrapolati in misura eccedente sulla base di quel canone di ricerca.

In tale prospettiva dunque risulta corretta l’analisi del Tribunale, che ha ritenuto legittima l’attività di materiale apprensione e di apposizione di vincolo su un definito ambito di documenti cartacei e informatici.

3. Anche il secondo motivo risulta inammissibile, perché del pari generico e manifestamente infondato.

3.1. Il provvedimento genetico, come peraltro valutato dal Tribunale, non implicava di per sé esiti totalizzanti ed indiscriminati, e dunque sproporzionati, in quanto non implicava l’apprensione di tutto il materiale documentale reperibile, ma solo di quello specificamente connotato sul piano finalistico e contenutistico. Era nondimeno prevista una verifica estesa ai dispositivi informatici a disposizione del ricorrente.

E’ noto al riguardo che non può sottoporsi a vincolo l’intera documentazione in possesso di un determinato soggetto e neppure il suo intero archivio informatico, in quanto ciò esorbiti dai limiti della ragionevolezza e proporzionalità, così esponendosi il soggetto ad un sacrificio del tutto ingiustificato in rapporto alle finalità perseguite (sul punto si richiama Sez. 6, n. 43556 del 26/9/2019, Scarsini, Rv. 277211, nonché Sez. 6, n. 24617 del 24/2/2015, Rizzo, Rv. 264092).

Ma, a fronte di ciò, l’operazione culminata nei sequestri, secondo quanto rilevato dal Tribunale, risulta essersi svolta per gradi, dapprima essendosi individuati i dispositivi informatici e di seguito essendosi proceduto all’estrazione di copie forensi, sulla base di specifici canoni selettivi, e quanto al personal computer del ricorrente, essendosi proceduto all’estrazione di copia forense immediatamente seguita dalla fissazione, a distanza di sette giorni, della data in cui un consulente tecnico avrebbe proceduto alla selezione dei soli documenti informatici rilevanti sulla base delle medesime parole chiave, con immediata restituzione del resto.

Si tratta di modus procedendi specificamente conforme a quanto in generale previsto dall’art. 247 cod. proc. pen., in funzione dell’individuazione ed estrapolazione del materiale informativo pertinente.

D’altro canto va ancora sottolineato che alle operazioni di perquisizione, verifica e sequestro risulta aver partecipato lo stesso P.M. procedente, che ha infatti firmato il relativo verbale, nel quale sono state riprodotte le operazioni volte a dare esecuzione al provvedimento genetico.

In tale ottica si ha conferma che le disposizioni in esso contenute si sono esecutivamente tradotte in quelle operazioni di selezione, che sono state descritte e che solo genericamente sono state contestate, dovendosi escludere che fosse in origine indebitamente previsto solo un indiscriminato vincolo, di cui fosse necessario fornire ab origine specifica giustificazione.

3.2. Del tutto infondato risulta l’assunto che non fosse stato dato conto della rilevanza della documentazione informatica, se non in relazione al riferimento alla sua casuale presenza: in realtà il provvedimento genetico, come peraltro letto dal Tribunale, non dava rilievo alla mera presenza dei dispositivi, ma era volto alla ricerca di questi ultimi, presumibilmente presenti nei luoghi espressamente indicati, in quanto ragionevolmente contenenti quei documenti che, inerendo alla verifica dei rapporti di cui si ipotizzava il carattere dissimulatorio, avrebbero dovuto reputarsi idonei all’accertamento dei reati.

3.3. Quanto alla materiale apprensione dei dispositivi, si è già rimarcato come gli stessi non siano stati sottoposti ad effettivo sequestro, essendosi invece proceduto per gran parte di essi a mirata selezione di copia forense.

Quanto al personal computer, l’operazione, secondo quanto in precedenza rilevato, si è svolta in due fasi: orbene, può in questo caso osservarsi come il vincolo sotteso all’estrazione di copia forense dell’intero contenuto, pur di per sé qualificabile come sequestro (Sez. 6, n. 24617 del 24/2/2015, Rizzo, Rv. 264093), non abbia tuttavia mai assunto connotazione di eccedente sproporzione e di mancanza di ragionevole giustificazione, in quanto, come correttamente rilevato dal Tribunale, ai fini della concreta esecuzione del provvedimento genetico si è reso necessario fissare un’apposita data per l’estrazione selettiva dei dati rilevanti, la quale, stante il breve lasso di tempo, non superiore a sette giorni, non avrebbe potuto reputarsi incompatibile, a fronte del novero delle operazioni esecutive compiute e della concreta consistenza del materiale suscettibile di verifica, con il rispetto del principio di proporzione e adeguatezza, tanto più considerando che era fin dall’inizio prevista la restituzione all’avente diritto dell’originaria copia forense (si richiamano anche le valutazioni espresse su tale tema da Sez. 6, n. 4857 del 14711/2018, dep. 2019, Sindoca).

Sul punto le deduzioni difensive risultano ancora una volta generiche, in rapporto alla pretesa lesività del vincolo, mentre risulta manifestamente infondata la deduzione incentrata sul rilievo che il Tribunale avrebbe indebitamente colmato una lacuna del provvedimento genetico.

Va infatti a questo riguardo osservato che il provvedimento era soggetto a materiale esecuzione, a fronte delle tipologie di documenti rinvenibili presso il ricorrente e da sottoporre a vincolo, in esso indicate: proprio nella fase esecutiva, peraltro sotto il controllo dello stesso P.M., si era manifestata la necessità di procedere attraverso le due fasi di cui si è detto, pervenendosi, senza alcuna eccedenza, ad un solo momentaneo vincolo dei dati contenuti nella copia forense immediatamente estratta, rispetto al quale il giudizio di proporzionalità non avrebbe potuto che fondarsi sul dato temporale ed essere formulato alla luce dell’intera operazione, tenendo conto delle finalità cui il provvedimento genetico era rivolto, comparate al sacrificio in concreto arrecato.

4. In conclusione, alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesa alla causa dell’inammissibilità, a quello della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 19/2/2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.