Sisma dell’Aquila: nel caso in cui in esito a opposizione venga riconosciuta una maggiore somma, l’espropriante solo su questa somma deve corrispondere una maggiore somma (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 6 settembre 2024, n. 23971).

REPUBBLICA ITALIANA

LACORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Luigi Abete                           Presidente

Dott. Luciano Varotti                    Consigliere

Dott. Rosario Caiazzo                   Consigliere – Rel.

Dott. Eleonora Reggiani               Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso n. 31946/2019 r.g. proposto da:

(omissis) (omissis) (c.f. (omissis)), rappresentato e difeso, per procura speciale in allegato al ricorso, dall’Avv. (omissis) (omissis), che chiede di ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato

-ricorrente-

contro

UFFICIO SPECIALE per la RICOSTRUZIONE della CITTÀ di L’AQUILA (c.f. (omissis)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

-controricorrente-

e

COMUNE di L’AQUILA, in persona del sindaco pro tempore

-intimato-

avverso la ordinanza della Corte di appello dell’Aquila n. 538/2019, depositata il 20 marzo 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/6/2024 dal Consigliere dott. Luigi D’Orazio;

RILEVATO CHE:

1. (omissis) (omissis) deduceva che era divenuto proprietario, in virtù di atto di successione, del terreno sito in L’Aquila, località Roio, censito in catasto al foglio 11, particella n. 1033, avente una superficie pari a mq 7102 e che, con decreto n. 6, emesso l’11/5/2009 dal Commissario delegato per la ricostruzione in Abruzzo, nominato a seguito degli eventi sismici del 6/4/2009, tale terreno era stato inserito «tra le aree destinate alla realizzazione di moduli abitativi e delle connesse opere di urbanizzazione e servizi».

Aggiungeva che con atto n. 2016, del 21/8/2013, notificato il 27/8/2013, l’Ufficio Centrale Espropri gli aveva comunicato di aver determinato in euro 68.418,00 l’indennità provvisoria per l’esproprio dell’intera particella n. 1033 ed in euro 24.706,50 l’indennità di occupazione temporanea.

A giudizio del ricorrente i valori unitari attribuiti al terreno (pari a circa euro 9,00 al metro quadrato) erano sottostimati, avendo avuto le descritte aree un incremento di valore «in data successiva al sisma, ovvero alla data di adozione dei provvedimenti censurati (dovendosi calcolare le indennità di esproprio e quella di occupazione temporanea tenuto conto del prezzo di mercato vigente all’epoca di adozione dei rispettivi provvedimenti)».

Pertanto, il (omissis) proponeva ricorso dinanzi alla Corte d’appello dell’Aquila chiedendo la rideterminazione di tale indennità, chiamando in causa il Comune dell’Aquila, l’Ufficio Speciale per la Ricostruzione e l’Ufficio Centralizzato Espropri.

Veniva espletata CTU affidata all’Ing. (omissis) (omissis), con la determinazione di un’indennità di occupazione pari ad euro 272.706,05, al prezzo di euro 97,47 m².

2. Successivamente, con atti notificati in data 6/11/2013, le autorità competenti procedevano alla determinazione dell’indennità provvisoria di esproprio e di occupazione temporanea per altri terreni di proprietà del ricorrente, anch’essi ubicati nella località Roio del Comune dell’Aquila e già individuati nel decreto dell’11/5/2009, occupati in data 2/7/2009.

In particolare si trattava dei seguenti terreni con indicazione delle rispettive valutazione:

1) con atto n. 4651 del 29/10/2013 veniva determinata in euro 18.855,00 l’indennità provvisoria per l’esproprio di mq 2095 della particella n. 438, identificata come area non edificabile, ed in euro 6639,69 l’ indennità di occupazione temporanea;

2) con atto n. 4652 del 29/10/2013 veniva poi determinata in euro 17.820,00 l’indennità provvisoria per l’esproprio di mq 1620 della particella n.1059, identificata come area edificabile ed in euro 22.815,00 l’indennità provvisoria per l’esproprio di mq 2535 della stessa particella identificata come area non edificabile, nonché in euro 6558,75 l’indennità di occupazione temporanea relativa alla porzione di area edificabile ed in euro 8397,19 la stessa indennità relativa alla porzione di area non edificabile;

3) con atto n. 4653 del 29/10/2013 veniva determinata in euro 5697,00 l’indennità provvisoria di mq 633 della particella n. 1032, identificata come area non edificabile ed in euro 2096,81 l’indennità di occupazione temporanea.

Precisava la Corte d’appello che gli spettava l’indennizzo «per la diminuzione di valore di altri suoi terreni, adiacenti e rimasti di sua proprietà, censiti al NCT, foglio 11, particelle 439.035,440, 1058 (quest’ultima richiesta non è stata riproposta in sede di PC sicché si reputa abbandonata)».

3. Anche avverso tali provvedimenti il (omissis) proponeva ricorso in opposizione dinanzi alla Corte d’appello.

Le indennità erano state offerta attribuendo erroneamente il valore unitario pari ad euro 11 a metro quadrato ai terreni identificati come area edificabile ed il valore unitario di euro 9 m² ai terreni identificati come area non edificabile.

Tuttavia, si trattava di particelle contigue utilizzate per la realizzazione dell’insediamento abitativo (Piano CASE) della frazione Roio, e quindi di particelle «che avevano acquistato natura edificatoria, in virtù dei provvedimenti con i quali le stesse erano state destinate a sedime del predetto insediamento abitativo».

Pertanto il ricorrente chiedeva:

1) rideterminare l’indennità complessivamente dovuta per l’asservimento espropriativo, tenuto conto della natura edificatoria del terreni;

2) rideterminare l’indennità di occupazione temporanea per il periodo compreso tra la data dell’immissione in possesso e la data di corresponsione dell’indennità;

3) determinare, inoltre, «l’indennizzo spettante al ricorrente per la diminuzione di valore dei terreni adiacenti rimasti sua proprietà causata dell’espropriazione dei terreni asserviti».

4. In pendenza dei due giudizi il (omissis) apprendeva che, con decreto n. 18, del 31/3/2016, il Comune dell’Aquila aveva disposto l’esproprio in favore del medesimo ente dei terreni di proprietà del ricorrente.

5. Il (omissis) proponeva ulteriore ricorso dinanzi alla Corte d’appello dell’Aquila convenendo unicamente il Comune dell’Aquila, al fine di ottenere, in via giudiziale, la corretta determinazione delle indennità di esproprio «tenuto conto della valutazione dei terreni espropriati alla data di adozione dei relativi provvedimenti».

6. La Corte d’appello dell’Aquila, riuniti i giudizi, dichiarava il difetto di legittimazione passiva dell’ufficio speciale per la ricostruzione della città dell’Aquila e dell’ufficio centralizzato espropri; determinava l’indennità di espropriazione relativa agli immobili in complessivi euro 140.446,80, oltre interessi legali dal 31/3/2016 al deposito; determinava l’indennità di occupazione temporanea in euro 48.398,84 (poi corretta a seguito di procedimento di correzione in euro 75.857,93), oltre interessi legali da ogni singola scadenza annuale successiva al 2/7/2009 fino al deposito.

7. La Corte territoriale affrontava preliminarmente la questione dell’epoca cui fare riferimento ai fini della individuazione delle caratteristiche del bene espropriato.

La regola generale, posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 327 del 2001, induceva a tenere conto delle caratteristiche del bene «all’epoca dell’accordo di cessione o dell’emanazione del decreto di esproprio (cioè dell’atto che produce l’effetto ablatorio)», valutando «l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa», ma senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio.

Precisava, però, il giudice d’appello che si trattava di una regola suscettibile di eccezioni che non compromettevano la correlazione, imposta dall’art.42 della Costituzione, tra indennità e valore effettivo del bene. In particolare, costituiva eccezione alla regola proprio la normativa prevista per gli eventi sismici nella Regione Abruzzo con l’art. 2, comma 6, del decreto – legge n. 39 del 2009, convertito in legge n.77 del 2009.

Tale disposizione attribuiva al commissario delegato il potere di provvedere, d’intesa con il Presidente della Regione Abruzzo e sentiti i sindaci dei comuni interessati, «alla localizzazione delle aree destinate alla realizzazione degli edifici, “anche in deroga alle vigenti previsioni urbanistiche”, con provvedimenti che comportano dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere e costituiscono “decreto di occupazione di urgenza delle aree individuate”.

Veniva menzionato soprattutto l’art. 2, comma 6, del decreto – legge n. 39 del 2009 , il quale sanciva che «per le occupazioni di urgenza e per le eventuali espropriazioni delle aree per l’attuazione del piano degli interventi, il Commissario delegato provvede, prescindendo da ogni altro adempimento, alla redazione dello stato di consistenza e del verbale di immissione in possesso dei suoli […] l’indennità di provvisoria occupazione o di espropriazione è determinata dal Commissario delegato entro 6 mesi […] dalla data di immissione in possesso, tenuto conto delle destinazioni urbanistiche antecedenti la data del 6 aprile 2009».

La Corte territoriale chiariva che l’inciso finale appena ricordato era stato aggiunto dalla legge di conversione n. 77 del 2009, con l’intento dunque di raggiungere la soluzione «di commisurare gli indennizzi al valore delle aree prima del sisma, per scongiurare ogni possibile sospetto sull’individuazione delle aree in questione e per evitare il rischio di una negativa corsa al rialzo dei relativi prezzi». Il giudice d’appello evidenziava la ratio della norma modificata, in quanto «il singolo proprietario di un’area a tal fine inserita nei decreti di localizzazione e caratterizzata, prima del sisma, da un regime urbanistico di non edificabilità o di edificabilità limitata […] vedrebbe – per effetto della variazione urbanistica funzionale esclusivamente a fronteggiare le conseguenze di un improvviso e catastrofico evento naturale – accrescere enormemente il valore del proprio immobile, a differenza degli immobili, in ipotesi anche limitrofi, non inseriti nei piani di localizzazione degli interventi. E come, invece, in assenza del terremoto, simile, in larga parte casuale, aumento di valore connesso alla variazione di destinazione urbanistica non si sarebbe verificato».

L’intento era dunque quello di «neutralizzare – onde evitare casuali e perciò stesso irrazionali elucubrazioni e altrettanto casuali e quindi irragionevoli disparità di trattamento tra proprietari di aree inserite nei provvedimenti di localizzazione e proprietari di aree simili, non inserite in quei provvedimenti -le variazioni urbanistiche dipendenti unicamente dall’evento sismico, senza il quale esse non vi sarebbero state».

L’art.2, comma 6, del decreto-legge n. 39 del 2009 rispondeva «alla stessa logica di fondo sottesa alla generale esclusione degli effetti del vincolo preordinato all’esproprio (che nel caso di specie, allorché è accompagnato dal contestuale effetto di variazione della destinazione urbanistica, accresce anziché diminuire le possibilità legali di edificazione prima limitate assenti) e di quelli connessi alla realizzazione dell’opera prevista».

Pertanto, per la Corte territoriale, ai fini della determinazione delle indennità di esproprio e di occupazione temporanea, occorreva fare riferimento alle destinazioni urbanistiche che i beni espropriati avevano alla data del 6/4/2009, e non di quelle che essi avevano acquisito per il solo effetto della localizzazione dei moduli abitativi provvisori, pur dovendo quantificare le indennità medesime con riferimento alla data del decreto di esproprio.

8. La Corte d’appello, poi, si soffermava sulla valutazione dei singoli cespiti:

1) quanto al terreno di cui alla particella 1033, in zona edificabile, per la superficie di mq 7302, era ritenuto congruo il valore di euro 9 m², con indennità di esproprio pari ad euro 75.259,80 ed occupazione temporanea pari ad euro 24.706,50;

2) quanto al terreno di cui alla particella 438, in zona agricola per l’intera estensione di mq 2095; quanto alla particella 1032 in zona agricola per interessi estensione di mq 633; quanto alla particella 10 59 in zona agricola per mq 2535 ed in zona di viabilità e parcheggio per altri 1620 m². In tutti questi casi il CTU ha reputato congruo il valore di euro 9 m² quanto ai terreni agricoli.

In relazione al terreno destinato a zona di viabilità e parcheggio è stato reputato congruo il valore in euro 11 al metro quadrato. Erano dunque congrue le offerte di euro 65.187,00 e di euro 23.992,44, a titolo di indennità di esproprio ed indennità di occupazione.

9. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il (omissis).

10. Ha resistito con controricorso l’Ufficio speciale per la ricostruzione della città di L’Aquila chiedendo «l’estromissione dal presente giudizio dell’Ufficio speciale per la ricostruzione della città di L’Aquila», in quanto il ricorrente aveva dichiarato di condividere il ragionamento della Corte d’appello, quanto alle eccezioni preliminari, sicché «il soggetto legittimato passivo nel giudizio de quo, [era] individuato, esclusivamente, nel comune di L’Aquila».

11. È rimasto intimato il Comune dell’Aquila.

CONSIDERATO CHE:

12. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 32, del d.P.R. n. 327 del 2001 e degli articoli 3 e 42 della Costituzione, in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».

In particolare, il ricorrente critica la decisione della Corte d’appello laddove ha affermato che la disciplina urbanistica ed edilizia («le destinazioni urbanistiche»), ai fini della determinazione dell’indennizzo, doveva essere individuata in quella presente al 6/4/2009. Ciò sarebbe stato in contrasto con l’art. 42 della Costituzione in quanto l’indennità di esproprio «deve comunque costituire un serio ristoro del proprietario per la perdita coattiva del bene».

13. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente si duole della «violazione e falsa applicazione dell’art. 32, del d.P.R. n. 327 del 2001 e dell’art.2 del decreto- legge n. 39 del 2009, convertito in legge, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della legge n. 77 del 2009, in relazione all’art.360, primo comma, n. 3, c.p.c.».

La conclusione cui è giunta la Corte d’appello sarebbe sindacabile, non solo per la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 327 2001, ma anche dell’ art. 2 del decreto – legge n. 39 del 2009.

In realtà, la disposizione di cui all’art.2 del decreto-legge n. 39 del 2009 dovrebbe essere correttamente intesa, nel senso che l’indennità dovrebbe essere determinata “tenuto conto” delle destinazioni urbanistiche antecedenti al sisma e non “in base al valore” derivante dalle anzidette destinazioni.

La preesistente destinazione urbanistica e terreni sarebbe, allora, solo «uno dei criteri, ma ovviamente non il solo», per la determinazione dell’indennità di esproprio, dovendosi tenere conto del valore venale dei fondi «alla data dei decreti di esproprio (31/3/2016)».

14. I primi due motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di stretta connessione, sono infondati.

15. Si premette che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione diretto unicamente a prospettare una questione di legittimità costituzionale di una norma non potendo essere configurato a riguardo un vizio del provvedimento impugnato idoneo a determinarne l’annullamento da parte della Corte.

E’ infatti riservata al potere decisorio del giudice la facoltà di sollevare o meno la questione dinanzi alla Corte costituzionale ben potendo la stessa essere sempre proposta, o riproposta, dall’interessato, oltre che prospettata d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purché essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali ritualmente dedotte nel processo (Cass., n. 1466 del 2020).

16. Quanto alla infondatezza dei motivi (e nel solco delle numerose pronunce emesse da questa Corte: Cass., sez. 1, 17/7/2023, n. 20655; ma anche Cass., sez. 1, 14/2/2024, n. 4124; Cass. n. 20655 del 2023; n. 24687 del 2023; n. 20673 del 2023; n. 20670 del 2023; n. 20669 del 2023; n. 20663 del 2023; n. 20662 del 2023; n. 20660 del 2023; n. 20382 del 2023; n. 203 7/8/2023), si evidenzia che il D.L. 28.4.2009, n. 39, convertito, con modificazioni, in L. 24.6.2009, n. 77, recante «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile» all’art. 2, dettato in tema di «Apprestamento urgente di abitazioni», al comma 1, ha previsto che il Commissario delegato nominato dal Presidente del Consiglio dei Ministri dovesse provvedere in termini di somma urgenza alla progettazione e realizzazione nei comuni di cui all’art. 1 di moduli abitativi destinati ad una durevole utilizzazione, nonché delle connesse opere di urbanizzazione e servizi, per consentire la più sollecita sistemazione delle persone fisiche ivi residenti o stabilmente dimoranti in abitazioni che sono state distrutte o dichiarate non agibili dai competenti organi tecnici pubblici in attesa della ricostruzione o riparazione degli stessi, ove non abbiano avuto assicurata altra sistemazione nell’ambito degli stessi comuni o dei comuni limitrofi.

Il Commissario delegato doveva poi approvare il piano degli interventi di cui al comma 1 previo parere di un’apposita conferenza di servizi, e quindi, d’intesa con il Presidente della Regione Abruzzo e sentiti i sindaci dei comuni interessati, alla localizzazione delle aree destinate alla realizzazione degli edifici di cui al comma 1, anche in deroga alle vigenti previsioni urbanistiche.

In forza dell’ultima parte del comma 4 del citato art. 2 il citato provvedimento di localizzazione comporta dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere di cui al comma 1 e costituisce decreto di occupazione d’urgenza delle aree individuate. Inoltre (comma 5), l’approvazione delle localizzazioni di cui al comma 4, se derogatoria dei vigenti strumenti urbanistici, costituisce variante degli stessi e produce l’effetto della imposizione del vincolo preordinato alla espropriazione.

Ai sensi del comma 6 dell’art. 2 le occupazioni d’urgenza e per le eventuali espropriazioni delle aree per l’attuazione del piano di cui al comma 3, il Commissario delegato doveva provvedere, prescindendo da ogni altro adempimento, alla redazione dello stato di consistenza e del verbale di immissione in possesso dei suoli e il verbale di immissione in possesso costituiva provvedimento di provvisoria occupazione a favore del Commissario delegato o di espropriazione, se espressamente indicato, a favore della Regione o di altro ente pubblico, anche locale, specificatamente indicato nel verbale stesso.

L’ultima parte del comma 6 ha disposto che l’indennità di provvisoria occupazione o di espropriazione doveva essere determinata dal Commissario delegato entro sei mesi (termine poi prorogato) dalla data di immissione in possesso, tenuto conto delle destinazioni urbanistiche antecedenti la data del 6 aprile 2009.

17. È pur vero che l’art. 2, comma 6, ultimo periodo, si riferisce testualmente alla indennità provvisoria di esproprio e si dirige nei confronti del Commissario delegato, ma la norma, indubbiamente emergenziale, ha carattere speciale ma non per questo si sottrae al criterio dell’interpretazione logica, teleologica e sistematica e del resto trova puntuale corrispondenza in analoghe disposizioni dettate a loro tempo in relazione ad altri eventi catastrofici.

Tra l’altro, già il D.L. 27.2.1968, n. 79, art. 13, convertito, con modificazioni, in L. 18.3.1968, n. 241, recante «Ulteriori interventi e provvidenze per la ricostruzione e per la ripresa economica dei comuni della Sicilia colpiti dai terremoti del gennaio 1968» prevedeva che l’indennità di espropriazione delle aree fosse determinata dall’ufficio tecnico erariale competente per territorio nei modi previsti dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359 con riferimento al valore venale di mercato delle aree alla data dell’evento sismico.

Analoga disposizione è stata riprodotta nel D.L. 83 del 22.6.2012, art. 10, comma 4, in relazione all’evento sismico che ha colpito l’Emilia-Romagna nel 2012, laddove è stato parimenti disposto che le indennità di provvisoria occupazione o di espropriazione dovessero essere determinate dai Commissari delegati entro dodici mesi dalla data di immissione in possesso, tenuto conto delle destinazioni urbanistiche antecedenti la data del 29.5.2012.

Non ha alcun senso che il criterio temporale di determinazione del valore del terreno espropriato, introdotto dal comma 6 in esame, valesse solo per la fase amministrativa e vincolasse solo il Commissario delegato e non operasse per la fase giurisdizionale nel caso in cui l’indennità proposta sulla base del primo criterio non fosse accettata dai privati interessati (Cass., n. 20655 del 2023, cit.).

L’interpretazione iper-restrittiva collide con le regole generali del sistema delle espropriazioni e si colora di assoluta irrazionalità nel momento in cui vorrebbe assoggettare a criteri differenti la determinazione dell’indennità in fase amministrativa rispetto a quelli validi ove si discuta del diritto dinanzi al giudice (Cass., sez. 1, n. 20655 del 2023, cit.; anche Cass., sez. 1, 17/8/2023, n. 3359).

Si è infatti chiarito che l’opzione esegetica patrocinata, volta a circoscrivere, sia dal punto di vista oggettivo che da quello soggettivo alla fase «amministrativa» la proiezione applicativa delle eccezionali disposizioni de quibus agitur, «non rinviene – al di là del riferimento “alle indennità di provvisoria occupazione o di espropriazione” ed al “commissario delegato” – il debito riscontro letterale, logico e sistematico, nel complesso dispositivo» (Cass., sez. 1, 17/8/2023, n. 24759).

18. Il comma 5 prevede che l’approvazione delle localizzazioni di cui al comma 4, se derogatoria dei vigenti strumenti urbanistici, costituisce variante degli stessi e produce l’effetto della imposizione del vincolo preordinato alla espropriazione: attribuisce cioè alla localizzazione l’imposizione di un vincolo espropriativo e non già di un vincolo conformativo.

Di talché non sussiste alcuna incoerenza nel negarne la rilevanza ai fini della determinazione dell’indennità, secondo la regola generale del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, comma 1, per la quale, salvi gli specifici criteri previsti dalla legge, l’indennità di espropriazione è determinata sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio, valutando l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa e senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell’eventuale opera prevista.

19. L’interpretazione del predetto comma 6 seguita dalla Corte di appello appare corretta e va condivisa, al di là degli argomenti rafforzativi utilizzati per corroborarla e validarla.

La disposizione è inequivocabile nel suo tenore letterale nell’imporre il riferimento alla data del sisma e non alla data del decreto di esproprio e in ciò deroga alla norma generale contenuta nel d.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, che fa riferimento al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio.

La deroga, peraltro, da un lato, proviene da un atto avente forza di legge e di natura speciale ed è quindi efficace sotto il profilo della fonte, dall’altro rispetta la stessa ratio dell’art. 32, perché, retrodatando il momento rilevante per l’apprezzamento del valore di mercato del bene espropriato, mira a sterilizzare le sue variazioni influenzate dall’evento catastrofico ed eccezionale (il sisma) che ha innescato il bisogno pubblico (provocato dalla distruzione di un gran numero di abitazioni e lo sfollamento delle popolazione residente in sistemazioni di fortuna) a cui l’intervento espropriativo intende porre rimedio per realizzare nuovi insediamenti residenziali. Infine – è il caso di aggiungere – la deroga è coerente con il carattere impresso al provvedimento di localizzazione in deroga che il D.L. 39 del 1999, comma 5 dell’art. 2 definisce appunto come volto a imporre un vincolo espropriativo, che la norma generale del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32 parimenti neutralizza ai fini della valorizzazione del bene ablato.

20. La disposizione quindi, nel considerare unitariamente, sotto il profilo temporale, l’evento catastrofico che ha provocato il bisogno pubblico eccezionale e la localizzazione in deroga con l’apposizione del vincolo espropriativo diretto a soddisfare l’interesse pubblico rispetta lo spirito dell’art. 32 ed evita una irrazionale locupletazione che deriverebbe dall’aumento di valore del terreno proprio in conseguenza della decisione di destinarlo al soddisfacimento del pubblico bisogno.

20.1. Va aggiunto che la Corte territoriale ha puntualizzato che la valutazione operata dal CTU non è stata oggetto di specifica contestazione, in quanto gli attori si sono limitati a reputarla incongrua in dipendenza dell’asserita natura edificabile terreni.

21. La giurisprudenza di questa Corte non ha mostrato dubbi circa la coerenza di tale soluzione, con riferimento all’analoga previsione normativa contenuta nel citato D.L. 79 del 1968, art. 13 e alla norma previgente della legge del 1865 (in tal senso anche Cass. n. 24759 del 2023).

È stato infatti ripetutamente affermato che per le espropriazioni necessarie per la ricostruzione degli abitati colpiti dal terremoto del Belice del gennaio 1968, il decreto L. 27.2.1968 n. 79, art. 13, convertito con modificazioni nella L. 18.3.1968 n. 241, disponendo che l’indennità è determinata «nei modi previsti dalla L. 25.6.1865 n. 2359, con riferimento al valore venale di mercato delle aree alla data dell’evento sismico», ha inteso soltanto evitare che nella stima dei terreni espropriati si potesse tener conto delle fluttuazioni di valore causate dal predetto evento calamitoso, allo scopo di impedire agli espropriati, in conformità del principio fondamentale espresso dalla L. n. 2359 del 1865, art. 41, di approfittare degli aumenti di valore avuti dai loro terreni per effetto della stessa espropriazione e dei fatti per i quali è stata voluta, ma non ha inteso anche derogare all’altro generale principio, tratto dagli art. 39 e 50 della stessa legge del 1865, secondo il quale l’indennità va commisurata al valore del bene al momento del decreto di espropriazione; ne consegue che, per la liquidazione della indennità, il valore delle aree, pur depurato dell’incidenza diretta dell’evento e riferito quindi al momento del sisma, deve essere espresso in termini monetari con riferimento alla data del decreto di espropriazione, tenendosi conto della svalutazione monetaria verificatasi, per ragioni indipendenti dal terremoto, nello intervallo di tempo tra il terremoto stesso ed il provvedimento ablatorio. (Sez. 1, n. 5637 del 22.9.1983;Sez. 1, n. 14562 del 9.11.2000; Sez. 1, n. 6195 del 21.11.1981; Sez. 1, n. 1311 del 25.2.1980).

Analoga disposizione è stata riprodotta nel D.L. 83 del 22.6.2012, art. 10, comma 4, in relazione all’evento sismico che ha colpito l’Emilia-Romagna nel 2012, laddove è stato parimenti disposto che l’indennità di provvisoria occupazione o di espropriazione dovessero essere determinate dai Commissari delegati entro dodici mesi dalla data di immissione in possesso, tenuto conto delle destinazioni urbanistiche antecedenti la data del 29.5.2012.

22. L’interpretazione del citato D.L. 39 del 2009, art. 2, comma 6, non risente della previsione del successivo comma 8 che – attraverso il rinvio al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis che a sua volta rimanda al precedente art. 37, comma 3 – confermerebbe il principio generale e cioè che l’accertamento della natura edificabile dei terreni espropriati e la determinazione della relativa indennità di esproprio devono essere esperiti tenendo conto della destinazione urbanistica vigente alla data del decreto di esproprio (nella fattispecie edilizia residenziale privata).

In realtà, però, a confutazione di tale ricostruzione ermeneutica, da un lato, il comma 6 dell’art. 2 è del tutto inequivocabile – in claris non fit interpretatio – e del resto corrisponde a una regola derogatoria sistematicamente seguita dal legislatore con riferimento agli espropri resi necessari da eventi eccezionali come calamità naturali catastrofiche che hanno colpito il territorio nazionale.

D’altro canto, l’art. 2, comma 8, riguarda un’ipotesi affatto differente, e cioè il caso dell’utilizzazione di un bene immobile in assenza del provvedimento di localizzazione o del verbale di immissione in possesso, o comunque di un titolo ablatorio valido, in cui può essere disposta dal Commissario delegato, in via di somma urgenza, con proprio provvedimento, espressamente motivando la contingibilità ed urgenza della utilizzazione.

In tal caso l’atto di acquisizione di cui al D.P.R.n. 8.6.2001, n. 327, art. 43, comma 1, è adottato, ove ritenuto necessario, con successiva ordinanza, dal Commissario delegato a favore del patrimonio indisponibile della Regione o di altro ente pubblico anche locale (in tal senso anche Cass., sez. 1, 17/8/2003, n. 24759).

Quindi, quand’anche si dovesse ritenere che in tale ipotesi la data di riferimento per la determinazione della destinazione urbanistica del bene, per effetto del doppio rinvio normativo, sia la data del provvedimento acquisitorio e non la data del sisma (il che, per vero, è tutt’altro che scontato), ciò non avrebbe alcun valore interpretativo ai fini della regolazione della diversa ipotesi considerata dal comma 6 dell’espropriazione previa localizzazione, per cui la legge dispone inequivocabilmente.

23. Per concludere sul punto, appaiono condivisibili le osservazioni svolte dalla Corte aquilana nei p. 13 e 14 per escludere il sospetto di illegittimità costituzionalità della norma con riferimento all’art. 42 e 117 Cost, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del protocollo addizionale della CEDU (in tal senso Cass., sez. 1, n. 20655 del 2023).

La regola fondamentale della corresponsione di una somma ragionevolmente correlata al valore di mercato del bene espropriato a titolo di indennizzo non soffre vulnus in ragione della sterilizzazione di variazioni di valore dipendenti da un evento catastrofico naturale che abbiano determinato la scelta della pubblica autorità di localizzare in situ le opere pubbliche destinate a soddisfare il bisogno ingenerato dallo stesso evento.

Orbene, la Corte Europea, con decisione della Grande Camera in data 29.3.2006, ribadita da numerose altre decisioni, ha preso le mosse dal dettato dell’art. 1 del protocollo n. 1, secondo cui: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali di diritto internazionale.

Le precedenti disposizioni non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi oppure di ammende».

Secondo la Corte Europea:

a) le tre norme di cui si compone l’art. 1 del protocollo n. 1 sono tra loro collegate, sicché la seconda e la terza, relative a particolari casi di ingerenza nel diritto al rispetto dei beni, devono essere interpretate alla luce del principio contenuto nella prima norma (punto 75);

b) l’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve contemperare un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e il requisito della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (punto 93);

c) nello stabilire se sia soddisfatto tale requisito, lo Stato gode di un ampio margine di discrezionalità, sia nello scegliere i mezzi di attuazione sia nell’accertare se le conseguenze derivanti dall’attuazione siano giustificate, nell’interesse generale, per il conseguimento delle finalità della legge che sta alla base dell’espropriazione (punto 94);

d) occorre comunque determinare se sia stato mantenuto il necessario equilibrio in modo conforme al diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni (punto 94);

e) il prendere dei beni senza il pagamento di una somma in ragionevole rapporto con il loro valore, di norma costituisce un’ingerenza sproporzionata e la totale mancanza d’indennizzo può essere considerata giustificabile, ai sensi dell’art. 1 del protocollo n. 1, soltanto in circostanze eccezionali, ancorché non sempre sia garantita dalla CEDU una riparazione integrale (punto 95);

f) in caso di espropriazione isolata, pur se a fini di pubblica utilità, soltanto una riparazione integrale può essere considerata in rapporto ragionevole con il bene (punto 96);

g) obiettivi legittimi di pubblica utilità, come quelli perseguiti da misure di riforma economica o da misure tendenti a conseguire una maggiore giustizia sociale, potrebbero giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato (punto 97).

L’indennizzo assicurato all’espropriato dalla Cost., art. 42, comma 3, se non deve costituire una integrale riparazione per la perdita subita -in quanto occorre coordinare il diritto del privato con l’interesse generale che l’espropriazione mira a realizzare -non può essere, tuttavia, fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica, ma deve rappresentare un serio ristoro (ex multis: Corte Costituzionale sentenze n. 173 del 1991, n. 1022 del 1988, n. 355 del 1985; n. 223 del 1983; n. 5 del 1980; 347 e 348 del 2007).

24. Tanto più che, come si è recentemente sottolineato, «la vicenda catastrofica che ha costituito l’ “ occasio legis ”, indiscutibilmente riflessa dall’ “intentio legis”, legittima, viepiù alla luce dei “doveri inderogabili di solidarietà sanciti all’art. 2 Cost., l’eccezionale deroga – cioè il riferimento alle destinazioni urbanistiche antecedenti al 6 aprile 2009 -al generale criterio di cui al 1° co. dell’art. 32 del d.P.R. n. 327/2001 e non lascia margine alcuno agli argomenti di segno contrario prospettati» (Cass., sez. 1, n. 24759 delle 17/8/2023).

25. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione degli articoli 112,189 190 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».

Il ricorrente rileva che con il ricorso introduttivo del giudizio dinanzi alla Corte d’appello dell’Aquila aveva chiesto anche «un equo indennizzo per la diminuzione del valore dei terreni adiacenti rimasti di sua proprietà, causata dall’espropriazione dei terreni asserviti per la realizzazione dell’insediamento abitativo denominato “piano CASE”. La Corte territoriale ha affermato che «la suddetta richiesta fosse da reputarsi abbandonata, perché non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni».

Tale affermazione sarebbe erronea in quanto derivante «dalla superficiale analisi del comportamento processuale e degli atti di causa condotto da parte dei giudici d’appello», in quanto «come evincibile dagli scritti difensivi di causa (in particolare, pagina 11 della comparsa conclusionale datata 12/9/2018), il sig. (omissis) ha inteso, espressamente, includere tra le domande e le questioni sottoposte al vaglio del collegio giudicante, anche quelle relative all’indennizzo in questione e ciò anche nella fase di rimessione della causa in decisione ai sensi degli articoli 189 e 190 c.p.c.».

Tra l’altro, la decisione della Corte di merito sarebbe in contrasto con l’indirizzo prevalente dei giudici di legittimità, per cui «la mancata riproposizione, in sede di precisazione, di una domanda in precedenza formulata non autorizza alcuna presunzione di rinuncia in capo a colui che ebbe originariamente a proporla, essendo necessario che, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, possa desumersi inequivocabilmente il venir meno del relativo interesse (in questo senso, sez. III, sentenza n. 3593/2010)».

La censura sarebbe prospettabile anche ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, intendendosi per “fatto”, «l’evento espropriativo causativo del deprezzamento subito dei terreni rimasti di proprietà del ricorrente adiacenti a quelli espropriati e ad essere asserviti per la realizzazione degli interventi abitativi».

25.1. Il motivo è inammissibile.

Infatti, il motivo difetta di autosufficienza, non avendo indicato, neppure per stralcio, il contenuto delle difese del ricorrente al momento della precisazione delle conclusioni; neppure è stato riportato il contenuto della comparsa conclusionale, o perlomeno la parte di essa in cui si faceva espresso riferimento alla domanda di indennizzo per la diminuzione di valore dei terreni adiacenti rimasti di sua proprietà, a seguito dell’espropriazione dei terreni asserviti.

Tra l’altro, sarebbe stato necessario riportare anche il contenuto della CTU, nella parte in cui il consulente abbia o meno provveduto ad accertare la sussistenza dei requisiti per l’indennizzo, con l’indicazione del relativo valore con riferimento a ciascuno dei terreni indicati: foglio 11, particelle numeri 439, 1035,440 e 1058.

Pertanto, va condiviso il principio per cui la mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, di una domanda in precedenza formulata non autorizza alcuna presunzione di rinuncia in capo a colui che ebbe originariamente a presentarla, essendo necessario, a tale fine, che, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, possa desumersi inequivocabilmente il venire meno del suo interesse a coltivare siffatta domanda (Cass., sez. 3, 9/5/2024, n. 12756; Cass., sez. 3, 18/1/2021, n. 723; Cass., sez. 1, 3/12/2019, n. 31571; Cass., sez. 2, 14/7/2017, n. 17582; Cass., sez. 1, 10/7/2014, n. 15860).

Il ricorrente, dunque, avrebbe dovuto dimostrare, non solo di aver presentato con il ricorso introduttivo del giudizio di opposizione alla stima la richiesta di indennizzo per la diminuzione di valore dei terreni adiacenti a quelli espropriati, rimasti di sua proprietà, ma anche di aver coltivato la domanda nel corso del giudizio, affidandone, per esempio, l’accertamento a specifici quesiti rivolti al CTU, che, nella specie, non sono stati neppure indicati. Non è stato neppure allegato che il CTU abbia provveduto alla determinazione di tale peculiare forma di indennizzo, relativo al deprezzamento dei residui beni del ricorrente. Ciò inficia il motivo di inammissibilità.

26. Con il quarto motivo di impugnazione ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art.1224 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».

Per il ricorrente la sentenza della Corte d’appello sarebbe erronea avendo escluso la rivalutazione monetaria sulle somme richieste a titolo di indennità di esproprio e di occupazione legittima, asserendo che si sarebbe trattato di debiti di valuta, con esclusione della riconoscibilità della rivalutazione monetaria, non essendovi prova di un maggior danno ex art. 1224, 2º comma, c.c..

26.1. Il motivo è infondato.

Invero, costituisce principio consolidato di questa Corte quello per cui, in tema di indennità di espropriazione, non trova diretta applicazione l’art. 1 del Primo Protocollo addizionale della CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, relativo al diritto alla percezione di una giusta indennità da parte del soggetto privato della proprietà per causa di pubblico interesse, non essendo la materia disciplinata dal diritto europeo ma solo da quello nazionale che, peraltro, recando la possibilità della liquidazione del maggior danno da ritardo per le obbligazioni di valuta, ai sensi dell’art. 1224, comma 2, c. c., consente di soddisfare ugualmente l’esigenza di pieno ristoro del soggetto espropriato, qualora decorra un certo lasso di tempo tra l’espropriazione e la liquidazione dell’indennizzo (Cass., sez. 1, n. 32911 del 2021).

Pertanto, le obbligazioni di pagare l’indennità di espropriazione e di occupazione legittima costituiscono debiti di valuta (non di valore), sicché, nel caso in cui, in esito ad opposizione alla stima effettuata in sede amministrativa, venga riconosciuto all’espropriato una maggiore somma a titolo di indennità espropriativa, l’espropriante deve corrispondere, solo su detta maggiore somma, gli interessi legali, di natura compensativa, dal giorno dell’espropriazione e fino alla data del deposito della somma medesima (Cass., n. 3274 del 2011). Non è stato, poi, né allegato né dimostrato il maggior danno eventualmente subito dal ricorrente ai sensi dell’art. 1224 c.c..

Infatti, per questa Corte, nel caso di ritardato adempimento di un’obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224, secondo comma, c.c., può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali; ove il creditore rivesta la qualità di imprenditore, è sufficiente dimostrare di avere, durante la mora del debitore, fatto ricorso al credito bancario (o ad altre forme di approvvigionamento di liquidità), sempre che il ricorso al credito, in relazione all’entità dello stesso ed alle dimensioni dell’impresa, sia stato effettiva conseguenza dell’inadempimento (Cass., 6-1, 9/8/2021, n. 22512; anche Cass., Sez. U., n. 19499 del 2008). Nella specie, non v’è stata alcuna allegazione in tal senso da parte del ricorrente.

27. Il Comune dell’Aquila non ha svolto difese; pertanto, nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va nei suoi confronti assunta.

Vanno compensate le spese tra il ricorrente e l’Ufficio speciale per la ricostruzione della città di L’Aquila, che in sede di controricorso ha tenuto conto che «come risulta dalla espressa dichiarazione contenuta pagina 8 del ricorso […] e com’è peraltro confermato dal tenore dei motivi a quali il medesimo ricorso é affidato, non costituisce oggetto di impugnazione la parte della gravata sentenza della Corte d’appello in cui é stato dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’USRA, di tal che essa, sul punto, deve ritenersi passata in giudicato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

compensa integralmente tra le parti costituite le spese del presente giudizio di legittimità;

ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 1, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 giugno 2024

Il Presidente

Luigi Abete

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.