Somministrazione di energia: a chi spetta la prova che il contatore funzioni? (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 10 dicembre 2021, n. 39265).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Presidente –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35892-2019 proposto da:

ROTA GAS SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS), 28, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANNA MARIA (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

IMAR COSTRUZIONI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa ROBERTO (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1441/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 17/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

RITENUTO CHE

1.- La società Rota Gas srl ha somministrato energia elettrica alla società IMAR Costruzioni srl, acquistandola a sua volta da Acea.

Con decreto ingiuntivo 865/ 17, ottenuto dal Tribunale di Pescara, la Rota Gas srl ha preteso il pagamento di 65.503, 51 euro per consumi di energia elettrica, che la IMAR srl ha contestato, facendo presente che i consumi erano anomali rispetto ai periodi precedenti e che probabilmente ciò era dovuto ad un malfunzionamento del contatore.

Per contro, la Rota Gas srl, che faceva affidamento sulla lettura del contatore da parte di Acea, ha depositato una mail proveniente da un terzo che, comprata l’energia da Acea, la rivendeva alla Rota Gas, e nella quale si attestava l’ammontare dei consumi effettuati.

2. – Il Tribunale ha confermato il decreto ingiuntivo opposto, riconoscendo provato l’ammontare dei consumi, mentre la Corte di Appello di l’Aquila ha riformato integralmente la decisione di primo grado, ritenendo che, a fronte della contestazione circa il funzionamento del contatore, era onere del somministrante provare che invece funzionava; ed inoltre ha ritenuto inutilizzabile la mail che attestava i consumi, in quanto proveniente da un terzo.

3.- Il ricorso è basato su quattro motivi.

4.- V’è controricorso di IMAR srl che deposita memorie.

CONSIDERATO CHE

5.- I primi due motivi contestano la ratio della decisione impugnata relativa alla prova del funzionamento del contatore: la Corte di secondo grado ha ritenuto che spettasse al somministrante e che costui non l’aveva fornita.

Il primo motivo denuncia violazione dell’articolo 2967 c.c. e dell’articolo 81 c.p.c..

La tesi della società ricorrente è che la regola per la quale, una volta che il consumatore abbia contestato il funzionamento del contatore, spetta al somministrante dimostrare che invece funzionava, regola che la corte di merito ricava da un orientamento di questa Corte, vale solo nel caso in cui è il somministrante ad accedere al contatore: invece, nella fattispecie, il contatore era di Acea e non della ricorrente che, di conseguenza non poteva dimostrarne il corretto funzionamento.

Con il secondo motivo si denuncia invece omesso esame di un fatto controverso e rilevante, ossia si contesta alla Corte di Appello di avere applicato la regola sull’onere probatorio, solo in parte, omettendo di tenere in considerazione che quella stessa regola prevede che, se è vero che compete al somministrante dimostrare che il contatore funziona, compete invece all’acquirente dell’energia, nella cui sfera il contatore è situato, di dimostrare che gli scatti non gli sono comunque addebitabili ma che sono dovuti ad una utilizzazione esterna da lui non autorizzata.

Questi motivi sono infondati.

Intanto, non è senza rilievo osservare che la ricorrente pone una questione, quella della impossibilità di verificare il funzionamento del contatore, in quanto nella disponibilità di altro soggetto (Acea), che non risulta essere stata sottoposta alla Corte di Appello proprio in questi termini: nel ricorso la società non ne dà dimostrazione, non indica in che termini ha posto la questione.

Mentre dalla sentenza impugnata risulta che sarebbe stata introdotta una questione simile: il contatore non poteva essere letto non perché non fosse nella disponibilità della Rota Gas, ma perché, per come era costruito o montato, si azzerava annualmente. Il che incide ovviamente sulla ammissibilità del motivo.

Ad ogni modo, il primo motivo è infondato.

Lo è nella misura in cui postula che la regola per cui è il somministrante a dover dimostrare il corretto funzionamento del contatore non vale quando il somministrante non ha la disponibilità dello strumento, che appartiene ad altri.

Questa tesi non tiene conto del fatto che il somministrante si avvale anche in questo caso della prestazione del titolare del contatore, a cui chiede la lettura ai fini della fatturazione.

Chi vende l’energia elettrica, comprandola a sua volta da altro soggetto, riceve da costui le informazioni sui consumi, e di conseguenza ha l’onere di pretendere dal dante causa, eventualmente con chiamata in causa, la dimostrazione che quei consumi sono correttamente calcolati.

In sostanza, la regola di questa Corte (Sez. 3. 18195/ 2021; Sez. 3, 19154/ 2018; Sez. Sez. 3, 30290/ 2017; Sez. 3, 12003/ 2017) è che grava sul somministrante la prova che il contatore funzionava e va intesa nel senso che tale onere sussiste anche se il contatore è di proprietà altrui, in quanto ciò non impedisce al somministrante di dare la prova richiesta, ben potendo costui richiederla al proprio dante causa, ossia a colui da cui compra l’energia da somministrare a terzi.

Senza tacere del fatto che il cliente finale non ha alcun rapporto, giuridicamente rilevante, con il fornitore primario (nel caso, Acea), né con costui ha un rapporto di fatto qualificato che possa comportare l’obbligo di richiedere informazioni o il diritto di riceverne.

Il secondo motivo è formulato come omesso esame di una prova, rectius di un fatto, ma in realtà contesta alla Corte di merito l’erronea applicazione della giurisprudenza di questa Corte: la quale è nel senso che, fermo restando l’onere in capo al somministrante di dimostrare il funzionamento del contatore,” in ogni caso, l’utente è ammesso a provare che non gli sono addebitabili gli scatti risultanti dalla corretta lettura del contatore funzionante, ma a tale scopo dovrà allegare circostanze che univocamente autorizzino a presumere una utilizzazione esterna della linea nel periodo al quale gli addebiti si riferiscono, consentendo di escludere che soggetti diversi dal titolare dell’utenza, ma in grado di accedere ad essa, ne abbiano fatto uso per ragioni ricollegabili ad un difetto di vigilanza da parte dell’intestatario, ovvero alla mancata adozione di possibili cautele da parte del medesimo..” (Sez. 3 , 30290/ 2017).

Ovviamente una simile prova è alternativa a quella del funzionamento del contatore, nel senso che, anche ove quest’ultima sia fornita, il consumatore può comunque dimostrare che gli scatti non gli sono addebitabili per fatto a lui non imputabile.

Si tratta, cioè, di una prova che mira ad evitare l’addebito nel caso in cui il somministrante abbia comunque dimostrato che il contatore funziona, e mira a fornire una spiegazione alternativa della eccessività dei consumi.

7.- Il quarto motivo, che va, per ordine logico, esaminato prima del terzo, denuncia vizio di “parziale esame di una prova decisiva”.

La Corte di Appello aveva ritenuto irrilevante, non utilizzabile, la mail che attestava i consumi, prodotta in giudizio dalla ricorrente, in quanto atto proveniente da un terzo, tale società Alperia Energy (p. 5) che comprava l’energia da Acea e la vendeva alla ricorrente.

Sostiene quest’ultima che la Corte di Appello ha disatteso la regola per cui anche una pec può costituire prova, e dunque non ha tenuto conto di una prova dei consumi fatturati.

Il motivo è inammissibile: non coglie la ratio della decisione impugnata, che non nega valore probatorio alle mail, ma si limita ad osservare che quella prodotta in giudizio è formata da un terzo soggetto, estraneo alla causa, e mai portata a conoscenza dell’utente; inoltre, secondo la Corte di merito, quel documento è incompleto nel suo contenuto, in quanto riassume i consumi ma non fa riferimento ai dati del contatore.

Cosi che l’atto, ed il fatto a cui esso si riferisce, sono di certo oggetto di valutazione da parte della Corte, ma in un senso affatto diverso da quello censurato.

8.- Il terzo motivo assume violazione dell’articolo 92 c.p.c.

Secondo la ricorrente la Corte di merito avrebbe dovuto liquidare le spese non in base al valore della controversia in sé, ma in base al valore minimo: questo criterio avrebbe dovuto comportare liquidazione di una somma minore, in quanto la somma richiesta dall’attore era di 406 euro per esborsi e 1700 per compensi.

Il motivo è infondato.

E’ principio di diritto che: “L’art. 6, comma 1, quarto periodo, della tariffa forense, approvata con d.m. n. 55 del 2014, secondo cui, nei giudizi civili per pagamento di somme di denaro, la liquidazione degli onorari a carico del soccombente deve effettuarsi avendo riguardo alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata, si riferisce all’accoglimento, anche parziale, della domanda medesima, laddove, nell’ipotesi di rigetto di questa (cui deve assimilarsi ogni altra ipotesi di diniego della pronuncia di merito), il valore della controversia è quello corrispondente alla somma domandata dall’attore” (Cass. 15857/ 2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 6000,00 euro, oltre 200,00 euro per spese generali.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Roma 5.10.2021.

Depositato in Cancelleria, oggi 10 dicembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.