REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CASA Filippo – Presidente –
Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –
Dott. RENOLDI Carlo – Rel. Consigliere –
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –
Dott. TALERICO Palma – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo
nel procedimento nei confronti di
(OMISSIS) Claudio, nato a (OMISSIS) il 16/8/1973;
avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo in data 11/1/2019;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Carlo Renoldi;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Mario Pinelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Claudio (OMISSIS) era stato tratto a giudizio, davanti al Tribunale di Bergamo, per rispondere del reato di cui all’art. 75, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, per avere partecipato alla presentazione della squadra di calcio “Atalanta” presso lo stadio “Atleti Azzurri d’Italia” di Bergamo, violando il divieto di presenziare a pubbliche riunioni impostogli con il provvedimento applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, emesso dallo stesso Tribunale in data 11/2/2016, per la durata di un anno e sei mesi.
1.1. Con sentenza del Tribunale di Bergamo in data 11/1/2019, (OMISSIS) fu però assolto da tale imputazione, con la formula «perché il fatto non sussiste», a partire dall’orientamento della Corte di cassazione, mutuato dalla sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’Uomo resa nel procedimento De Tommaso contro Italia, secondo cui, in base all’art. 7 della Convenzione EDU, la norma penale incriminatrice che non descriva, con sufficiente precisione, la condotta da punire, non può ritenersi idonea a soddisfare i requisiti di prevedibilità stabiliti dalla giurisprudenza della stessa Corte europea.
Nel caso di specie, in particolare, non essendo rinvenibile, nel nostro ordinamento, una nozione unitaria di «pubblica riunione», la prescrizione violata presentava un contenuto incerto, tale da non consentirle di orientare il comportamento sociale richiesto, chiamando il giudice a darle un contenuto specifico attraverso il riferimento alla ratio della fattispecie, con una inversione logico-giuridica per effetto della quale la ragione giustificativa dell’incriminazione assurgeva a elemento integrativo della fattispecie di reato.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 75, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.
In particolare, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., che la nozione di «partecipazione a pubbliche riunioni» risulti chiara tanto nel riferimento al contesto («pubbliche») quanto nell’oggetto («riunioni»), facendo essa rinvio a qualsiasi situazione in cui possa intervenire un numero elevato e indeterminato di persone, tale da rendere più difficile il controllo dei presenti e più agevole la commissione di reati.
Pertanto, nella specie non sarebbe pertinente il richiamo alla giurisprudenza di legittimità consolidatasi a seguito della sentenza della Corte EDU nel caso De Tommaso contro Italia, dovendo escludersi che la condotta dell’imputato abbia concretizzato generiche violazioni comportamentali, atteso che il divieto di partecipare a pubbliche riunioni costituirebbe una prescrizione espressamente prevista nel decreto applicativo della misura di prevenzione, imposta dall’art. 8, d.lgs. n. 159 del 2001; prescrizione della quale Galimberti sarebbe stato pienamente consapevole, secondo quanto riconosciuto dallo stesso Giudice di merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
2. L’art. 75, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 punisce l’inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno, dettati dal tribunale che dispone la misura di prevenzione a mente dell’art. 8, comma 2, stesso decreto, secondo cui «qualora il tribunale disponga l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’art. 6, nel provvedimento sono determinate le prescrizioni che la persona sottoposta a tale misura deve osservare».
In base al comma 4 dell’art. 8, il tribunale deve dettare «in ogni caso» alcune prescrizioni, tra cui quella «di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza» e quella «di non partecipare alle pubbliche riunioni».
3. Il tema della rilevanza penale della violazione della prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni aveva dato luogo, nella giurisprudenza di legittimità, a un contrasto interpretativo.
Secondo un primo orientamento – che si poneva in una linea di continuità con le Sezioni unite “Paternò”, le quali avevano escluso la sussistenza del reato previsto dall’art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 nel caso di inosservanza delle prescrizioni generiche di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» da parte del sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno (Sez. U, n. 40076 del 27/4/2017, Paternò, Rv. 270496) – l’indeterminatezza della nozione di «pubblica riunione» era tale da comportare la mancanza di tassatività della fattispecie, di tal che la condotta di inosservanza del divieto di partecipare a pubbliche riunioni non consentiva di integrare il reato di cui all’art. 75, d.lgs. n. 159 del 2011 (Sez. 1, n. 31322 del 9/4/2018, Pellegrini, Rv. 273499, relativa al caso di un imputato che si era recato allo stadio per assistere a una partita di calcio, nonostante il divieto contenuto nel decreto applicativo della misura).
Secondo altro indirizzo, invece, il divieto di partecipare a «pubbliche riunioni» di cui all’art. 8, d.lgs. n. 159 del 2011, essendo finalizzato a impedire o contenere possibili occasioni di incontro del sorvegliato speciale con altri soggetti, doveva ritenersi riferibile a qualsiasi riunione di più persone in un luogo pubblico o aperto al pubblico, al quale avesse facoltà di accedere un numero indeterminato di persone, indipendentemente dal motivo della riunione, rilevando piuttosto l’impossibilità di un controllo adeguato da parte degli organi di pubblica sicurezza (Sez. 1, n. 28261 del 8/5/2018, Lo Giudice, Rv. 273295, relativa alla partecipazione dell’imputato a una seduta del consiglio comunale; v. altresì Sez. 1, n. 28964 del 11/3/2003, D’Angelo, Rv. 224925; Sez. 1, n. 42283 del 24/10/2007, Pesce, Rv. 238113; Sez. 1, n. 15870 del 11/3/2015, Carpano, Rv. 263320).
Inoltre, secondo un ulteriore filone interpretativo, logicamente collegabile a quest’ultimo orientamento, l’applicazione delle prescrizioni del divieto di partecipazione a pubbliche riunioni non poteva discendere automaticamente dall’applicazione della misura di prevenzione, avendo il giudice l’obbligo di indicare le ragioni per cui la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni si rendesse necessaria, nel singolo caso concreto, in funzione del controllo della pericolosità sociale dell’imputato, al fine di evitare compressioni generalizzate di una libertà fondamentale, oggetto di presidio costituzionale (Sez. 1, n. 49731 del 6/6/2018, Sassano, Rv. 274456; Sez. 6, n. 25771 del 29/5/2019, P., Rv. 276072).
4. Il contrasto indicato è stato composto dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 46595 del 28/3/2019, Acquaviva, Rv. 277007), le quali hanno ritenuto, in primo luogo, che la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni debba essere disposta, in ogni caso, in sede di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, secondo quanto stabilito dall’art. 8, comma 4, d.lgs. n. 159 del 2011, ferma restando la possibilità che il sottoposto sia autorizzato dal tribunale a partecipare alla singola manifestazione e dovendo il giudice, comunque, valutare, alla stregua delle specifiche allegazioni dell’interessato e delle risultanze degli atti, se la partecipazione alla pubblica riunione sia giustificata da validi motivi.
In secondo luogo, e per quanto più specificamente di interesse ai fini della presente decisione, le Sezioni unite hanno, altresì, precisato che la suddetta prescrizione si riferisce esclusivamente alle riunioni «in luogo pubblico», con la conseguente esclusione delle riunioni in luoghi «aperti al pubblico», come, ad esempio, le manifestazioni sportive in luoghi come gli stadi o i palasport, rispetto alle quali, come è stato nel frangente osservato, vige la autonoma normativa dettata dalla legge 13 dicembre 1989, n. 401, che contempla anche la misura di prevenzione del divieto di accesso alle manifestazioni sportive.
4. Nel caso qui in rilievo deve osservarsi che lo stadio “Atleti Azzurri d’Italia” di Bergamo, nel quale si svolgeva l’incontro di presentazione della squadra di calcio “Atalanta”, doveva essere qualificato come «luogo aperto al pubblico».
Infatti, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, si svolge «in luogo pubblico» la riunione che si tenga in un luogo in cui ogni persona può liberamente transitare e trattenersi senza che occorra, in via normale, il permesso dell’Autorità amministrativa (ad es., piazza, strada); mentre è in luogo «aperto al pubblico» la riunione che si tenga in un luogo chiuso (ad es., cinema, teatro), ove l’accesso, anche se subordinato alla disponibilità di un apposito biglietto di ingresso, è consentito a un numero indeterminato di persone; ed è, infine, «privata», la riunione che si tenga in un «luogo chiuso», l’accesso sia limitato a persone già nominativamente determinate (Sez. U, n. 8 del 31/03/1951, Guardigli, Rv. 97110; cfr. altresì per la nozione di «aperto al pubblico» Sez. 3, n. 29586 del 17/2/2017, C., Rv. 270251, relativa ai delitti di tolleranza abituale della prostituzione; Sez. 6, n. 595 del 21/11/2017, dep. 2018, Piccioni, Rv. 271763, concernente il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale; Sez. 5, n. 22890 del 10/4/2013, Ambrosio, Rv. 256949; Sez. 1, n. 16690 del 27/3/2008, Bellachioma, Rv. 240116, concernenti il delitto di porto illegale di armi da fuoco).
Pertanto, il reato contestato non avrebbe dovuto ritenersi integrato, essendo stata la violazione commessa non «in luogo pubblico», ma, appunto, in luogo «aperto al pubblico».
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, senza conseguenze sulle spese, ex art. 616 cod. proc.pen, data la natura della parte ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 20/11/2020.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021.