Sospensione dal servizio e dalla retribuzione per il funzionario che molesta la stagista (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 13 giugno 2022, n. 18992).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25575/2020 proposto da:

(OMISSIS) PASQUALE, rappresentato e difeso dall’avv. FABIO (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Via (OMISSIS) (OMISSIS) 82;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (I.N.P.S.), rappresentato e difeso dagli avv.ti CHERUBINA (OMISSIS) e ANGELO (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato in Roma, via (OMISSIS) 29 presso l’Avvocatura centrale dell’ente

– intimata –

avverso la sentenza n. 112/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 5/5/2020, NRG 876/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO BELLE’.

RITENUTO CHE

1. la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Ravenna di rigetto dell’impugnazione della sanzione disciplinare della sospensione per 30 giorni dal servizio e dalla retribuzione irrogata dall’INPS nei confronti di Pasquale (OMISSIS), per comportamenti inappropriati tenuti dallo stesso nei riguardi di una stagista (richiesta amicizia Facebook e frequente osservazione delle foto sul social network; invito a presentarsi truccata in ufficio; richiesta informazioni sui rapporti con il fidanzato; allusioni varie etc. etc.) nel corso di un periodo svolto presso l’ente di cui il ricorrente era funzionario amministrativo;

2. la Corte d’appello ha escluso che l’ente in sede disciplinare avesse fatto riferimento a molestie sessuali, ritenendo che l’addebito riguardasse invece comportamenti scorretti e lesivi della dignità della persona nei termini previsti dall’art. 1, co. 3„ lett. e del Regolamento di Disciplina e sanzionati dall’art. 2, co. 7, lett. f) con la sospensione dal servizio e dalla retribuzione da undici giorni a sei mesi;

3. la Corte ha affermato che le condotte del (OMISSIS) erano state del tutto gratuite e macroscopicamente estranee ai compiti ed alle responsabilità dell’affiancamento formativo, ravvisando la gravità di esse nella lesione dell’immagine dell’ente e nella giovane età della ragazza;

4. la Corte d’appello ha sottolineato altresì come l’applicazione della sanzione si collocasse decisamente al di sotto della media edittale;

5. la sentenza è stata impugnata da Pasquale (OMISSIS) con sei motivi cui l’INPS ha opposto difese mediante controricorso;

6. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

7. il ricorrente ha depositato memoria con produzione di ulteriori documenti;

CONSIDERATO CHE

1. con il primo motivo Pasquale (OMISSIS) denuncia vizio di motivazione apparente sul punto della non proporzionalità della sanzione irrogata (art. 360 n. 4 c.p.c.), in quanto a suo dire il ragionamento della Corte territoriale in ordine alla collocazione della sanzione al disotto della media sarebbe tale da non consentire di percepire il percorso ed il fondamento motivazionale adottato;

2. si tratta di motivo infondato, in quanto dalla sua stessa formulazione si evince che la motivazione sul punto esisteva, con espresso riferimento alla misura edittale della sanzione e del collocarsi della misura concretamente applicata al di sotto della media;

3. è peraltro di immediata percezione che, nel ragionare in quel modo, la Corte territoriale intendeva valorizzare la proporzionalità ritenuta esistente rispetto all’accaduto, sotto il profilo della scelta di una sanzione (30 giorni di sospensione) che, proprio per il collocarsi «decisamente» al di sotto della media (il minimo era di 11 giorni ed il massimo di 6 mesi) esprimeva il fatto che, pur ricorrendo i presupposti di cui al precetto violato, essi giustificavano, quanto a proporzionalità, una misura non particolarmente elevata rispetto ai margini edittali;

4. con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e\o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c, 2697 c.c., 2106 c.c., L. 604/1966, art. 7 L. 300/1970, art. 55 d. lgs. 165/2001, art. 2 del Regolamento di disciplina ed assume che la sanzione irrogata sarebbe da ritenere incongrua e non proporzionata, tenuto conto del suo curriculum e del non avere egli, in quindici anni di carriera, mai subito procedimenti disciplinari;

5. il terzo motivo assume che la sentenza impugnata andrebbe cassata ai sensi e per gli effetti dell’articolo 360 n. 5 c.p.c., per omesso esame circa un punto decisivo avente ad oggetto il carattere proporzionale della sanzione inflitta;

6. i due motivi possono essere esaminati congiuntamente;

7. va intanto escluso ogni rilievo alla censura — desumibile dal contesto di cui al secondo motivo – in ordine al contenuto motivazionale dell’atto di applicazione della sanzione, in quanto il giudizio in questa sede riguarda il rapporto e dunque la proporzionalità va valutata in concreto e non per quanto in ipotesi argomentato dalla P.A. al momento dell’irrogazione;

8. più in generale i due motivi sono peraltro inammissibili in quanto, a fronte della già menzionata motivazione della Corte territoriale in ordine alla misura della sanzione ed alla proporzionalità (v. supra, punto 3), essi propongono una diversa soluzione di merito, inappropriata rispetto al giudizio di legittimità (C., SU., 34476/2019; C., SU., 24148/2013), senza contare che la censura di cui all’articolo 360 n. 5 c.p.c. concerne l’omesso esame di uno specifico fatto storico e non l’omesso esame (su cui fa leva anche la memoria finale, con riferimento alla proporzionalità) di un punto od una mera insufficienza di motivazione (C., S.U., 8053/2014);

9. il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’articolo 360 n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2697 c.c., art. 1, co. 3, lett. f) del Regolamento di disciplina e dell’articolo 13 del codice di comportamento dei dipendenti INPS, in punto di ritenuta gravità per danno all’immagine;

10. il quinto motivo adduce, ai sensi dell’art. 360 n, 3 c.p.c., ancora la violazione e \ o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2697 c.c., art. 1 lett. e del Regolamento di Disciplina e 13 del Codice di comportamento dei dipendenti INPS, sostenendo che la Corte d’appello non avrebbe spiegato il senso concreto del richiamo da essa operato al concerto di dignità, profilo la cui lesione sta a fondamento del precetto la cui violazione si assume essere avvenuta da parte di Pasquale (OMISSIS);

11. i due motivi, suscettibili di disamina congiunta, vanno disattesi;

12. si può premettere che l’art. 1, co. 3, lett. f), del Regolamento di disciplina dell’ente già citato, prevedeva l’obbligo del dipendente di «mantenere, nei rapporti interpersonali, con gli altri dipendenti e con gli utenti, una condotta corretta, astenendosi da comportamenti lesivi della dignità della persona»;

13. l’art. 2 co. 7 lett. f) del medesimo Regolamento stabiliva la sanzione della sospensione per «comportamenti o molestie, anche di carattere sessuale, di particolare gravità che siano lesivi della dignità della persona»;

14. la Corte territoriale, nella propria valutazione di merito, ha ritenuto che la gravità degli atti lesivi, anche in relazione alla dignità della persona, perseguita dall’art. 2, co. 7, lett. f), derivasse sia dalla lesione dell’immagine dell’ente pubblico, oltreché dalla giovane età delle studentesse coinvolte;

15. rispetto a ciò, anche il motivo in esame propone una sintetica e genericamente differente conclusione in ordine alla valutazione di merito così espressa, ponendosi pertanto al di fuori dei caratteri propri del giudizio di legittimità;

16. è poi del tutto evidente che la giovane età della ragazza interessata dai comportamenti perseguiti e la gratuità, espressamente rilevate nella sentenza impugnata, siano circostanze e caratteristiche in sé tali da individuare condotte lesive della dignità della persona coinvolta, senza che ciò necessiti ulteriori spiegazioni;

17. privo di pregio è poi il rilievo, di cui sempre al quinto motivo e su cui il ricorrente insiste anche nella memoria finale, secondo il quale la norma disciplinare applicata riguarderebbe solo i comportamenti impropri verso altri dipendenti o verso gli utenti;

18. il Regolamento, per come trascritto dal ricorrente vieta infatti i comportamenti impropri tenuti «nei rapporti interpersonali, con gli altri dipendenti e con gli utenti»;

19. la Corte territoriale ha espressamente affermato che al dipendente fosse da assimilare anche lo stagista e tale interpretazione non può essere ritenuta erronea, perché non vi sarebbe ragione alcuna per cui dovessero restare al di fuori dal precetto eventuali comportamenti contrari rispetto alla dignità altrui tenuti nei riguardi di chi frequentasse il medesimo ambiente di lavoro per un percorso formativo e ciò senza contare che la norma fa generico riferimento, comunque, ai rapporti interpersonali, così manifestando la copertura di essa anche rispetto a situazioni non necessariamente da riferire solo a chi sia in senso stretto dipendente od utente;

20. il sesto motivo chiede infine la Cassazione della sentenza per violazione dell’articolo 115 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., con riferimento all’asserito errore di percezione circa le prove testimoniali;

21. il motivo è inammissibile in quanto la sentenza impugnata richiama i passaggi delle deposizioni da cui emergevano le allusioni ed i comportamenti inappropriati perseguiti in via disciplinare (pag. 6 e 7 della sentenza), sicché la censura, facendo riferimento ad altri dati testimoniali, si manifesta ancora una volta come proposizione di una diversa ricostruzione degli esiti istruttori, come detto del tutto inammissibile in questa sede;

22. sono infine inammissibili le produzioni attuate con la memoria difensiva finale;

23. esse riguardano documenti relativi al giudizio di merito, rispetto ai quali è precluso l’ingresso in sede di legittimità, valendo il principio per cui «nel giudizio per cassazione è ammissibile la produzione di documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso, ovvero al maturare di un successivo giudicato, mentre non è consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti dopo la scadenza dei termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ex. art. 395, n. 3, c.p.c.» (C. 17175/2020; C. 4415/2020; C. 18464/2018);

24. d’altra parte, la memoria fa riferimento ad una mancata acquisizione di tali atti nelle fasi di merito, nonostante le richieste avanzate in quella sede dal (OMISSIS) e dunque a specifici profili di censura sull’operato istruttorio, dal punto di vista processuale, di cui non vi è però traccia, sul preciso punto di tale mancata acquisizione, nei motivi di ricorso per cassazione, pacificamente non integrabili con le difese successive (C. 17893/2020; C. 24007/2017), sicché operano pienamente le regole preclusive e di distinguo rispetto ai mezzi di impugnazione esperibili, sopra richiamate;

25. al rigetto del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 21.12.2021.

Depositato in Cancelleria, Roma 13 giugno 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.