Sostanza stupefacente: l’imputato è incensurato e non chiede il beneficio della sospensione. La Corte territoriale non si pronunzia mentre la Cassazione rimette alle Sezioni Unite Penali (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Ordinanza 9 agosto 2018, n. 38398).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAVANI Piero – Presidente –

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere –

Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere –

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

S.F., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 08/05/2017 della CORTE APPELLO di CATANZARO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore TOCCI STEFANO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore, avv. SALVATORE SCIULLO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il sig. S.F. ricorre per l’annullamento della sentenza del 08/05/2017 della Corte di appello di Catanzaro che, in riforma della sentenza del 07/03/2013 del Tribunale di Castrovillari da lui impugnata, ha rideterminato la pena nella misura definitiva di dieci mesi e venti giorni di reclusione e quattromila euro di multa, ha revocato la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici e ha confermato, nel resto, la condanna per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 1-bis, a lui ascritto per aver illecitamente detenuto, a fine di cessione a terzi, 166 grammi di sostanza stupefacente del tipo marijuana; fatto contestato come commesso in (OMISSIS).

1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), l’inosservanza o l’erronea applicazione degli art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 438 c.p.p., artt. 24 e 111 Cost., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 1-bis, e vizio di motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica.

Deduce che, benchè il referto delle analisi della sostanza stupefacente non fosse presente nel fascicolo processuale al momento della richiesta di giudizio abbreviato, il Tribunale ne aveva utilizzato gli esiti.

La Corte di appello ha respinto l’eccezione di nullità della sentenza erroneamente evidenziando che il Giudice ed il PM si erano resi disponibili a fornire le delucidazioni del caso, in realtà – afferma – mai pervenute.

Ne consegue che difetta l’esito delle analisi e pertanto il presupposto ed il fondamento dell’accertamento della natura stupefacente della sostanza sequestrata e del numero delle dosi ricavabili in base al suo principio attivo.

1.2.Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 438 c.p.p., artt. 24 e 111 Cost., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 1-bis, e vizio di motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica.

Deduce che la propria condanna si fonda sul mero dato ponderale della sostanza detenuta e su una motivazione insufficiente ed errata.

In particolare, non si può desumere la finalità della cessione della sostanza dal sol fatto che fosse diretto a Roma dopo averla acquistata a Castrovillari. La Corte di appello non ha considerato l’unica spiegazione alternativa possibile e cioè che, in realtà, l’acquisto a Castrovillari era molto più conveniente e che egli avrebbe consumato la sostanza per sè o magari in compagnia una volta tornato a casa.

Tale lettura alternativa non può essere disattesa in base a considerazioni errate come quella secondo cui sarebbe stato impossibile consumare tutta la sostanza prima che si deteriorasse; in realtà – prosegue il ricorrente – l’utilizzo dilazionato della marijuana non solo è possibile ma anzi il decorrere del tempo ne aumenta l’effetto drogante. Del resto, non vi sono elenchi di potenziali clienti, strumenti per il peso e il confezionamento della sostanza, né denaro illegittimamente acquisito.

1.3. Con il terzo motivo, lamentando la mancata qualificazione del fatto in termini di lieve entità e l’omessa valutazione della propria personalità e della condotta tenuta, eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 125, comma 3, e art. 438 c.p.p., artt. 24 e 111 Cost., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1, 1-bis e artt. 5, 133, 133-bis, 62-bis e 69 c.p., e vizio di motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica sul punto.

1.4. Con il quarto motivo, deducendo di essere totalmente incensurato e lamentando l’omessa motivazione sulla mancata applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 438 c.p.p., artt. 24 e 111 Cost., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 1-bis, e art. 5, artt. 133, 133-bis, 62-bis e 69 c.p., e vizio di motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica sul punto.
Motivi della decisione

2. Il ricorso deve essere rimesso alle Sezioni unite di questa Corte ai sensi dell’art. 618 c.p.p., comma 1.

3. Ai fini della rilevanza della questione controversa posta con l’ultimo motivo, devono essere preliminarmente scrutinati i primi tre.

4. Il primo motivo è generico e manifestamente infondato.

4.1. Si apprende, dalla lettura della sentenza di primo grado, che l’imputato era stato arrestato nella flagranza del reato a lui ascritto e condotto dinanzi al tribunale per la convalida ed il contestuale giudizio direttissimo. Convalidato l’arresto, il difensore aveva chiesto un termine a difesa; alla successiva udienza del 07/03/2013 aveva chiesto il giudizio abbreviato.

4.2. La Corte di appello ha respinto l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado dando atto che i risultati delle analisi della sostanza erano stati trasmessi ed inseriti nel fascicolo del pubblico ministero in data 28/02/2013 (come da timbro di pervenuto apposto sul documento di trasmissione), prima che all’udienza del 07/03/2013 l’imputato chiedesse il giudizio abbreviato.

In ogni caso, prosegue la Corte, risultavano presenti in atti altri verbali di accertamento, relativi alla natura e al peso della sostanza, la cui mancanza l’imputato non aveva mai eccepito e dai quali potevano trarsi gli stessi elementi di giudizio desumibili dal referto di analisi denunciato come mancante al momento della richiesta di abbreviato.

4.3. Il ricorrente, dunque, non si confronta affatto con la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, proponendo al contrario argomenti marginalmente affrontati dalla Corte di appello al solo fine di dare atto dell’esistenza del (peraltro irrituale) carteggio extra-processuale dell’imputato con il Pubblico Ministero e con il primo Giudice in ordine eccepita inesistenza agli atti del referto delle analisi e sulla mancanza di ulteriori seguiti. Ma tali argomenti non hanno alcuna attinenza con il motivo del rigetto dell’eccezione di nullità che è fondato su argomenti (l’infondatezza e la sostanziale irrilevanza dell’eccezione) totalmente negletti in questa sede.

5. Il secondo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge.

5.1. Sarebbe sufficiente evidenziare che lo stesso ricorrente ammette che avrebbe potuto consumare la sostanza “in compagnia una volta tornato nella sua città”.

5.2. In ogni caso, quanto al vizio di motivazione e ai limiti della sua deducibilità in cassazione, devono essere ribaditi i principi più volte affermati da questa Corte secondo i quali:

5.2.1. l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali;

5.2.2. l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794);

5.2.3. La mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicché una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903).

5.3. Orbene, appare evidente il tentativo dell’imputato di fornire una lettura alternativa del medesimo compendio probatorio, abbandonando, peraltro, la gran parte degli argomenti difensivi coltivati in sede di appello e proponendone di nuovi.

I Giudici territoriali hanno ritenuto provata la finalità ad uso non esclusivamente personale della sostanza trasportata argomentando non tanto in base al dato ponderale di per sé, quanto, piuttosto, dal fatto che sarebbe stato impossibile per il ricorrente consumare 738 dosi (tante erano quelle ricavabili dal principio attivo) prima che si esaurissero gli effetti stupefacenti della sostanza.

Tali argomenti, coniugati con il fatto che l’imputato è stato colto nel possesso della sostanza mentre da (OMISSIS) si recava a (OMISSIS), sua città di residenza, rendono non manifestamente illogica la conclusione circa l’uso al quale la sostanza sarebbe stata destinata.

L’imputato, come detto, oppone considerazioni contrarie a massime di esperienza (come quella secondo la quale l’efficacia drogante addirittura aumenterebbe con il passare del tempo, deduzione fattuale mai proposta in precedenza) e comunque non proposte in appello (come la dedotta convenienza dell’acquisto a (OMISSIS)).

5. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

5.1. Osta alla qualificazione del fatto i termini di lieve entità il dato ponderale della sostanza ed il numero elevato di dosi da essa ricavabili.

6. L’ultimo motivo, invece, propone una questione sulla quale esiste un contrasto di giurisprudenza che, a giudizio del Collegio, è rilevante e deve essere risolta dalle Sezioni unite di questa Corte.

6.1. In punto di fatto è opportuno evidenziare che l’imputato, previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche, era stato condannato in primo grado alla pena di tre anni di reclusione.

6.2. L’appello fu depositato il 21/03/2013.

6.3. Sia la sentenza di primo grado che l’atto di appello sono precedenti all’intervento demolitivo-ripristinarorio della Corte costituzionale che, con la nota sentenza n. 32 del 2014, ha ripristinato la vigenza del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (e i relativi limiti edittali di pena, differenziati per tipologia di sostanza) nel testo antecedente alle modifiche introdotte con il D.L. n. 272 del 2005, art. 4-bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 49 del 2006.

6.4. Premessa la assoluta genericità delle censure relative alla quantificazione della pena, resta il fatto che la Corte di appello, che l’ha sensibilmente ridotta in applicazione dei nuovi e ben più favorevoli limiti edittali, collocandola al di sotto della soglia indicata dall’art. 164 c.p., non ha indicato le ragioni per le quali non ha ritenuto di applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena.

6.5. Vero è che né in sede di appello, né in sede di discussione orale, l’imputato aveva chiesto l’applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, tuttavia l’art. 597 c.p.p., u.c., attribuisce alla Corte di appello il potere di applicare d’ufficio il beneficio.

6.6. Il contrasto di giurisprudenza verte proprio sull’esistenza dell’obbligo del giudice dell’appello di motivare comunque la mancata applicazione d’ufficio del beneficio della sospensione condizionale della pena, obbligo la cui violazione il ricorrente censura in maniera specifica.

6.7. Secondo un indirizzo, il giudice d’appello non è tenuto a concedere d’ufficio la sospensione condizionale della pena nè a motivare specificamente sul punto, quando l’interessato si limiti, nell’atto di impugnazione e in sede di discussione, ad un generico e assertivo richiamo dei benefici di legge, senza indicare alcun elemento di fatto astrattamente idoneo a fondare l’accoglimento della richiesta (Sez. 7, n. 16746 del 13/01/2015, Ciaccia, Rv. 263361; Sez. 4, n. 1513 del 03/12/2013, Shehi, Rv. 258487; Sez. 4, n. 43113 del 18/09/2012, Siekierska, Rv. 253641; Sez. 6, n. 30201 del 27/06/2011, Ferrante, Rv. 256560; Sez. 6, n. 7960 del 26/01/2004, Calluso, Rv. 228468 e Sez. 5, n. 41126 del 24/09/2001, Casamassima, Rv. 220254, in tema, analogo, di circostanze attenuanti generiche; Sez. 5, n. 496 del 17/11/1998, Bonotti, Rv. 212152; Sez. 5, n. 1099 del 26/11/1997, Pirri, Rv. 209683).

6.8. Un diverso indirizzo sostiene, invece, che il giudice d’appello deve, sia pure sinteticamente, dare ragione del concreto esercizio, positivo o negativo, del potere-dovere attribuitogli dall’art. 597 c.p.p., comma 5, qualora ricorrano le condizioni previste dalla legge per l’applicazione della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, tanto più quando una delle parti (anche il pubblico ministero nell’interesse dell’imputato) ne abbia fatto esplicita richiesta, con riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all’accoglimento della richiesta stessa.

Ne consegue che sussistono la legittimazione e l’interesse dell’imputato a dolersi, in sede di legittimità, del mancato esercizio di tale potere-dovere da parte del giudice d’appello, purché siano indicati dal ricorrente gli elementi di fatto in base ai quali il giudice avrebbe potuto ragionevolmente e fondatamente esercitarlo (Sez. 3, n. 47828 del 12/10/2017, Rv. 271815; Sez. 3, n. 3856 del 04/11/2015, Rv. 266138; Sez. 5, n. 2094 del 23/10/2009, Coluccio, Rv. 245924; Sez. 5, n. 37461 del 20/09/2005, Zoffoli, Rv. 232323; Sez. 6, n. 32966 del 13/07/2001, Colbertardo, Rv. 220729).

6.9. I due indirizzi convergono sulla necessità della astratta sussistenza delle condizioni di applicazione della sospensione condizionale della pena e, dunque, in buona sostanza sulla sussistenza del concreto interesse dell’imputato a lamentarsi dell’omessa motivazione; ove tali condizioni non sussistono (e comunque non vengono nemmeno dedotte in sede di legittimità), il giudice dell’appello non è tenuto a giustificare l’omesso esercizio delle prerogative che l’art. 597 c.p.p., u.c., gli assegna d’ufficio.

Al contrario, se le condizioni per la astratta applicazione del beneficio sussistono, è comunque necessario, secondo alcune pronunce, l’impulso proveniente dall’imputato ai fini dell’esercizio del potere di applicare d’ufficio la sospensione condizionale della pena, con conseguente obbligo di motivare la decisione solo in presenza della richiesta dell’imputato stesso; secondo altre, invece, tale impulso non è richiesto sicchè il giudice dell’appello è obbligato a motivare comunque le ragioni della propria decisione, qualunque essa sia.

6.10. Nel caso di specie, le condizioni astratte per l’applicazione della sospensione della pena sussistono, in considerazione dell’entità della pena applicata, della sua determinazione in corrispondenza del minimo edittale e della applicazione delle circostanze attenuanti generiche, della dedotta assenza di precedenti.

6.11. Di qui la rilevanza della questione che può essere così compendiata: “se il giudice dell’appello deve rendere conto del concreto esercizio, positivo o negativo, del dovere attribuitogli dall’art. 597 c.p.p., comma 5, di applicare d’ufficio il beneficio della sospensione condizionale della pena in assenza di specifica richiesta”.

P.Q.M. 

Rimette il ricorso alle Sezioni Unite Penali.

Così deciso in Roma, il giorno 17 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il giorno 9 agosto 2018.