Sottotenente dei CC a seguito di sanzione disciplinare perde il grado. Il TAR conferma. Il Consiglio di Stato annulla (Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza 13 febbraio 2020, n. 1136).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

con l’intervento dei magistrati:

Dott. Luigi Maruotti, Presidente

Dott. Daniela Di Carlo, Consigliere

Dott. Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Dott. Alessandro Verrico, Consigliere

Dott. Roberto Caponigro, Consigliere, Estensore

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4046 del 2017, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Franco Fiorenza, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonio Salamone, in Roma, via Fratelli Bonnet, n. 27;

contro

il Ministero della Difesa, il Comando Generale dell’Arma Carabinieri, la Legione Carabinieri Emilia Romagna, Bologna, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per l’Emilia Romagna, Sede di Bologna, n. -OMISSIS-.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa, del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e del Comando Legione Carabinieri Emilia Romagna, Bologna;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2019 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti l’avvocato Vincenzo Cellamare, su delega dichiarata dell’avvocato Franco Fiorenza, e l’avvocato dello Stato Verdiana Fedeli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il Ministero della Difesa, con decreto del 1° agosto 2014, ha disposto nei confronti dell’appellante, Sottotenente dell’Arma dei Carabinieri della riserva, la sanzione della “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”, ai sensi dell’art. 861, comma primo, lettera d), del d.lgs. n. 66 del 2010, e, per l’effetto, lo ha iscritto d’ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell’Esercito italiano, senza alcun grado, ai sensi dell’art. 861, comma quarto, del richiamato decreto legislativo n. 66 del 2010.

Il T.a.r. per l’Emilia Romagna, Sede di Bologna, Sezione Prima, ha respinto il ricorso proposto dall’interessato.

Di talché, l’interessato, avverso tale sentenza, ha interposto il presente appello, articolato nei seguenti motivi:

I. Erroneità ed ingiustizia della sentenza impugnata per violazione dell’art. 71, co. 5, del codice del processo amministrativo, per non avere il giudice di prime cure comunicato il decreto di fissazione dell’udienza di discussione del ricorso ad entrambi i suoi difensori costituiti nel giudizio di primo grado, con conseguente remissione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105 del c.p.a., nonché in via di subordine, nel caso in cui si ritenga sufficiente la trasmissione dell’avviso di fissazione di udienza al solo difensore domiciliatario, questione di legittimità costituzionale sulla compatibilità dell’interpretazione dell’art. 71. Comma 5, del c.p.a. e dell’art. 136, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2010 con gli artt. 3, 24 e 117 della Costituzione, nonché con gli artt. 6 (diritto ad un equo processo) e 7 (principio del nulla poena sine lege e senza processo) della CEDU.

II. Erroneità del capo della sentenza impugnata per violazione di legge in relazione all’art. 1357, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 66 del 2010 e conseguente violazione dei principi costituzionali a tutela del giusto processo e del diritto di difesa (artt. 24 e 111) nonché degli artt. 6 e 7 della CEDU sotto altro profilo nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 861, co. 1, lett. d) ed e) dell’ordinamento militare, con conseguente illegittimità del provvedimento censurato in prime cure per eccesso di potere derivante dal difetto di proporzione della sanzione inflitta rispetto ai fatti disciplinarmente rilevanti accertati dalla Commissione di disciplina. Violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 653 c.p.p. e dell’art. 135 del d.lgs. n. 66 del 2010. Insufficienza e carenza dell’attività istruttoria e falsa presupposto di fatto alla base della sanzione adottata. Carenza di motivazione nonché violazione del principio di carattere costituzionale della autonomia della potestà disciplinare rispetto al magistero penale.

III. Erroneità della decisione di prime cure e del provvedimento impugnato per violazione di legge in relazione al superamento dei termini di durata del procedimento disciplinare stabiliti dall’art. 1392 del d.lgs. n. 66 del 2010 e dell’art. 1034 del d.P.R. n. 90 del 2010. In via di subordine, questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. (diritto di difesa) nonché degli artt. 6 e 7 della CEDU, laddove la norma venga interpretata come diretta a computare i termini massimi di durata del procedimento disciplinare come decorrenti non dalla pronuncia della decisione, ma dal momento della loro effettiva conoscenza da parte dell’organo disciplinare.

IV. Erroneità della sentenza impugnata e dei provvedimenti censurati per violazione di legge in relazione all’art. 867 del d.lgs. n. 66 del 2010 ed incompetenza dell’organo che ha adottato l’atto.

V. Erroneità della decisione impugnata e dei provvedimenti censurati per violazione di legge ed eccesso di potere nella forma sintomatica dello sviamento e della contraddittorietà per perplessità alla luce del combinato disposto degli artt. 861, co. 1, lett. d) ed e), 865 e 866 del d.lgs. n. 66 del 2010.

VI. Erroneità della sentenza impugnata ed illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di legge in relazione agli artt. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990. Difetto di motivazione derivante, in particolare, dalla frattura intercorsa fra le risultanze degli atti del procedimento penale e la motivazione del provvedimento disciplinare. Violazione di legge in relazione all’art. 1370, co. 1, del codice dell’ordinamento militare. Violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990.

VII. Erroneità della sentenza impugnata e dei provvedimenti censurati per violazione di legge in relazione all’art. 1389 e all’art. 1357 del d.lgs. n. 66 del 2010. Travisamento dei fatti acquisiti al procedimento ed eccesso di potere per ingiustizia manifesta.

VIII. Erroneità della sentenza impugnata e del provvedimento censurato per violazione degli artt. 1386 e 1387 del d.lgs. n. 66 del 2010, nonché violazione del principio di difesa ex artt. 3 e 24 Cost. e degli artt. 6 e 7 CEDU.

IX. Erroneità della decisione impugnata e dei provvedimenti censurati conseguenti alla inesatta composizione della Commissione di disciplina ed illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di legge in relazione agli artt. 1382, 1384 e 1386, sotto diverso profilo, del d.lgs. n. 66 del 2010. Sotto diverso profilo, violazione del diritto di difesa ex artt. 3 e 24 Cost. e del principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost.

X. Erroneità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio del giusto processo ex art. 111 Cost., nonché degli artt. 6 e 7 CEDU, derivante dalla mancata pronuncia sul nono motivo di ricorso originario afferente alla carenza di potere in concreto dell’Amministrazione militare di applicare la sanzione disciplinare ad un soggetto in stato di congedo. Violazione di legge ed eccesso di potere nelle forme della disparità di trattamento ed ingiustizia manifesta.

XI. Erroneità della decisione impugnata e dei provvedimenti censurati per violazione del diritto di difesa ex artt. 3 e 24 Cost. e del principio del giusto procedimento, nonché violazione degli artt. 1387 e 1388 del codice dell’ordinamento militare. Questione di legittimità costituzionale. Violazione dei principi del giusto procedimento di cui all’art. 111 Cost. e del diritto al giusto processo di cui alla convenzione CEDU e violazione di legge in relazione all’art. 1370 del d.lgs. n. 66 del 2010.

Il Ministero della Difesa ha contestato la fondatezza delle censure dedotte ed ha concluso per il rigetto del gravame.

All’udienza pubblica del 19 dicembre 2019, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. La prima doglianza, con cui l’appellante ha prioritariamente dedotto la mancata comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza di discussione del ricorso ad entrambi i difensori costituiti nel giudizio di primo grado, chiedendo la conseguente remissione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105 c.p.a., non può essere condivisa.

Infatti, nel caso di specie, l’interessato, con procura speciale, ha conferito in primo grado il potere di rappresentanza ai due difensori sia congiuntamente che disgiuntamente.

La giurisprudenza ha chiarito che, in presenza di più difensori, quando il mandato è disgiunto, la comunicazione effettuata ad uno solo di essi ha validità ed efficacia nei confronti dell’intero collegio difensivo (cfr. ordinanze Cons. Stato, IV, nn. 1628, 1629, 1630 e 1631 dell’11 marzo 2019; Cons. Stato, IV, 3 ottobre 2017, n. 4592).

In altri termini, quando la rappresentanza sia conferita in modo disgiunto, così come ciascuno dei difensori nominati ha una piena investitura di poteri attivi di rappresentanza processuale, il medesimo legale deve essere ritenuto, correlativamente, titolare di una piena rappresentanza anche passiva, essendo quindi di regola sufficiente che una comunicazione giunga ad uno solo dei difensori, diversamente da quanto varrebbe in caso di mandato congiunto, ai fini del perfezionamento dei suoi effetti (cfr. sentenza Cons. Stato, V, 16 gennaio 2012, n. 139).

La relativa questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata, in quanto non è ravvisabile alcuna lesione del diritto di difesa e del giusto processo, ed è comunque irrilevante, poiché, come esplicitato nei successivi passaggi della presente sentenza, l’appello è fondato.

3. L’appello è fondato in quanto, assorbite le ulteriori doglianze, si rivelano persuasive le censure di carenza di istruttoria, difetto di motivazione e sproporzione della sanzione irrogata.

L’art. 1357 del codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66 del 2010) indica che le sanzioni disciplinari di stato sono:

– la sospensione disciplinare dall’impiego per un periodo da uno a dodici mesi;

– la sospensione disciplinare dalle funzioni del grado per un periodo da uno a dodici mesi;

– la cessazione dalla ferma o dalla rafferma per grave mancanza disciplinare o grave inadempienza ai doveri del militare;

– la perdita del grado per rimozione.

L’impugnato provvedimento di perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari è stato adottato con la seguente motivazione:

“Ufficiale in congedo dell’Arma dei Carabinieri, in Bologna, tra il novembre 2003 e gennaio 2005, già collocato nella categoria della riserva, coadiuvava stabilmente il titolare di un’agenzia di pratiche in materia di immigrazione, reclutando imprenditori disponibili a fornire false attestazioni di assunzione di lavoratori stranieri.

L’indebita condotta, evidenziata anche in sede penale, è da ritenersi biasimevole sotto l’aspetto disciplinare, in quanto gravemente contraria al principio di rettitudine che deve improntare l’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato e a quelli di correttezza ed esemplarità propri dello status di militare e di appartenente all’Arma dei Carabinieri, anche se in congedo, nonché lesivo del prestigio dell’Istituzione. I fatti disciplinarmente accertati sono di rilevanza tale da richiedere l’applicazione della massima sanzione disciplinare di stato”.

Il provvedimento, nelle premesse, tra l’altro, ha fatto riferimento alle seguenti circostanze:

– la sentenza n. -OMISSIS-del 31 gennaio 2008, con la quale il Tribunale di Bologna – Sezione dei Giudici per le Indagini Preliminari – ha condannato il militare interessato alla pena di mesi 10 e giorni 20 di reclusione per “associazione per delinquere” finalizzata alla “truffa ed al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, assolvendolo dal solo capo di imputazione sub b, “per non avere commesso il fatto”;

– la sentenza n. -OMISSIS-dell’11 luglio 2013, irrevocabile dal 5 novembre 2013, con la quale la Corte d’Appello di Bologna ha dichiarato il reato ascritto all’inquisito estinto per prescrizione;

– gli atti dell’inchiesta formale e la relazione finale dell’Ufficiale inquirente, il quale ha ritenuto fondati gli addebiti disciplinari contestati;

– la Commissione di disciplina, nella seduta del 15 luglio 2014, ha espresso il giudizio che il militare interessato fosse “non meritevole di conservare il grado”.

La sentenza appellata, sulla proporzione della sanzione, ha così statuito:

La grave sanzione disciplinare della “perdita del grado” irrogata al ricorrente, risulta infatti del tutto proporzionata agli altrettanto gravi fatti emersi sia dall’indagine penale e dalle conseguenti condanne emesse dal G.U.P. presso il Tribunale di Bologna e dalla Corte di Appello di Bologna, sia dalla necessaria ed autonoma valutazione degli stessi fatti – oggettivamente rilevanti anche in sede disciplinare – compiuta dall’Autorità inquirente nella fase istruttoria del relativo iter procedimentale.

Tali fatti possono essere sintetizzati nella accertata, stabile collaborazione fornita dal ricorrente con il titolare di un’agenzia di pratiche in materia di immigrazione, per reclutare imprenditori disponibili a fornire false attestazioni di assunzione di lavoratori stranieri.

Il Tribunale ritiene che la suddetta condotta sia oggettivamente grave e sia, altresì certamente riconducibile a quei comportamenti idonei a condizionare l’esercizio delle funzioni svolte dall’Ufficiale dei Carabinieri e, quindi, a screditare l’immagine stessa dell’Arma e a fare venire meno nella cittadinanza, quell’atteggiamento di stima e fiducia che essa ripone nei confronti degli appartenenti all’Arma.

Il Collegio ritiene, al riguardo, di dovere ribadire che le valutazioni espresse dall’amministrazione pubblica procedente in sede di procedimento disciplinare a carico di un pubblico dipendente, siano dotate di ampia discrezionalità, con la conseguenza che il sindacato del giudice amministrativo riguardo a dette valutazioni che hanno condotto all’irrogazione di una determinata sanzione disciplinare è consentito solo qualora l’operato dell’amministrazione procedente sia viziato da palese irragionevolezza o da evidente travisamento dei fatti; il che, per le ragioni dianzi evidenziate, non è accaduto nel caso in esame.

Sotto diverso angolo di visuale, la censura si palesa quale inammissibile, nelle parti di essa che risultano univocamente dirette a sostituire alla sanzione disciplinare irrogata dall’amministrazione, una meno grave sanzione, tra quelle previste dall’ordinamento militare, sulla base di una propria, personale valutazione di corrispondenza e proporzionalità della misura sanzionatoria rispetto alla condotta del ricorrente come sopra esposta in sintesi (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 5 giugno 2015 n. 2791).

Ora, non sussiste dubbio sul fatto che la sentenza penale definitiva di non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione non osta all’avvio del procedimento disciplinare, né osta all’applicazione di una sanzione disciplinare, poiché tale preclusione sussiste nella sola ipotesi di identità materiale tra fatto penale e fatto disciplinare sanzionato, quando la sentenza di proscioglimento sia emessa perché il fatto non sussiste ovvero l’imputato non lo ha commesso.

La giurisprudenza amministrativa, infatti, ha chiarito che la pubblica amministrazione può legittimamente promuovere un procedimento disciplinare contestando al pubblico dipendente la condotta fatta oggetto dell’imputazione nel processo penale conclusosi con sentenza irrevocabile di non luogo a procedere in ordine al reato ascritto, perché estinto per prescrizione, e applicare la sanzione disciplinare sulla base di autonomi elementi di valutazione tratti da tutti gli atti formati ed acquisiti nell’ambito del procedimento penale (Consiglio di Stato, sez. IV, 20 ottobre 2016, n. 4381).

Pertanto, gli accertamenti effettuati in sede di procedimento penale sfociato nel proscioglimento dell’imputato per prescrizione del reato possono senz’altro essere utilizzati in sede disciplinare, fermo restando che l’Amministrazione procedente è tenuta a procedere ad una autonoma valutazione degli stessi.

In altri termini, in tali casi, la sanzione disciplinare è legittimamente irrogata all’esito di una autonoma e necessaria rivalutazione, al fine di accertarne il rilievo disciplinare, dei fatti che hanno costituito oggetto del giudizio penale.

Nella fattispecie in esame, tuttavia, le risultanze cui è giunto l’Ufficiale inquirente nella relazione finale del 27 marzo 2014, in qualche modo contraddittori, sono in contrasto con la sanzione irrogata e non hanno costituito oggetto di esame in sede di Commissione di disciplina, che ha proposto la sanzione della perdita del grado per rimozione, né nel provvedimento di rimozione, che reca un acritico riferimento agli atti endoprocedimentali.

L’Ufficiale inquirente, pur dando atto che “gli addebiti contestati all’inquisito sono risultati fondati” ha concluso così la sua relazione:

Dalla lettura in sistema delle sentenze emesse dai Giudici felsinei, con la memoria difensiva proposta dall’inquisito, emergono elementi dai quali si evince la superficialità nel proporsi ad un soggetto, pur nella buona fede di aiutare un ex appartenente all’Arma, di cui comunque non aveva più avuto notizie né cognizione delle attività svolte dallo stesso. Agire che l’inquisito ha posto in essere con un minor senso di responsabilità, interpretando in maniera equivoca il vecchio statuto dell’ANC che prevedeva altresì di “interessarsi al fine di procurare lavoro o impiego ai soci disoccupati”, in nome di quel senso di appartenenza al corpo e di solidarietà, non disgiunto dalla comunanza di intenti, che da sempre contraddistingue l’Arma, che si considera una grande famiglia nel mantenere sempre vivo lo spirito di corpo e la vicinanza tra i carabinieri sia in servizio che in congedo.

L’inquisito avrebbe dovuto dunque porre maggiore cautela nell’offrire il proprio aiuto nell’intrattenere rapporti con una persona, di fatto, sconosciuta, della quale non era a conoscenza della liceità delle attività svolte”.

In definitiva, ciò che l’ufficiale inquirente ritiene debba essere posto a carico dell’inquisito – pur nella “buona fede” di quest’ultimo di aiutare un ex appartenente all’Arma – è la superficialità dell’atteggiamento di disponibilità, il quale avrebbe dovuto essere improntato a maggiore cautela.

Di talché, è evidente come, a seguito dell’inchiesta formale, sebbene abbia affermato che gli addebiti contestati sono risultati fondati, la valutazione dei fatti operata dall’Ufficiale inquirente sia stata decisamente difforme dal contenuto dagli addebiti contestati all’interessato.

Gli addebiti contestati sono i seguenti:

Ufficiale in congedo dell’Arma dei Carabinieri, tra novembre 2003 e gennaio 2005, già collocato nella categoria della riserva, coadiuvava stabilmente il titolare di un’agenzia di pratiche in materia di immigrazione, reclutando imprenditori disponibili a fornire false attestazioni di assunzione di lavoratori stranieri.

Sottoposto a procedimento penale, il GUP del Tribunale Ordinario di Bologna, con sentenza n. -OMISSIS-del 31 gennaio 2008, lo condannava alla pena di 10 mesi e 20 giorni di reclusione per “associazione per delinquere” finalizzata alla “truffa” e al “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.

A seguito di gravame proposto dall’interessato, la Corte di Appello di Bologna, con sentenza n. -OMISSIS-dell’11 luglio 2013 – divenuta irrevocabile il 5 novembre 2013 e acquisita in copia conforme il 28 novembre successivo – dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’Ufficiale per “prescrizione” del reato di “associazione per delinquere”. In particolare, non ravvisando i presupposti per una pronuncia nel merito più favorevole, il Giudice di Appello statuiva che “ex carabiniere” ha avuto “la funzione di reperimento di compiacenti datori di lavoro, ricevendo denaro o rimanendo in contatto frequente e documentato” con il promotore del sodalizio criminoso.

L’indebita condotta appare censurabile sotto l’aspetto disciplinare, in quanto gravemente contraria al giuramento prestato, lesiva del prestigio dell’Istituzione e non consona ai doveri e alla dignità del grado rivestito dall’interessato, di cui agli artt. 712, 713 e 732 del D.P.R. 15 marzo 2010, n. 90”.

Se tale addebito fosse stato confermato in sede di inchiesta formale, la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione sarebbe stata immune dal dedotto vizio di sproporzione.

Diversamente, le richiamate conclusioni svolte dall’Ufficiale inquirente hanno ridotto in maniera drastica la rilevanza disciplinare della condotta dell’interessato, confinandola, come detto, nell’alveo della superficialità e della mancanza di cautela, e, riconoscendo la buona fede, escludendo in sostanza il dato più significativo, vale a dire il ricevimento di denaro e lo svolgimento di una stabile funzione di reperimento di compiacenti datori di lavoro.

La evidenziata tenuità della condotta tenuta dall’interessato, come risultante all’esito dell’inchiesta formale, non emerge in alcun modo dal verbale della seduta della Commissione di disciplina in data 15 luglio 2014, in cui il giudizio della Commissione è stato “Il Sottotenente – in congedo – nella riserva non è meritevole di mantenere il grado”.

Il provvedimento di destituzione, infine, ha richiamato gli atti dell’inchiesta formale e la relazione finale dell’Ufficiale inquirente, specificando che quest’ultimo “ha ritenuto fondati gli addebiti disciplinari contestati”, ma non ha valutato che, se è vero che nella relazione finale dell’inchiesta formale la condotta dell’interessato è stata ritenuta non immune da rilievi disciplinari, è altrettanto vero che le conclusioni cui è giunto l’Ufficiale inquirente sono molto diverse e meno severe di quelle oggetto della contestazione degli addebiti, essendosi l’inquirente limitato ad evidenziare, nella “buona fede” dell’inquisito, la superficialità e la mancanza di cautela del suo comportamento.

In definitiva, il provvedimento impugnato, nella propria motivazione, giunge ad affermare che l’interessato “coadiuvava stabilmente il titolare di un’agenzia di pratiche in materia di immigrazione, reclutando imprenditori disponibili a fornire false attestazioni di assunzione di lavoratori stranieri”, ma tale circostanza non risulta emergere nelle conclusioni dell’inchiesta formale svolta.

Di talché, devono ritenersi fondate le dedotte censure di sproporzione, difetto di istruttoria e carenza di motivazione, le quali, assorbite le ulteriori doglianze, determinano l’accoglimento dell’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento del ricorso di primo grado con conseguente annullamento del provvedimento di perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, salvi gli ulteriori provvedimenti ai sensi dell’art. 119 del testo unico, approvato con il d.P.R.. n. 3 del 1957.

4. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico dell’Amministrazione appellata ed a favore dell’appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe (R.G. n. 4046 del 2017) e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla il provvedimento sanzionatorio del 1° agosto 2014, salvi gli ulteriori provvedimenti.

Condanna il Ministero della Difesa al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate complessivamente in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, in favore dell’appellante.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d. lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020.

SENTENZA