Studenti segnalano l’inadeguatezza all’insegnamento della loro Prof. Il dirigente scolastico la mette a riposo (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, Sentenza 1 marzo 2022, n. 6742).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 38460-2019 proposto da:

(OMISSIS) ROSA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) (OMISSIS) n. 10/A, presso lo studio dell’avvocato MARINA (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati STEFANO (OMISSIS), ANNAMARIA (OMISSIS) e DOMENICO (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

nonché contro

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER LA LOMBARDIA, ISTITUTO D’ISTRUZIONE SUPERIORE STATALE “MARTIN LUTHER KING” DI MUGGIÒ (MB);

– intimati –

avverso la sentenza n. 349/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 20/06/2019 R.G.N. 294/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/12/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA visto l’art. 23, comma 8 bis del D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Milano ha respinto l’appello di Rosa (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale di Monza che aveva rigettato la domanda, proposta nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia nonché dell’Istituto Superiore d’Istruzione Statale “Martin Luther King”, volta ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento con il quale era stata disposta dal Dirigente Scolastico la dispensa dal servizio ex art. 512 del d.lgs. n. 297/1994 e la conseguente condanna alla reintegrazione ed al risarcimento dei danni.

2. La Corte territoriale, premesso che l’appellante, docente di lingua inglese, era stata dispensata all’esito di accertamenti ispettivi richiamati nella motivazione della sentenza del Tribunale, ha ritenuto che:

a) correttamente il provvedimento era stato adottato dal dirigente dell’istituzione scolastica;

b) la dispensa dal servizio prescinde da responsabilità del dipendente e si fonda su ragioni oggettive, ossia sulla perdita dell’attitudine all’esercizio della funzione docente, sicché non trovano applicazione i principi che regolano l’accertamento della responsabilità disciplinare;

c) le indagini ispettive, all’esito delle quali era emersa l’incapacità dell’insegnante, erano state sollecitate dai rappresentanti di cinque diverse classi ed avevano tenuto conto di molteplici dati, tutti orientati nel senso dell’inidoneità della (OMISSIS).

3. Per la cassazione della sentenza Rosa (OMISSIS) ha proposto ricorso sulla base di tre motivi, illustrati da memoria ex art. 378 cod. proc. civ., ai quali ha resistito con controricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca mentre sono rimasti intimati l’Ufficio Scolastico e l’Istituto “Martin Luther King”.

4. La Procura Generale ha concluso ex art. 23, comma 8 bis del d.l. n. 137/2020, convertito in legge n. 176/2020, per l’infondatezza del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, articolato in più punti, la ricorrente denuncia, ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., «omessa motivazione su fatti decisivi della controversia», nonché, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione degli artt. 512 e 514 del d.lgs. n. 297/1994.

Sostiene, in sintesi, che la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciare sul motivo di appello con il quale era stato dedotto che, in ragione delle condizioni psicofisiche della docente, il dirigente scolastico avrebbe dovuto attivare la procedura prevista dal richiamato art. 514, atteso che erano trascorsi cinque anni dal precedente accertamento.

Nell’omessa attivazione della procedura di verifica dell’idoneità psico-fisica ravvisa la violazione delle norme richiamate in rubrica e sottolinea che anche la relazione ispettiva non aveva escluso la possibilità di utilizzare l’insegnante in mansioni diverse.

2. La seconda censura addebita alla sentenza gravata la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto sotto altro profilo: violazione del diritto di contraddittorio e difesa del lavoratore e delle garanzie procedimentali».

Rileva la ricorrente che, sebbene il procedimento di dispensa dal servizio non preveda l’audizione del lavoratore, tuttavia la Corte territoriale avrebbe dovuto fornire delle norme un’interpretazione costituzionalmente orientata al rispetto del principio del contraddittorio e, di conseguenza, ritenere applicabili le disposizioni che regolano il procedimento disciplinare.

3. In via subordinata, con il terzo motivo, Rosa (OMISSIS) denuncia, ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., «omesso esame della questione di legittimità costituzionale art. 25, commi 2 e seguenti e 55 quater d.lgs. n. 165/2001 e s.m.i., in parte qua, in relazione agli artt. 3, 4, 35, 97 Cost.» nella parte in cui, rispettivamente, attribuiscono al dirigente scolastico il potere di dispensa e non estendono l’applicazione delle norme in tema di licenziamento disciplinare anche al provvedimento che qui viene in rilievo.

Richiama al riguardo la giurisprudenza costituzionale sul divieto di misure espulsive automatiche e sostiene che la garanzia del contraddittorio deve essere assicurata ogniqualvolta l’amministrazione decida di risolvere il rapporto di impiego.

4. Il primo motivo è inammissibile nella parte in cui denuncia vizi motivazionali della sentenza impugnata ed è per il resto infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 34476/2019 hanno riassunto i principi, ormai consolidati, affermati in relazione alla riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. ad opera del d.l. n. 83/2012 e, rinviando a Cass. S.U. n. 8053/2014, Cass. S.U. n. 9558/2018, Cass. S.U. n. 33679/2018, hanno evidenziato che:

a) il novellato testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo;

b) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

c) neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma;

d) nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;

e) tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione.

Quest’ultimo vizio, non riconducibile al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., va denunciato ai sensi del combinato disposto degli artt. 132 e 360 n. 4 cod. proc. civ. ed è ravvisabile solo qualora la carenza o la contraddittorietà siano tali da indurre la mancanza di un requisito essenziale della decisione.

4.1. Nella fattispecie, anche a voler ritenere non vincolante la formulazione della rubrica, la critica mossa alla sentenza impugnata non è sussumibile in alcuno dei due vizi in rilievo, perché il fatto storico del quale si lamenta la mancata considerazione, ossia le condizioni di salute della ricorrente che avrebbero dovuto indurre l’Amministrazione ad attivare la procedura di accertamento dell’idoneità psicofisica, è stato apprezzato dalla Corte territoriale, come si desume dal richiamo, riportato a pag. 4 della motivazione, al giudizio di idoneità che era stato espresso all’esito dell’intervento chirurgico di rimozione di un meningioma cerebrale.

Il giudice d’appello, inoltre, anche attraverso il rinvio per relationem alla sentenza di primo grado, del quale ha riportato i passaggi argomentativi, ha dato ampio conto delle ragioni per le quali il provvedimento di dispensa dal servizio per incapacità didattica era stato legittimamente adottato dall’Amministrazione, all’esito di accurati accertamenti ispettivi, richiesti dal dirigente scolastico su sollecitazione dei rappresentanti degli alunni di cinque diverse classi.

4.2. L’asserito omesso esame degli argomenti sviluppati in appello sulla doverosità dell’attivazione del procedimento volto ad accertare l’idoneità fisica all’insegnamento non riguarda un fatto storico e, se mai, potrebbe integrare un’omessa pronuncia su motivo di gravame, la cui denuncia è da ritenere inammissibile perché il ricorso non è formulato nei termini indicati da Cass. S.U. n. 17931/2013 in quanto non richiama l’art. 112 cod. proc. civ. né fa cenno alla nullità derivata dalla violazione del principio di necessaria corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato.

5. Non sussiste la denunciata violazione degli artt. 512 e 514 del d.lgs. n. 297/1994.

Il citato art. 512, della cui vigenza, anche all’esito dell’entrata in vigore del d.lgs. n 165/2001, questa Corte non ha mai dubitato (Cass. n. 9129/2008; Cass. n. 10438/2012; Cass. n. 196/2019), nel disporre che «il personale di cui al presente titolo, è dispensato dal servizio per inidoneità fisica o incapacità o persistente insufficiente rendimento», prevede tre distinte fattispecie di risoluzione del rapporto che, seppure accomunate dall’essere tutte riconducibili all’istituto della dispensa, non sono sovrapponibili quanto alle cause che legittimano l’esercizio del potere da parte dell’amministrazione scolastica, potere non dissimile da quello previsto per l’impiego pubblico non contrattualizzato dall’art. 129 del d.P.R. n. 3/1957.

L’inidoneità fisica, infatti, presuppone l’impossibilità, assoluta o relativa, allo svolgimento delle mansioni, derivante dalle condizioni di salute psico-fisica dell’impiegato, mentre l’incapacità didattica, che rende il docente non idoneo alla funzione, consiste nell’inettitudine assoluta e permanente a svolgere le mansioni inerenti l’insegnamento, inettitudine che deriva da deficienze obiettive, comportamentali, intellettive o culturali, che solo come conseguenza inducono prestazioni insoddisfacenti.

Lo scarso rendimento, infine, si configura qualora quello stesso effetto venga prodotto, non da un’oggettiva assenza di capacità, bensì da insufficiente impegno o dalla violazione dei doveri di ufficio.

5.1. Solo per quest’ultima ipotesi, che qui non ricorre, potrebbe porsi una questione di compatibilità della normativa dettata dal d.lgs. n. 297/1994 con i principi che regolano il procedimento disciplinare, non già per l’incapacità didattica che, come da tempo evidenziato anche dalla giurisprudenza amministrativa (C.d.S. n. 3024/2005; C.d.S. n. 2495/2000), non discende da comportamenti colpevoli dell’insegnante e, pertanto, non implica una responsabilità né postula un giudizio di proporzionalità, perché la dispensa non ha carattere sanzionatorio, trattandosi di atto che si limita a constatare l’oggettiva inidoneità a svolgere la funzione di insegnante.

Il giudizio non ha natura discrezionale, proprio perché si muove sul piano dell’accertamento, con la conseguenza che lo stesso, seppure necessariamente valutativo, si deve fondare su dati oggettivi convergenti tra loro e sintomatici della mancanza di attitudine all’impiego.

5.2. Dai richiamati principi non si è discostata la Corte territoriale la quale, correttamente, ha escluso la natura disciplinare dell’atto contestato e, all’esito della valutazione delle risultanze istruttorie, che attiene al merito e non è sindacabile in questa sede, ha evidenziato che in tutte le fonti conoscitive, acquisite dall’amministrazione prima di disporre la dispensa della docente, erano «presenti, sempre e comunque in maniera ripetuta e coerente, accertamenti di allarmanti lacune, carenze e incapacità univoche e insormontabili» ( pag. 6 della motivazione).

5.3. Non può, pertanto, la ricorrente invocare l’applicazione dell’art. 514 del d.lgs. n. 297/1994 perché la norma, nel prevedere il collocamento fuori ruolo a domanda e l’utilizzazione in altri compiti compatibili con la preparazione culturale e professionale, si riferisce al solo personale dichiarato inidoneo per motivi di salute e non è estensibile alla dispensa per incapacità didattica, che viene in discussione in questa sede e della quale la Corte territoriale ha accertato la legittimità.

6. Dalle considerazioni espresse nel punto che precede discende altresì l’infondatezza del secondo e del terzo motivo, da trattare congiuntamente in ragione della loro connessione logica e giuridica.

Una volta esclusa la natura disciplinare dell’atto di dispensa per incapacità didattica non vi è spazio per ritenere direttamente applicabile la disciplina del procedimento dettata dal d.lgs. n. 165/2001 e, pertanto, non può determinare l’illegittimità dell’atto la mancata audizione personale, che la (OMISSIS) asserisce non essere mai stata disposta, nonostante l’espressa sollecitazione.

6.1. Il Collegio ribadisce e fa proprio l’orientamento già espresso da questa Corte nella motivazione della sentenza n. 10438/2012 con la quale si è evidenziato che «l’estraneità della procedura di dispensa rispetto al procedimento disciplinare porta ad escludere la diretta applicabilità delle norme specificamente dettate per quest’ultimo, salva l’esigenza che il procedimento adottato garantisca effettivamente il necessario contraddittorio».

Si tratta di un principio che discende dalla necessità di interpretare la normativa, silente sul punto, in termini orientati al rispetto della giurisprudenza del Giudice delle leggi che, da tempo, ha escluso la legittimità costituzionale di meccanismi di dispensa dal servizio che abbiano carattere automatico e siano strutturati in modo tale da non consentire la partecipazione dell’interessato al procedimento (cfr. Corte Cost. n. 240/1997 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione).

6.2. Il rispetto del contraddittorio, peraltro, implica solo che il diritto di difesa debba essere assicurato e, quindi, che il docente sia portato a conoscenza dell’avvio del procedimento e che sia messo in condizione di accedere agli atti e di interloquire con l’amministrazione prima dell’adozione dell’atto, atteso che, come è intuitivo, la difesa si può validamente esercitare anche mediante strumenti diversi dall’audizione personale, ove questa non sia imposta dal legislatore.

Nella fattispecie, pertanto, una volta esclusa l’applicabilità dell’art. 55 bis comma 2 de d.lgs. n. 165/2001, non si può dire che il diritto al contraddittorio sia stato mortificato per il solo fatto che non sia stata disposta l’audizione, giacché è la stessa ricorrente a riconoscere e ad affermare nel ricorso di avere ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento (pag. 5) e di avere presentato all’amministrazione deduzioni scritte (pag. 10).

Si tratta di garanzie procedimentali non dissimili da quelle riconosciute per il procedimento amministrativo dagli artt. 7 e 9 della legge n. 241/1990, che la Corte Costituzionale ha ritenuto idonee a garantire il rispetto del principio audiatur et altera pars (Corte Cost. n. 57/1995, Corte Cost. n. 126/1995).

Ne discende che la questione di legittimità costituzionale prospettata nel terzo motivo, peraltro erroneamente dedotta in relazione agli artt. 25 e 55 quater del d.lgs. n. 165/2001 anziché all’art. 512 del d.lgs. n. 297/1994, prima ancora che infondata risulta essere priva della necessaria rilevanza nella fattispecie, atteso che la Trotta ha esercitato il diritto di difesa, sia pure attraverso atti scritti e non in sede di audizione personale.

7. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in €. 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 22 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria, oggi 1° marzo 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.