REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito – Presidente
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – Rel. Consigliere
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Erriquez Michele, nato a Scafati il 02-09-1989;
avverso l’ordinanza del 06-11-2019 della Corte di appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Giuseppe Corasaniti, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
letta la memoria dell’Avvocatura generale dello Stato, in persona dell’avvocato dello Stato Fabio Tortora, con cui, per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, è stato chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso o comunque di rigettarlo, con ogni conseguente statuizione circa spese, diritti e onorari.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 17 ottobre 2018, la Corte di appello di Salerno accoglieva l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell’interesse di Michele Erriquez, liquidando in suo favore la somma di euro 24.937,96, con riferimento alla detenzione patita, in regime di arresti domiciliari, dal 17 settembre 2014 al 13 novembre 2015, per un periodo complessivo di 423 giorni.
L’applicazione del regime cautelare domestico nei confronti di Erriquez era scaturita dall’essere egli gravemente indiziato di aver commesso il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, a lui contestato per aver smerciato dosi di stupefacenti di varia natura, operando prevalentemente all’interno del bar di proprietà del padre, anch’egli coinvolto nella medesima vicenda cautelare. In ordine a tale imputazione, Erriquez, dopo essere stato condannato dal GUP presso il Tribunale di Nocera Inferiore, veniva assolto con sentenza resa il 3 giugno 2016 dalla Corte di appello di Salerno, divenuta poi definitiva.
2. In accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello salernitana, la Quarta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 14332 del 7 marzo 2019, annullava con rinvio l’ordinanza impugnata, rilevando che la Corte territoriale aveva omesso di valutare se Erriquez fosse consapevole dell’attività illecita dei suoi congiunti, trattandosi di ipotesi non esclusa dalla sentenza assolutoria, per cui avrebbe dovuto essere considerata l’eventuale natura colposa (e in caso affermativo in che grado) della condotta dell’imputato, riferita dagli stessi giudici della riparazione in termini di presenza all’interno del bar di famiglia, con contatti con persona di fiducia del padre e con l’utilizzo di un linguaggio a volte ambiguo con gli avventori.
3. In sede di rinvio, la Corte di appello di Salerno, con ordinanza del 6 novembre 2019, rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione.
4. Avverso la seconda ordinanza della Corte di appello campana, Erriquez, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa deduce la violazione degli art. 101 comma 2 e 111 Cost. in relazione all’art. 6 della C.E.D.U., nonché degli art. 121, 125 comma 3, 127, 178 comma 1 lett. c), 315 e 646 cod. proc. pen., osservando che alcuna delle circostanze indicate dalla Corte territoriale era in grado di assumere rilievo ostativo ai fini del riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione.
Erriquez, in particolare, non poteva essere ritenuto consapevole e connivente rispetto alla condotta delittuosa dei suoi parenti, posto che egli era un mero dipendente del bar dove il padre si sarebbe reso autore dei traffici illeciti di droga, per cui egli non aveva alcuna posizione di garanzia che gli consentisse di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa.
Né poteva ritenersi pertinente il richiamo dell’ordinanza impugnata alla mera conoscenza dell’illecito da parte del ricorrente, assumendo la stessa rilievo, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, solo se si fosse rivelata in grado di rafforzare oggettivamente la volontà criminosa dell’agente, non rilevando l’eventuale percezione all’esterno della condotta in termini di contiguità.
Con il secondo motivo, infine, oggetto di doglianza è parimenti la violazione degli art. 101 comma 2 e 111 Cost. in relazione all’art. 6 della C.E.D.U., nonché degli art. 121, 125 comma 3, 127, 178 comma 1 lett. c), 315 e 646 cod. proc. pen., evidenziandosi che il provvedimento impugnato aveva omesso di motivare in ordine al momento e al modo in cui Erriquez avrebbe rafforzato il proposito criminoso del padre, non essendo stato altresì spiegato in che modo la volontà delittuosa del padre sarebbe stata influenzata dal figlio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Nel circoscrivere l’oggetto della verifica sollecitata dal ricorso, occorre premettere che, con la prima ordinanza, la Corte territoriale aveva escluso in maniera oggettivamente assertiva l’esistenza di profili di colpa grave nella condotta di Erriquez, limitandosi a richiamare la pronuncia assolutoria di secondo grado, che invero, pur non ritenendo comprovato il concorso dell’imputato nel traffici di droga ascrivibili ai suoi congiunti, aveva comunque dato conto di taluni elementi indiziari, come la presenza di Erriquez nel bar di famiglia, i contatti con persone di fiducia del padre, giudicato separatamente e ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, e il linguaggio a volte criptico intrattenuto con gli avventori, elementi questi di cui non era stata considerata l’eventuale pregnanza nell’ottica del giudizio di riparazione, mentre della scelta di Erriquez di avvalersi della facoltà di non rispondere a fronte degli elementi indiziari a suo carico, la Corte di appello aveva tenuto conto solo ai fini della decurtazione della metà dell’importo riconosciuto in favore del richiedente.
Ora, la prima decisione della Corte territoriale è stata annullata dalla Quarta Sezione di questa Corte, che, con la sentenza n. 14332 del 2019, ha evidenziato la necessità di approfondire il punto relativo alla configurabilità della colpa grave ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, dovendosi verificare se, alla luce proprio degli elementi fattuali indicati nella pronuncia assolutoria, Erriquez fosse consapevole o meno dell’attività illecita dei suoi parenti o l’avesse tollerata pur essendo in grado di impedirne la consumazione o la prosecuzione, risultando altresì necessario accertare l’eventuale idoneità del comportamento dell’agente a creare un’apparenza di partecipazione alle attività criminose di altri.
2. Orbene, l’ordinanza resa in sede di rinvio dalla Corte territoriale risulta aver colmato le lacune argomentative rilevate dalla sentenza rescindente.
In primo luogo, la Corte di appello ha infatti evidenziato come dalla stessa sentenza assolutoria sia emerso pacificamente che Erriquez era la persona che più di ogni altro assicurava la sua presenza fissa all’interno del bar “President chic cafè”, dove avvenivano abitualmente i traffici illeciti di sostanza stupefacente.
Sono state richiamate in tal senso sia le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Sgroia, il quale ha precisato che l’esercizio commerciale, presso cui anch’egli si era spesso rifornito, era gestito da un signore grasso e dal figlio, che “pure era grasso”;
sia la conversazione intercettata nella quale il correo Califano informava Nicola Erriquez, padre del ricorrente, che sarebbe andato al bar da “Michele”, cioè il richiedente, per prendere “un dolcino”, nome convenzionale utilizzato per indicare un quantitativo di droga, ottenendo rassicurazioni da parte di Nicola Erriquez, che aggiungeva che lo avrebbe poi raggiunto al bar;
sia le dichiarazioni di Alessandro Iannucci, che dal carcere dove era recluso, affermava che nel bar di Nicola Erriquez “c’era il figlio che era uguale a lui”;
sia ancora l’affermazione rivolta da Nicola Erriquez a tale Faiella, in ordine alla necessità che i due si incontrassero a casa del primo e non a casa di Michele, dove c’era la nuora, come a dire che tra i familiari di Erriquez solo costei fosse all’oscuro dei traffici illeciti del nucleo familiare.
In tal senso, la Corte di appello ha riportato un significativo passaggio motivazionale della sentenza assolutoria, in cui è stato testualmente affermato che “se è plausibile che, a differenza della moglie, Michele Erriquez fosse consapevole e finanche consenziente rispetto ai traffici illeciti del genitore, nulla dimostra invece che egli fosse direttamente coinvolto nel traffico della droga”.
Dunque, è stato lo stesso giudice della cognizione a evocare l’ipotesi della connivenza di Erriquez che, per quanto non penalmente rilevante, assume tuttavia un diverso valore nel giudizio di riparazione, essendo questo volto non ad accertare la colpevolezza dell’imputato, ma a valutare l’eventuale colpa del richiedente rispetto all’instaurazione e al mantenimento del vincolo cautelare, il che consente di attribuire una diversa valenza agli indizi disponibili, avendo questa Corte più volte affermato (Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017, Rv. 270039), che il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione è del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, con l’unico limite, nel caso di specie non travalicato, secondo cui non è permesso al giudice della riparazione di ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione, o non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate.
Alla luce di tale premessa, deve quindi ritenersi corretta l’impostazione seguita dalla Corte di appello che, partendo dagli stessi elementi fattuali indicati dalla sentenza impugnata, è pervenuta alla ragionevole conclusione secondo cui Erriquez, pur non potendo essere considerato concorrente nel reato, ha avuto comunque un atteggiamento di connivenza nel reato ostativo al riconoscimento dell’invocata riparazione, tollerando la consumazione del reato di spaccio all’interno del bar dove lavorava e creando il ragionevole affidamento all’esterno quantomeno di una contiguità rispetto ai traffici illeciti riconducibili a suo padre.
In tal senso, la valutazione compiuta dai giudici di merito risulta coerente con il condiviso orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 22060 del 23/01/2019, Rv. 275970, Sez. 4, n. 15745 del 19/02/2015, Rv. 263139, Sez. 4, n. 2659 del 03/12/2008, dep. 2009, Rv. 242538), secondo cui, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennità, può ravvisarsi anche in relazione a un atteggiamento di connivenza passiva quando, alternativamente, detto atteggiamento:
1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose;
2) si concretizzi non già in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione del reato, ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreché l’agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia;
3) risulti aver oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, sebbene il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova che egli fosse a conoscenza dell’attività criminosa dell’agente; ora, almeno quest’ultima ipotesi è configurabile nel caso di specie, essendo comprovata la consapevolezza da parte del richiedente dei traffici illeciti di droga perpetrati nel bar dove egli lavorava in aiuto del padre, che sapeva di poter contare quantomeno sulla tollerante connivenza dei figlio, in forza di una condotta idonea, per la sua ambiguità, a ingenerare all’esterno il convincimento di un vero e proprio contributo concorsuale, dovendosi al riguardo precisare che costituisce affermazione condivisa dì questa Corte quella secondo cui, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, integra gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto, la condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, pur consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità (Sez. 4, n. 45418 del 25/11/2010, Rv. 249237 e Sez. 4, n. 37528 del 24/06/2008, Rv. 241218).
A tali considerazioni, non certo illogiche, la Corte territoriale ha infine aggiunto un pertinente richiamo alla condotta processuale di Erriquez, il quale, avvalendosi in sede dì interrogatorio di garanzia della facoltà di non rispondere (e limitandosi in maniera assertiva a dichiararsi completamente estraneo ai fatti), ha contribuito ad avvalorare l’apparenza della sua contiguità all’agire illecito dei coimputati, rinunciando alla possibilità di diradare i sospetti a suo carico e di indirizzare nella giusta direzione l’attività investigativa in corso.
Il riferimento alla sostanziale scelta del silenzio del richiedente non può essere ritenuto improprio, essendo stato più volte ribadito (cfr. Sez. 4, n. 24439 del 27/04/2018, Rv. 273744 e Sez. 3, n. 44090 del 09/11/2011, Rv. 251325) che, in tema di equa riparazione per l’ingiusta detenzione, la condotta dell’indagato che, in sede di interrogatorio, si avvalga della facoltà di non rispondere, pur costituendo esercizio del diritto di difesa, può assumere rilievo ai fini dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, poiché è onere dell’interessato apportare immediati contributi o riferire circostanze che avrebbero indotto l’Autorità Giudiziaria ad attribuire un diverso significato agli elementi posti a fondamento del provvedimento cautelare.
Nella vicenda in esame, a fronte di un quadro indiziario non del tutto univoco, ma connotato comunque da elementi di forte sospetto a carico del soggetto accusato, alimentati anche dal suo comportamento ambiguo, sarebbe stato onere di Erriquez fare chiarezza sui fatti a lui addebitati, il che non è avvenuto per effetto di un comportamento anche sotto questo profilo gravemente colposo.
3. In definitiva, come correttamente rilevato anche dal Procuratore generale, l’ordinanza resa in sede di rinvio dalla Corte di appello, collocandosi pienamente nel solco tracciato dalla pronuncia rescindente, non presta il fianco alle censure difensive con cui, in termini invero non adeguatamente specifici, è stata prospettata una lettura alternativa del materiale indiziario, che tuttavia non può trovare ingresso in questa sede, a fronte di un apparato motivazionale sorretto da argomentazioni non irrazionali e anzi coerenti con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di riparazione per ingiusta detenzione.
Il ricorso proposto nell’interesse di Erriquez deve essere pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze delle spese del grado, liquidate in euro mille.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese del gradi in favore del Ministero dell’economia e delle Finanze, che liquida in euro mille.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020.
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