Sulla proroga del regime detentivo differenziato (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 3 gennaio 2022, n. 12).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TARDIO Angela – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere –

Dott. TALERICO Palma – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) SEBASTIANO nato a CASAL DI PRINCIPE il 10/08/19xx;

avverso l’ordinanza del 04/02/2021 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PALMA TALERICO;

lette le conclusioni del PG, Dott. Giuseppe Locatelli, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza deliberata in data 4 febbraio 2021, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo avverso il provvedimento del Ministro della giustizia, in data 19 dicembre 2019, di proroga del regime differenziato, ex art. 41-bis Ord. Pen., applicato nei confronti di (OMISSIS) Sebastiano.

Ad avviso del Tribunale, la proroga del suddetto regime penitenziario era giustificata dai seguenti elementi:

a) l’operatività del clan dei “Casalesi”, cui è legato il (OMISSIS), argomentata nel decreto ministeriale e desumibile dalle numerose operazioni di polizia giudiziaria, volte all’arresto di esponenti di detta organizzazione, fino a epoca recentissima, per i reati di cui all’art. 416 -bis cod. pen., estorsione, riciclaggio e altro;

b) la posizione personale del (OMISSIS), descritto come esponente di rilievo del sodalizio criminale riconducibile alla famiglia Schiavone, legato da stretto vincolo familiare a Francesco Schiavone detto “Sandokan”, capo del cartello dei “Casalesi”;

c) la biografia criminale del (OMISSIS), dettagliatamente riportata, sintomatica del ruolo e dello spessore delinquenziale dello stesso;

d) la circostanza che si trattava di soggetto che era stato latitante per un periodo di tempo, indicativa della disponibilità di una rete di fedeli fiancheggiatori;

e) la sopravvenuta sentenza della Corte di Assise di appello di Napoli del 28.1.2020, con la quale è stata confermata la pronuncia di primo grado di condanna del (OMISSIS) alla pena di anni trenta di reclusione per omicidio aggravato, nonché l’emissione nei suoi confronti, in data 8.1.2020, dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere per omicidio aggravato dal contesto mafioso.

Sussistevano, quindi, secondo il Tribunale, tutti gli elementi per ritenere, in concreto, l’attuale pericolo di collegamenti del reclamante con la criminalità organizzata, specie in un momento di riassetto degli equilibri interni, e il rischio di una ripresa dei rapporti, ove venisse ripristinato il regime detentivo ordinario.

2. Avverso detta ordinanza, il (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del suo difensore di fiducia, avvocato Carlo (OMISSIS), deducendo “violazione di legge e difetto di motivazione”, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125 cod. proc. pen. e 41 -bis, comma 2 -bis, 0.P.”.

Secondo la difesa, l’ordinanza impugnata sarebbe viziata in quanto, oltre a omettere di confrontarsi con le censure avanzate nel reclamo, farebbe esclusivamente riferimento alla posizione rivestita illo tempore dal Panaro nel gruppo criminale di appartenenza; la sottoposizione prolungata del (OMISSIS) al regime detentivo speciale di fatto si sarebbe tradotta in una violazione della sua integrità fisica; l’invio di una missiva al fratello, volta a smentire le dichiarazioni di chi lo stava accusando, non sarebbe dimostrativo di legami con l’esterno; il (OMISSIS) non avrebbe rivestito un ruolo apicale, tanto che nessuno dei collaboratori lo avrebbe indicato come tale e nella lista degli “stipendiati” del clan il predetto sarebbe stato indicato come “sospeso”; i riferimenti temporali dei reati commessi sarebbero molto distanti nel tempo; non sarebbe stato valutato il percorso trattamentale inframurario del ricorrente, caratterizzato anche dallo svolgimento di attività lavorativa; non sarebbe stata, altresì, presa in considerazione la circostanza che il Panaro, con riferimento all’ultima condanna riportata, avrebbe ammesso le proprie responsabilità.

3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale di questa Corte, Dott. Giuseppe Locatelli, ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso risulta basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.

L’art. 41 bis, comma 2-bis, della I. n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2, comma 25, lett. d), della I. 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono prorogabili “per successivi periodi, ciascuno pari a due anni (…), quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.

L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dal comma 2-sexies del novellato art. 41-bis, a norma del quale il Procuratore nazionale antimafia, il Procuratore della Repubblica che procede alle indagini preliminari, il Procuratore generale presso la Corte d’appello, il detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale (solo) “per violazione di legge”.

La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza delle disposizioni di legge sostanziale e processuale, all’inesistenza della motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto di risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003, Pellegrino, Rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, Santapaola, Rv. 230203; Sez. 6, n. 7651 del 14/01/2010, dep. 25/02/2010, Mannino, Rv. 246172).

E’, invece, da escludere che la violazione di legge possa ricomprendere il vizio di insufficienza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, che non può, evidentemente, trovare ingresso nel giudizio di legittimità in ordine all’applicazione o alla proroga del regime detentivo differenziato.

Va, inoltre, osservato che, per effetto dei principi interpretativi formulati dalla giurisprudenza di legittimità e ribaditi dalla Corte Costituzionale nell’ordinanza n. 417 del 13.12.2004, la conformità alla Costituzione della disposizione di cui all’art. 41 -bis Ord. Pen. è garantita a condizione che ogni decreto applicativo o di proroga sia dotato di congrua motivazione in ordine alla sussistenza o persistenza dei presupposti per la sottoposizione al regime detentivo differenziato;

che, tenuto conto della riforma ulteriore del comma 2-bis dell’art. 41 -bis Ord. Pen., sottoposta anche a verifica di conformità ai principi costituzionali (sent. n. 190 del 2010), la proroga del decreto ministeriale postula l’accertamento della persistenza della capacità del detenuto di tenere contatti con l’associazione di riferimento, non già l’effettivo mantenimento di tali relazioni, verifica da condurre anche utilizzando gli specifici parametri ritenuti dal legislatore significative non necessariamente compresenti, del profilo criminale, della posizione rivestita dal soggetto in seno all’organizzazione, della perdurante operatività del sodalizio, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non considerate in precedenza, degli esiti del trattamento intramurario, del tenore di vita dei familiari;

che, “ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, l’accertamento dell’attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri indicati in termini non esaustivi dal comma 2-bis della norma citata, si sostanzia in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime” (cfr. Cass. Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, Rv. 274912).

2. Alla luce di questi principi, il Collegio osserva che la motivazione dell’ordinanza impugnata non può dirsi apparente o assolutamente inidonea a comprendere le ragioni argomentative della decisione, ovvero frutto dell’omessa considerazione della capacità del detenuto di mantenere i contatti con il sodalizio di appartenenza.

Manifestamente infondate sono le doglianze espresse nel ricorso, che censurano, in modo non consentito, la struttura motivazionale del provvedimento in esame (riproducendo, peraltro, censure adeguatamente esaminate e disattese con corrette argomentazioni da parte del Tribunale di sorveglianza) e che finiscono per richiedere una nuova valutazione delle indicate circostanze di fatto, peraltro, non ammessa in via generale nel ricorso per cassazione.

L’ordinanza impugnata, inoltre, ha correttamente valutato gli elementi risultanti agli atti, senza violare la legge penale sostanziale e processuale, sottolineando l’attuale operatività del sodalizio mafioso in argomento, il ruolo rilevante esercitato dal (OMISSIS) (essendo del tutto irrilevante la doglianza secondo cui nessuno dei collaboratori di giustizia avrebbe indicato il (OMISSIS) come soggetto rivestente un ruolo apicale, perché l’applicazione del regime differenziato non è prevista solo per coloro che siano stati condannati con il ruolo di promotore o capo dell’associazione mafiosa di riferimento) con la coerente affermazione, in assenza di elementi concreti da cui desumere la rescissione dei vincoli delinquenziali, dell’attuale pericolo che il detenuto possa mantenere i collegamenti con l’associazione criminale di appartenenza, ove sottoposto al regime penitenziario ordinario.

Al riguardo, giova osservare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, per potere accogliere il ricorso avverso il provvedimento di proroga del regime detentivo differenziato è necessaria l’acquisizione di elementi specifici e concreti, indicativi della sopravvenuta carenza di pericolosità sociale, che non possono identificarsi con il mero trascorrere del tempo dalla prima applicazione del regime in parola, né essere rappresentati da un apodittico e generico riferimento a non meglio precisati risultati dell’attività di trattamento penitenziario (cfr. Sez. 1, n. 32337 del 03/0772019, Rv. 276720; Sez, 1, n. 14822 del 03/02/2009, Rv. 243736).

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sentenza n. 186 del 2000), al versamento in favore della Cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso, il 20 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria, oggi 3 gennaio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.