Tardiva la contestazione ritardata per mettere in difficoltà il dipendente (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 13 settembre 2024, n. 24609).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistati:

Dott. DORONZO ADRIANA                              – Presidente –

Dott. LEONE MARGHERITA MARIA                 – Rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO CARLA                                   – Consigliere –

Dott. CASO FRANCESCO GIUSEPPE LUIGI    – Consigliere –

Dott. MICHELINI GUALTIERO                          – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 26060-2022 proposto da:

(omissis) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA (omissis) (omissis) 22, presso lo studio degli avvocati (omissis) (omissis), (omissis) (omissis), che la rappresentano e difendono;

-ricorrente-

contro

(omissis) (omissis), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis);

-controricorrente-

avverso la sentenza n. 1717/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/04/2022 R.G.N. 3535/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/07/2024 dal Consigliere Dott.ssa MARGHERITA MARIA LEONE.

RILEVATO CHE

La Corte di appello di Roma aveva confermato la decisione del tribunale di Viterbo per la parte in cui era stata ritenuta tardiva la contestazione disciplinare svolta da (omissis) spa al dipendente (omissis) (omissis), in ragione del comportamento da questo tenuto in data 9 dicembre 2018, allorché, bloccato durante una corsa alla guida del bus aziendale non si era preoccupato di avvertire gli ADE (addetti al servizio di zona), circa il ritardo accumulato, così determinando criticità organizzativa e ritardo nel servizio fornito.

La corte di merito aveva ritenuto tardiva la contestazione che, a fronte del comportamento tenuto in data 9 dicembre, era stata notificata il 19 febbraio.

Avverso detta decisione proponeva ricorso la società con due motivi, cui resisteva il lavoratore con controricorso e successiva memoria.

CONSIDERATO CHE

1) – Con il primo motivo è dedotta la violazione di norme di diritto (art. 360 co.1n. 3 c.p.c.), quali l’art. 7 della Legge n. 300/70, per aver ritenuto non tempestiva la contestazione.

2) – Con il secondo motivo è denunciato l’omesso esame di fatto decisivo (art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.), quale la complessa organizzazione aziendale.

I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto logicamente collegati ed afferenti alla nozione di tardività della contestazione disciplinare ed al contesto fattuale in cui tale concetto trova pratica applicazione.

Questa Corte ha da tempo chiarito che il principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare, la cui “ratio” riflette l’esigenza dell’osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, non consente all’imprenditore – datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro.

Peraltro, il criterio di immediatezza va inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale.

La relativa valutazione del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (Cass 14115/2006).

E’ stato peraltro soggiunto che nell’ambito del procedimento disciplinare regolato dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970, la contestazione deve avvenire in immediata connessione temporale con il fatto; il requisito della immediatezza deve essere interpretato con ragionevole elasticità, il che comporta che il giudice deve applicare il suddetto principio esaminando il comportamento del datore di lavoro alla stregua degli artt. 1375 e 1175 cod. civ., e può dallo stesso discostarsi eccezionalmente, indicando correttamente le ragioni che lo hanno indotto a non ritenere illegittima una contestazione fatta non a ridosso immediato dell’infrazione (Cass. n. 13190/2003).

Come enunciato, il requisito della tempestività è funzionale alla garanzia di adeguata difesa da parte del lavoratore ed alla esigenza di dare attuazione concreta ai principi di correttezza e buona fede nel rapporto di lavoro.

Peraltro è anche un concetto che deve coniugarsi con criteri di sufficiente elasticità nell’apprezzamento delle condizioni che consentano al datore di lavoro un corretto e completo accertamento del comportamento considerato.

Nel caso in esame la corte d’appello, con apprezzamento di merito coerente con gli enunciati principi, ha ritenuto che la tempistica intercorsa tra il fatto addebitato e la contestazione fosse tale da far escludere una ragionevole tempestività da parte della società.

E’ stato infatti evidenziato che la semplicità del fatto addebitato e del suo accertamento (mancato avviso del ritardo accumulato agli ADE), nonché la scelta datoriale di notificare il procedimento a mani del lavoratore, in ferie, fosse sintomatico di un irragionevole ritardo non giustificabile da eventuale complessità organizzativa, peraltro dalla corte di merito ritenuta non provata.

Si tratta di una valutazione di merito che, correttamente espressa nel rispetto dei principi somministrati in sede di legittimità, non può trovare nuova valutazione, non consentita, in questa sede di legittimità.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono il principio di soccombenza. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.

Così deciso in Roma il 2 luglio 2024.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.