TFR: cosa accade se il datore di lavoro è insolvente?

Nel nostro ordinamento è previsto che i lavoratori subordinati, in ogni caso di cessazione dal rapporto, hanno diritto al cd. T.F.R. (trattamento di fine rapporto).

Si tratta, sostanzialmente, di una retribuzione differita avente natura previdenziale.

Tenuto al pagamento del T.F.R. è il datore di lavoro che, tuttavia, talvolta può risultare inadempiente.

Bene: proprio per tutelare i lavoratori rispetto a tale inadempimento, la legge n. 297/1982 ha introdotto il cd. fondo di garanzia, che, a determinate condizioni, assicura il pagamento di quanto spettante al dipendente che cessa dal rapporto di lavoro. 

Sulla concreta operatività del Fondo la giurisprudenza di legittimità si è più volte pronunciata, contribuendo a delineare nel concreto i margini entro i quali i lavoratori possono fare ricorso a tale rimedio per tutelarsi rispetto all’insolvenza del datore di lavoro.

Particolarmente degna di nota, tra le varie pronunce, è quella resa dalla Corte di Cassazione poco meno di un paio di anni fa. Ci si riferisce, in particolare, alla sentenza n. 15369 del 4 Luglio 2014, che ha confermato che il Fondo di garanzia, per poter essere attivato, non necessita per forza del fallimento del datore di lavoro.

Con tale pronuncia, infatti, è stato rigettato il ricorso proposto dall’I.N.P.S., parte ricorrente, contro la sentenza n. 293/2009 della Corte d’appello di Catania, che, in riforma della pronuncia del giudice di primo grado, aveva accolto la domanda proposta da un lavoratore nei confronti dell’istituto, in qualità di gestore del Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto, condannandolo al pagamento della somma prevista a titolo di TFR, a seguito di insolvenza del datore di lavoro obbligato.


Il lavoratore, nel caso di specie, aveva infruttuosamente esperito una procedura di esecuzione nonché proposto istanza per la dichiarazione di fallimento del datore di lavoro. Istanza che, tuttavia, era stata rigettata per la modesta entità del debito.

La Suprema Corte, con la pronuncia del 2014, come accennato ha ribadito che il datore di lavoro, idoneo ad essere assoggettato a fallimento ma non dichiarato fallito per l’esiguità del credito, deve essere in concreto considerato non soggetto a fallimento, con conseguente applicazione di quanto previsto dalla L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5.

L’articolo 2 co.5 della summenzionata legge prevede che “qualora il datore di lavoro, non soggetto alle disposizioni del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, non adempia, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, alla corresponsione del trattamento dovuto o vi adempia in misura parziale, il lavoratore o i suoi aventi diritto possono chiedere al fondo il pagamento del trattamento di fine rapporto, sempreché, a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito relativo a detto trattamento, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti. Il fondo, ove non sussista contestazione in materia, esegue il pagamento del trattamento insoluto”

La legge, insomma, prevede il pagamento del t.f.r. da parte dell’INPS a condizione che:

– il datore di lavoro, sia assoggettabile a fallimento, ma in concreto dichiarato non fallibile per l’esiguità del credito azionato, e risulti inadempiente, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, a detto pagamento

-il lavoratore abbia infruttuosamente esperito l’esecuzione forzata per la realizzazione del credito.

La Corte ha più volte proposto una lettura della legge in esame secondo l’orientamento tracciato dalla direttiva CE n. 987 del 1980. Quest’ultima prevede il ricorso al Fondo di garanzia allorquando siano soddisfatte, alternativamente, due condizioni: sia stata richiesta o sia stata decisa dall’autorità competente l’apertura della procedura concorsuale oppure quando la stessa autorità competente constata l’insufficienza dell’attivo disponibile per giustificare l’apertura del procedimento (art. 2).

E’ chiaro che l’esigenza di tutela effettiva è coerente con la finalità del Legislatore del 1982, che, mediante l’istituzione di un Fondo di garanzia affidato all’ente previdenziale pubblico, ha inteso compensare la peculiarità della disciplina del t.f.r. con la previsione di una tutela certa del credito, realizzata attraverso modalità garantistiche e non soggetta alle limitazioni e difficoltà procedurali.