Tifoso scivola sulla macchia oleosa sui gradini dell’Olimpico. Il CONI condannato al risarcimento (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 11 febbraio 2021, n. 3589).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 2173-2019 proposto da:

CONI SERVIZI spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) (OMISSIS), 67, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (OMISSIS) 36, presso lo studio dell’avvocato BIAGIO (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO (OMISSIS);

– controricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, Viale (OMISSIS) (OMISSIS) 270, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MARIA (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Paolo (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3834/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

I FATTI DI CAUSA

1.- Antonio (OMISSIS) è caduto scivolando su un liquido oleoso sparso sui gradini dello stadio Olimpico, durante lo svolgimento di un incontro di calcio.

Egli ha agito in giudizio nei confronti del CONI Servizi spa, quale ente proprietario dello stadio imputando a quest’ultimo una responsabilità da omessa custodia ed ha chiesto conseguentemente il risarcimento dei danni alla persona subiti a causa di quella caduta.

Il Coni Servizi spa si è costituito ed ha chiesto di essere autorizzato a chiamare in giudizio sia la Unipol Assicurazioni che la Generali Assicurazioni, ma ha adempiuto ritualmente solo nei confronti della prima, e non della seconda, la cui chiamata in giudizio è stata dichiarata inammissibile perché tardiva.

2.- Il Giudice di primo grado ha respinto la domanda, ritenendo che dalla istruttoria effettuata si poteva dedurre che il liquido che ha causato lo scivolo era stato versato da terzi, ossia da qualcuno dei presenti allo stadio, e che dunque non poteva ritenersi un difetto di custodia del Coni.

Questa ricostruzione è stata invece disattesa dal giudice di appello, che, interpretando diversamente le deposizioni testimoniali, ha ritenuto che la macchia oleosa non fosse attribuibile alla condotta di terzi e che il Coni non avesse fornito alcuna prova liberatoria.

Avverso questa decisione il Coni Servizi spa propone quattro motivi di ricorso.

Si sono costituiti con controricorso sia l’Unipol Assicurazioni che Antonio (OMISSIS).

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- motivi di ricorso sono quattro: i primi due attengono alla domanda principale, gli altri due alla domanda di garanzia ed alle spese.

Il primo motivo denuncia violazione dell’articolo 116 c.p.c. ed attribuisce alla corte di appello una erronea valutazione delle prove.

Ritiene il Coni Servizi spa che la corte è incorsa in errore nel ritenere che dalla deposizione dei testi era emerso che la sostanza oleosa non era stata versata da taluno del pubblico ma piuttosto era “prodotta” dallo stesso impianto sportivo.

Secondo il Coni invece dalle prove assunte questa conclusione non era affatto emersa, ed anzi, era da ritenersi preferibile la ricostruzione fatta dal giudice di primo grado.

Il secondo motivo denuncia violazione dell’articolo 2051 c.c..

Secondo il Coni la corte avrebbe travisato il significato della norma ritenendo provato il nesso di causalità tra razione” della macchia oleosa e la caduta, quando invece il rapporto di causalità andava istituito tra la custodia dell’impianto e la caduta, essendo la macchia d’olio un fattore esterno che costituisce caso fortuito e dunque la sua stessa presenza esonera il proprietario della struttura da responsabilità.

Questi due motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati.

Va ribadito che nei casi riferibili all’articolo 2051 c.c. il danneggiato ha l’onere di provare il nesso di causa tra il danno subito e il “dinamismo” della cosa, mentre grava sul custode la prova liberatoria del fortuito, e va evidenziato come la condotta del terzo che abbia reso la cosa pericolosa rientra tra i casi di prova liberatoria, ossia integra il caso fortuito quando, data l’immediatezza del danno rispetto alla condotta del terzo, il custode non ha avuto possibilità di intervenire ed impedire il pregiudizio: “la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., opera anche per la P.A. in relazione ai beni demaniali, con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, rimanendo l’amministrazione liberata dalla responsabilità suddetta ove dimostri che l’evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione” (Cass. 7805/ 2017; Cass. 6703/2018; Cass. 16295/ 2019).

In sostanza, la dimostrazione che il liquido è stato versato da terzi e che non è stato possibile intervenire tempestivamente per eliminarlo grava sul custode, in quanto costituisce oggetto della prova liberatoria, e dunque correttamente la corte ha ritenuto che la dimostrazione di tale condizione gravava sul Coni e non sul danneggiato, come invece con il secondo motivo il Coni assume.

Ciò posto, che la macchia non sia opera di terzi, ma fosse presente sui gradini per altre ragioni, legate alla stessa struttura, è accertamento in fatto, operato dalla corte nella sua discrezionalità e motivato.

Il ricorrente lamenta una erronea valutazione delle prove, denunciando violazione dell’articolo 116 c.p.c., ma si tratta di una censura che non adducendo alcun errore percettivo, non è ammissibile in sede di legittimità, non potendosi valutare in questa sede la rilevanza ed il significato delle prove assunte.

2.- Il terzo motivo denuncia violazione dell’articolo 1910 c.c..

La corte di merito ha ritenuto la Unipol tenuta a garantire il CONI nella misura del 50% del risarcimento da quest’ultimo dovuto al danneggiato.

Secondo il Coni il giudice di merito avrebbe dovuto ritenere operante la garanzia al 100% in quanto non v’era co-assicurazione con le Generali, altra compagnia garante del Coni, bensì v’era autonoma assicurazione di ciascuna delle due, cosi che entrambe erano tenute per l’intero.

Il motivo è inammissibile.

La censura presuppone infatti che sia certo che non di co- assicurazione si trattava bensì di una doppia e piena garanzia.

Ma per affermare una tale premessa occorre conoscere il contenuto del contratto di assicurazione tra la ricorrente ed Unipol e Generali, che non solo non è riportato ma non è neanche allegato in qualche modo.

In sostanza, il motivo non consente di verificare il presupposto (giuridico) della censura, vale a dire che tipo di contratto di assicurazione fosse in essere.

3.- il quarto motivo lamenta violazione dell’articolo 91 c.p.c.

Secondo il Coni la corte avrebbe erroneamente condannato al pagamento delle spese a favore di Generali, nei cui confronti il Coni stesso ha rinunciato alla domanda solo con le memorie illustrative, tenendo dunque la parte garante in giudizio fino a quel momento.

Il Coni sostiene di non aver mai formulato domande nei confronti di Generali, che in appello è stata citata dal ricorrente.

Il motivo è infondato.

Infatti, la citazione in giudizio è avvenuta per chiamata del Coni, in primo grado, cosi che è irrilevante che la compagnia sia stata costretta all’appello dalla impugnazione del danneggiato, se è vero che comunque lo stesso Coni ha mantenuto la sua richiesta di garanzia anche in secondo grado, salvo a farne rinuncia alla fine con le memorie illustrative.

Il ricorso va pertanto rigettato.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 7200,00 euro, oltre 200 ,0(1 di spese generali.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria l’11 febbraio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.