Tra le parti non veniva sottoscritto il compenso per l’opera compiuta dall’Architetto. Come si risolve? (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Ordinanza 23 settembre 2019, n. 23562).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9566-2016 proposto da:

Immobiliare Baia Verde Srl, elettivamente domiciliata in Roma, Via Pasubio 2, presso lo studio dell’avvocato Marco Merlini, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Nizza, 53, presso lo studio dell’avvocato Federico Pernazza, rappresentato e difeso dall’avvocato Pier Giorgio Marinelli;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 774/2016 della Corte d’appello di Roma, depositata il 05/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/01/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

Svolgimento del processo

che, il presente giudizio trae origine dall’opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Latina-sezione distaccata di Terracina per la somma di Euro 462.525,42 a favore dell’arch. M. quale corrispettivo di prestazioni professionali espletate a favore di Immobiliare Baia Verde s.r.l. per la costruzione di un albergo in (OMISSIS);

che, all’esito del giudizio di opposizione il tribunale revocò il decreto ingiuntivo e condannò l’opponente al pagamento del minor importo pari ad Euro 177.217,10, sulla scorta di una proporzionale riduzione dell’importo dell’opera progettata;

che, proposto gravame in via principale da parte dell’arch. M. e dalla società opponente in via incidentale, la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 774 depositata il 5/2/2016, in riforma della sentenza del tribunale, respingeva l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo opposto;

che, in particolare, la corte territoriale ha accolto l’impugnazione in relazione alla dedotta erroneità della determinazione del compenso dovuto al professionista sulla scorta del valore preventivato dell’opera, piuttosto che sulla base dell’opera effettivamente eseguita in applicazione dell’art. 2233 c.c.;

che, la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dalla società opponente con ricorso notificato l’8/4/2016 ed affidato a sei motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380 bis.1. c.p.c. cui resiste con tempestivo controricorso l’architetto M..

Motivi della decisione

che, con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c., per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto assolto da parte dell’architetto M. l’onere probatorio su di lui gravante in ordine ai fatti costitutivi della domanda;

che, al contrario, ritiene la ricorrente che, a fronte della contestazione sollevata sulla scorta del dettagliato computo metrico sottoscritto dalle parti, la corte aveva erroneamente ritenuto provati dal professionista tutti i fatti costitutivi del credito monitoriamente azionato e cioè oltre all’incarico, il cui conferimento non è in discussione, anche il compenso dovuto;

che, il motivo è inammissibile;

che, invero, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (cfr. Cass. 26769/2018);

che, ciò non è avvenuto nella fattispecie in esame perchè la corte, dopo avere confermato l’onere probatorio a carico dell’architetto, quale attore in senso sostanziale, ha ritenuto che esso era stato assolto mediante la prova delle opere eseguite e che, in mancanza di pattuizione del compenso, si doveva procedere alla sua determinazione secondo i criteri fissati nell’art. 2233 c.c. per il caso di mancata convenzione;

che, la corte ha poi esplicitato, richiamando i precedenti di giurisprudenza, le ragioni per escludere che il computo preventivo potesse costituire prova idonea dell’accordo per l’esecuzione di opere il cui valore finale risultava sensibilmente diverso, anche per effetto delle tre varianti intervenute rispetto al progetto iniziale;

che, infine, il giudice del gravame ha valorizzato le risultanze della ctu e la natura collegiale dell’incarico, pervenendo alla conclusione in conformità all’art. 2697 c.c., sebbene la conclusione non sia quella auspicata dall’odierna ricorrente;

che, con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 184, vecchio rito, operante ratione temporis, e art. 87 disp. att. c.p.c. nonchè dell’art. 198 c.p.c. per nullità della sentenza per assenza assoluta di motivazione sul punto, in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4;

che, in altri termini, la ricorrente si duole del fatto che la documentazione utilizzata dal ctu per formulare le risposte al quesito riguardante la congruità degli importi indicati nella parcella del professionista, sarebbe stata illegittimamente acquisita e che, nonostante l’appello incidentale proposto sul punto, la corte avrebbe omesso la motivazione;

che, la censura appare inammissibile rispetto ad entrambi i profili;

che, in primo luogo, non specifica l’esatto mandato assegnato dal giudice al ctu al fine di esattamente perimetrare l’incarico ed i conseguenti limiti del potere di accertamento del ctu;

che, in secondo luogo, non individua, se non genericamente con l’indicazione di “documenti contenuti in tre faldoni”, peraltro ritirati dal ctu sulla scorta di un’autorizzazione del giudice (cfr. pag. 16 del ricorso, secondo rigo), l’oggetto dell’asserita illegittima acquisizione e valutazione;

che, in terzo luogo, non specifica l’esatto tenore dell’eccezione asseritamente sollevata, nel corso delle operazioni peritali ovvero nel corso del processo e negli atti di parte, di modo da dare la possibilità alla Corte di cassazione di cogliere la portata della pronuncia impugnata, che, in effetti, non menziona l’appello della ricorrente sul punto (cfr. Cass. 15196/2018; id.27658/2017; id.1435/2013), – infine, in quarto luogo, la doglianza non è neppure formulata in termini di certezza, dal momento che la stessa ricorrente prospetta la circostanza in termine di verosimiglianza (cfr. pag. 18 penultimo capoverso);

che, con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2, nel testo in vigore ratione temporis;

che, parte ricorrente si duole, in particolare, del fatto che la corte d’appello non avrebbe tenuto conto della documentazione prodotta dall’appellata Baia Verde per provare che il costo delle opere era stato inferiore a quello allegato dall’architetto appellante;

che, il motivo è inammissibile per difetto di specificità sia con riguardo al contenuto della documentazione, solo genericamente indicato quale copie di fatture ed estratti dei registri contabili, sia per l’omessa indicazione delle ragioni della mancata produzione nel giudizio di primo grado, secondo il tenore ratione temporis vigente dell’art. 345 c.p.c. all’atto di costituzione della parte appellata;

che, con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4: la violazione della L. n. 143 del 1949, art. 18 e dell’art. 132 c.p.c., n. 4;

che, si contesta la mancata considerazione,nella quantificazione del compenso dovuto all’architetto, degli acconti versati dalla committente e delle valutazioni espresse dal ctu che aveva proposto di rettificare la parcella del professionista secondo dei rilievi che la corte non aveva, però, considerato;

che, il motivo appare inammissibile perchè attinge a circostanze che, non risultando dalla sentenza impugnata, avrebbero dovuto essere meglio localizzate dalla ricorrente, precisando cioè – conformemente al consolidato orientamento già sopra richiamato – ove le questioni cui si riferiscono erano state in precedenza sollevate (cfr. Cass. 15196/2018; id.27658/2017; id.1435/2013);

che, con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione della L. n. 143 del 1949, artt. 15, 16 e 19; -la ricorrente deduce che la corte territoriale aveva rigettato il suo appello incidentale, limitandosi a richiamare le motivazioni valorizzate per l’accoglimento dei primi quattro motivi dell’appello principale, venendo meno all’obbligo motivazionale sulle specifiche censure sollevate in forza delle osservazioni del proprio consulente tecnico alla parcella redatta dall’architetto M.;

che, il motivo, che involge la c.d. motivazione per relationem, è infondato;

che, infatti, la motivazione della sentenza “per relationem” è ritenuta costantemente ammissibile, dovendosi giudicare la sua completezza e logicità sulla base degli elementi contenuti nell’atto al quale si opera il rinvio e che, proprio in ragione dello stesso, diviene parte integrante dell’atto rinviante, fermo restando che il rinvio va operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione “per relationem” (cfr. Cass. 3367/2011; id. 3636/2007);

che, nel caso di specie le osservazioni poste a fondamento dell’accoglimento dell’appello principale rispondono puntualmente anche alle tesi dell’appellata (che aveva sostenuto la spettanza all’architetto di un importo inferiore) e non sono intaccate dall’odierna impugnazione che si limita a riproporle;

che, con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n., la violazione e falsa applicazione della L. n. 143 del 1949, art. 7 per avere erroneamente ravvisato nella fattispecie in esame un incarico collegiale all’architetto M. con l’architetto (e consorte del primo) F.P.;

che, la ricorrente deduce che la doppia sottoscrizione degli elaborati non costituirebbe argomento sufficiente per l’applicazione dell’art. 7 legge citata per effetto del quale ciascun professionista ha diritto all’intero compenso;

che, il motivo è infondato;

che, la corte d’appello ha evidenziato la circostanza documentale che gli elaborati prodotti dai professionisti e consegnati alla p.a. erano sottoscritti da entrambi gli architetti e controfirmati dalla società committente;

che, la conclusione ricavata dalla corte territoriale che ciò dimostri la riunione in collegio dei professionisti incaricati, ai sensi della L. n. 143 del 1949, art. 7 secondo l’interpretazione prospettata da questa Corte nella sentenza n. 2668/2001 e pure richiamata nella sentenza impugnata, è esente da illegittimità;

che, l’esito complessivamente negativo dei motivi comporta il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del contro ricorrente, liquidate in Euro 7500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 9 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2019