Traffico di droga: anche i beni acquistati prima dei fatti possono essere confiscati (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 10 gennaio 2023, n. 513).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARLINI Enrico Vittorio Stanislao – Presidente – 

Dott. CATENA Rossella – Consigliere –

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRANCACCIO Matilde – Rel. Consigliere –

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

(OMISSIS) ALFONSO nato a TAURIANOVA il 27/02/19xx;

(OMISSIS) MARIANNA nata a GIOIA TAURO il 11/07/19xx;

avverso il decreto del 16/07/2021 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MATILDE BRANCACCIO;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott. ANDREA VENEGONI, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato il decreto di confisca di prevenzione emesso dal Tribunale di Reggio Calabria in data 24.10.2016 nei confronti di Alfonso (OMISSIS), cui è stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per anni cinque, con obbligo di soggiorno, in relazione all’art. 4, comma primo, lett. b), d. Igs. n. 159 del 2011 (Testo Unico Antimafia), in quanto gravemente indiziato del reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti in qualità di promotore, nel procedimento penale n. 3023/2011, in esito al quale il proposto è stato condannato alla pena di 19 anni e due mesi di reclusione, con sentenza divenuta definitiva (i fatti si riferiscono all’importazione di ingenti quantitativi di cocaina dal Sud America, con navi container che giungevano nel porto di Gioia Tauro nel periodo aprile 2011-ottobre 2013, nel procedimento cd. “Puerto Liberado”).

Il provvedimento di prevenzione è stato disposto anche sulla base della lettera c) del citato art. 4 del Testo Unico Antimafia, poiché l’esistenza di un altro processo a suo carico, per i medesimi reati e quelli di detenzione e porto d’armi da fuoco, con emissione di un ulteriore provvedimento cautelare di custodia in carcere nei suoi confronti, ha indotto i giudici a ritenere la pericolosità sociale generica, derivante dall’essere il proposto anche inquadrabile nella categoria personale di chi vive abitualmente con il provento di attività delittuose ed è dedito alla commissione di reati che mettono in pericolo l’ordine pubblico.

La confisca (preceduta da sequestro disposto con decreto del 13.5.2015) ha avuto ad oggetto:

– la ditta individuale esercente attività di allevamento di bovini e bufalini da carne, sita in Rosarno;

– il 50% delle quote della società (OMISSIS) Service s.n.c. di Alfonso (OMISSIS) e Francesco (OMISSIS), avente ad oggetto l’attività di commercio al dettaglio di carburante per autotrazione;

– il 100% delle quote e del patrimonio aziendale della società (OMISSIS) s.a.s. di (OMISSIS) Alfonso, avente ad oggetto vendita al dettaglio di frutta e verdura;

– numerosi beni immobili intestati al proposto, per la corrispondente quota di proprietà o per intero;

– due autovetture;

– quattro rapporti finanziari (due polizze e due conti correnti), del valore complessivo di circa 10.000 euro.

Il provvedimento di confisca ha riguardato, altresì, alcuni beni immobili ed un deposito a risparmio, intestati a terzi familiari (la moglie ed i figli del proposto).

La decisione della Corte d’Appello relativa alla misura personale è stata tratta dalle sentenze definitive di condanna, per reati in materia di stupefacenti ed armi, oramai emesse nei confronti del proposto, nell’ambito dei due procedimenti penali già indicati.

Si è dato atto, altresì, della definitiva condanna a 30 anni di reclusione che il proposto ha riportato in relazione ai delitti di omicidio e porto e detenzione di armi, aggravati dal metodo mafioso.

L’attualità della pericolosità del proposto, da tempo detenuto in regime cautelare detentivo previsto dall’art. 41-bis ord. pen., è stata desunta dal fatto che i reati commessi fossero, tutto considerato, recenti (si fermano al 10.10.2013, per la consumazione del reato associativo) e che il proposto avesse il ruolo dirigenziale nell’associazione finalizzata al traffico di ingenti quantitativi di stupefacenti, rilevando la sua capacità organizzativa criminale e l’assenza di prove o comportamenti sintomatici di recesso dal sodalizio o di abbandono di logiche criminali; la Corte d’Appello ha segnalato, altresì, come il proposto sia stato sottoposto da lungo tempo a custodia cautelare e non abbia, invece, scontato lunghi periodi di espiazione pena, con ciò richiamandosi alla giurisprudenza di legittimità secondo cui la detenzione determinata da custodia cautelare implica in sé la persistenza della pericolosità del soggetto sottoposto a misura di prevenzione (Sez. 1, n. 29475 del 1/3/2019).

Quanto alla confisca, il decreto d’appello ha evidenziato la connessione temporale fra il provvedimento ablativo e la pericolosità sociale qualificata manifestata da Alfonso (OMISSIS), in quanto gli acquisti dei beni immobili (anche pro quota di immobili già in parte ereditati) e la costituzione delle aziende, costituenti il nucleo dei beni confiscati, sono collocabili nel periodo di sua attiva partecipazione criminale (dal 2007 al 2013); si sono ripercorse anche alcune dichiarazioni utili di collaboratori di giustizia.

Si è ritenuta, altresì, la sproporzione tra il valore dei beni acquistati nel periodo di perimetrazione della pericolosità e i redditi dell’intero suo nucleo familiare, coinvolto nella confisca, escludendo i redditi provenienti dalle imprese agricole di famiglia ed anche alcune somme non documentate nella loro provenienza; il decreto di confisca impugnato riporta ciascuno dei beni confiscati, segnalandone il valore d’acquisto o di avviamento aziendale e, corrispondentemente, la sproporzione rispetto al reddito familiare del periodo.

Sono state rigettate dal giudice d’appello le eccezioni difensive riferite alla capacità economica dei figli del proposto, terzi intestatari di alcuni beni immobili confiscati, per l’inadeguatezza a provarla delle risorse che si assumono essere state loro donate dai nonni materni (i suoceri del proposto).

2. Propongono ricorso avverso il provvedimento d’appello il proposto e la moglie, terza intestataria, Marianna (OMISSIS), tramite il difensore ed un unico atto di impugnazione che eccepisce un unico motivo di censura.

I ricorrenti lamentano violazione di legge in relazione all’art. 24 del d.lgs. n. 159 del 2011 ed al giudizio di sproporzione reddituale e di correlazione temporale tra gli acquisti dei beni oggetto di confisca e la pericolosità qualificata di Alfonso (OMISSIS).

La tesi del ricorrente è che i reati di “narcotraffico”, accertati con decisione definitiva, e secondo la contestazione, a partire dall’anno 2011, sono stati retrodatati, nel loro “significato” di delimitazione temporale della pericolosità, fino all’anno 2008, sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonino (OMISSIS), generiche riguardo all’esistenza del sodalizio a partire da tale anno, sicché si finisce con l’eludere il principio dettato dalle Sezioni Unite nella sentenza Sez. U, n. 4880 del 2015, Spinelli e la giurisprudenza successiva, pronunce molto attente alla determinazione dell’oggetto della confisca sulla base della derivazione dei beni confiscati dalla “provvista” di accumulo delittuoso di capitali, soprattutto qualora l’ablazione si estenda a periodo successivo a quello di delimitazione della pericolosità stessa (si cita Sez. 2, n. 14165 del 1373/2018).

Né il racconto di un altro collaboratore, (OMISSIS), costituisce riscontro alle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS).

Inoltre il giudizio di sproporzione temporale è stato ricavato analizzando un periodo di capacità reddituale molto ampio, dal 1998 al 2012, con un’operazione illegittima, per le stesse ragioni già esposte con riguardo alla perimetrazione temporale della pericolosità.

In sintesi, i ricorrenti chiedono che il provvedimento impugnato venga annullato in riferimento alla confisca dei cespiti patrimoniali acquistati in epoca antecedente al mese di marzo 2011, in quanto si tratterebbe di beni immessi nel patrimonio del proposto prima del sorgere della sua pericolosità sociale.

2.1. I motivi nuovi depositati dal difensore dei ricorrenti in data 26.9.2022 ribadiscono le ragioni del ricorso ed evidenziano, in aggiunta, che due beni immobili siti in Gioia Tauro, alla via Poerio, confiscati pro quota e individuati nelle particelle catastali n. 265 e n. 266, sono stati acquisiti al patrimonio del proposto addirittura in una data antecedente alla pur illegittima retrodatazione del perimetro di sua pericolosità: il 21.9.2007, come risulta dagli atti investigativi allegati che provano il pagamento del prezzo di tali porzioni di fabbricato (la cui quota ulteriore per l’intero era pervenuta in eredità).

5. Il Sostituto Procuratore Generale, Dott. Andrea Venegoni, ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso congiunto proposto dai ricorrenti è inammissibile.

2. Anzitutto deve premettersi che il sindacato di legittimità in materia di prevenzione è circoscritto soltanto al vizio di violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 10, comma 3, d.lgs. 159/2011, ivi compreso il vizio di motivazione mancante o apparente e con esclusione dell’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. (cfr., per tutte, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Pandico, Rv. 266365).

2.1. Inoltre, la moglie del proposto, sua co-ricorrente, agendo in giudizio quale terza intestataria, soggiace alla regola interpretativa dominante nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nel caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati ad un terzo, questi può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, mentre non è legittimato a sostenere che il bene sia di effettiva proprietà del proposto, essendo del tutto estraneo ad ogni questione giuridica relativa ai presupposti per l’applicazione della misura nei confronti di quest’ultimo – quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato ed il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso – e che solo costui può avere interesse a far valere (cfr., tra le più recenti, Sez. 5, n. 333 del 20/11/2020, Icardi, Rv. 280249; Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, Simply Soc. Coop, Rv. 277225-04; Sez. 6, n. 7469 del 04/06/2019, dep. 2020, Hudorovic, Rv. 278454-03; contra un’unica sentenza: Sez. 5, n. 12374 del 14/12/2017, dep. 2018, La Porta, Rv. 272608).

Ebbene, il ricorso della terza intestataria non ha dedotto motivi specifici relativi alla effettiva titolarità, da parte sua, di qualcuno dei beni sottoposti a confisca, sicché le censure a lei riferibili, poiché formulate insieme al proposto sono, per tale ragione, inammissibili.

E la valutazione di inammissibilità non muta anche a voler seguire la più recente e condivisibile lettura della richiamata linea interpretativa maggioritaria, che, pur ponendosi dichiaratamente nell’alveo di quest’ultima, ha segnalato come il terzo intestatario possa essere ammesso a dedurre ragioni di censura che attingono alla perimetrazione temporale dell’area di confiscabilità dei beni, quando il bene confiscato fuoriesca da essa nelle misure di prevenzione o esorbiti il canone della ragionevolezza, nella confisca cd. allargata, ai sensi dell’art. 240-bis, cod. pen.; ferma restando la estraneità della difesa del terzo (tranne i casi di surroga legale del contraddittorio, in luogo del portatore di pericolosità defunto, di cui all’art.18 co. 2 e co. 3 d.lgs. n.159 del 2011) ai temi di prova strettamente correlati alla colpevolezza dell’imputato per il reato-spia della confisca estesa o alla sussistenza della condizione soggettiva di pericolosità in prevenzione (per tale impostazione, cfr. Sez. 1, n. 13375 del 20/9/2017, dep. 2018, Brussolo, Rv. 272703, in motivazione, che si fonda su un’analisi della giurisprudenza europea quanto alla valenza del principio, di rilevanza costituzionale e convenzionale, di effettività della tutela giurisdizionale).

In altre parole, il terzo intestatario può essere ammesso a documentare la datazione del suo acquisto per espungerla dall’area temporale della pericolosità del proposto quando il bene confiscato fuoriesca da essa nelle misure di prevenzione o esorbiti il canone della ragionevolezza, nella confisca cd. allargata; pericolosità che, dunque, viene in esame soltanto in via mediata e non già come motivo principale di censura consentito al ricorrente che sia terzo intestatario fittizio (cfr. Sez. 5, n. 8984 del 19/1/2022, Celentano, n.m.).

Nel caso di specie, tuttavia, il ricorso della terza intestataria, presentato solo nominalmente insieme al proposto, ma incentrato tutto sui temi della perimetrazione temporale della confisca nell’ottica della posizione giuridica di quest’ultimo e senza alcuna specificazione relativa alla titolarità effettiva di uno o più beni da parte della prima, non lascia apprezzare sotto quale profilo la sua pur ammissibile contestazione di una perimetrazione temporale illogica si colleghi alla titolarità di uno dei beni in confisca a lei intestati.

3. Il proposto è destinatario della misura di prevenzione ai sensi dell’art. 4, comma primo, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, quale soggetto gravemente indiziato del reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Il ricorso, dal punto di vista della sua formulazione oggettiva e visto dal lato del proposto, denuncia, come si è in più modi anticipato, l’errata perimetrazione temporale della confisca, evidenziando che, a fronte di reati espressivi della pericolosità qualificata, commessi, secondo le imputazioni, a partire dal 2011, la confisca ha riguardato beni acquistati in data anteriore, a partire dal 2008.

Ebbene, il Collegio rileva che il decreto impugnato ha trattato specificamente questo tema, segnalando elementi di fatto, dai quali è possibile retrodatare la genesi della pericolosità e dell’arricchimento illecito.

In particolare, si è rilevato, a pag. 9, che la datazione della pericolosità del proposto deve essere ancorata al 2008, perché, per quanto i reati contestatigli risalgano all’anno 2011, le dichiarazioni di uno dei collaboratori ((OMISSIS)) riportano il sorgere dell’associazione internazionale finalizzata allo spaccio di stupefacenti all’anno 2008; inoltre, il collaboratore di giustizia (OMISSIS), ha sostanzialmente confermato tali dichiarazioni, sostenendo che, prima del 2011, il proposto e la sua famiglia erano comunque già dediti allo spaccio.

Da tali dati, il decreto impugnato, tenuto conto delle modalità del traffico di stupefacente, che presuppone in ogni caso una struttura organizzativa, più o meno complessa, ma comunque fluida nel suo divenire nel tempo, il che implica l’impossibilità di definire il suo sorgere in un momento unico e specifico ben preciso, desume la corrispondenza della collocazione cronologica ad un’epoca anteriore al 2011, e individuabile negli anni precedenti al conclamato manifestarsi della pericolosità, culminato nella contestazione di reato.

Alla luce di quanto qui sinteticamente ricostruito, appare evidente che il provvedimento impugnato sia corredato da una motivazione adeguata relativamente al periodo di riferimento della confisca, fatto risalire sino al 2008 sulla base di elementi valutativi concreti (dichiarazioni di collaboratori non generiche, ma puntuali e coerenti tra loro, nel nucleo essenziale) e non illogici, oltre che allineati all’impianto ermeneutico di questa Corte regolatrice e della giurisprudenza costituzionale (cfr. la sentenza n. 33 del 2018 Corte cost., in tema di confisca “allargata”) che impongono, riguardo alla confisca, il rispetto di un canone di “ragionevolezza temporale” tra il momento di acquisizione del bene e quello di realizzazione del reato spia ovvero di emersione della pericolosità sociale.

Il Collegio rammenta la giurisprudenza consolidata in tema di misure di prevenzione che, con le Sezioni Unite, ha chiarito come la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, sia anche “misura temporale” del suo ambito applicativo; ne consegue che, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato (Sez. U, n. 4880 del 26/6/2014, Spinelli, Rv. 262605-01).

E non vi è dubbio che vi siano delle zone intermedie, nelle quali la pericolosità qualificata non sia tipologicamente e propriamente mafiosa, e tuttavia coinvolga significative dinamiche associative ed organizzative, spesso contigue o derivate da realtà mafiose, che intersecano orizzontalmente periodi lunghi di vita del proposto, come accade in tema di pericolosità “qualificata” dall’essere il soggetto coinvolto in reati di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ancor più se in qualità di promotore.

In relazione ad esse, se è vero che si è evidenziata la necessità per il giudice di individuare il preciso periodo di manifestazione della pericolosità sociale, determinandone, pur solo attraverso elementi indiziari, i momenti iniziale e finale in funzione del coinvolgimento del predetto nelle attività illecite, con conseguente ingiustificato arricchimento, al fine di procedere all’ulteriore valutazione attinente all’eventuale sproporzione degli acquisti rispetto alle entrate lecite e disporre l’ablazione dei beni il cui valore appaia incongruo (Sez. 2, n. 2300 del 20/5/2021, Oleszewska, Rv. 281457), tuttavia tale individuazione non deve coincidere sempre con la data di contestazione della condotta di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.

Possono ben emergere, infatti, elementi che, come nel caso di specie, impongono di propendere per una retrodatazione dell’ampiezza della curva di arricchimento, pur se tali elementi non siano stati ritenuti idonei a collocare con chiarezza l’accusa penale in un momento antecedente a quello di emersione di elementi congrui ed idonei a sostenere un processo.

Ed invero, sempre in tema di confisca (seppur non di prevenzione, ma disposta ai sensi dell’art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito nella legge n. 7 agosto 1992, n. 356) è stato affermato che la presunzione di illegittima acquisizione da parte dell’imputato di beni di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata deve essere circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale, dovendosi dar conto che i beni non siano “ictu oculi” estranei al reato perché acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione (Sez. 2, n. 52626 del 26/10/2018, Rv. 274468 -01).

Il principio può essere applicato anche alle misure di prevenzione “qualificate”, in relazione alle quali, anzi, è l’intera attitudine di vita volta alla commissione di delitti in forma associativa – e le sue ricadute in termini di illecito accumulo patrimoniale, quanto alla confisca – a venir in esame, piuttosto che la vicinanza tra la commissione di un singolo fatto di reato e l’acquisto patrimoniale oggetto di un provvedimento ablatorio.

Per esempio, si è ritenuto che non rientri in un criterio di ragionevolezza temporale una confisca allargata di beni acquistati nel 2003, a fronte di condotte illecite commesse dal 2011 al 2013, valorizzando l’eccessiva distanza temporale tra la commissione del reato “spia” e l’acquisto oggetto di ablazione (Sez. 5, n. 21711 del 28/02/2018, Betti, Rv. 272988); ed anche si è esclusa la presunzione di illegittima acquisizione in relazione a beni acquistati in epoca “di gran lunga anteriore” rispetto ai delitti contestati (Sez. 2, n. 52626 del 26/10/2018, Grillo, Rv. 274468).

Viceversa, si è ritenuto rispettato il presupposto della “ragionevolezza temporale” in relazione ad un acquisito effettuato un anno prima rispetto al formale inizio dell’attività criminosa (Sez. 1, n. 41100 del 16/04/2014, Persichella, Rv. 260529).

Del resto, con riguardo ai periodi successivi alla data di cessazione della pericolosità qualificata mafiosa, così come individuata dal decreto di prevenzione, si è già affermato che, anche nel caso in cui la fattispecie concreta consenta di determinare il momento iniziale e finale della pericolosità qualificata, è legittimo disporre la misura ablativa su beni acquisiti in periodo successivo a quello di cessazione della condotta permanente, ove ricorra una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di compimento dell’attività delittuosa (Sez. 2, n. 14165 del 13/3/2018, Alma, Rv. 272377; Sez. 6, n. 5778 del 16/5/2019, dep. 2020, Cammarata, Rv. 278328; vedi anche Sez. 5, n. 49479 del 13/11/2019, Caputo, Rv. 277901).

3.1. Nel caso di specie, appare logico e privo di distonie argomentative sostenere che rientri nell’ambito dell’esplicazione del criterio di ragionevolezza temporale la confisca di beni acquistati tre anni prima dell’inizio formale del reato, per come contestato al ricorrente, a fronte di una tipologia di illecito per la quale, come si è già chiarito, è arduo indicare una precisa data formale di inizio: il fenomeno associativo, infatti, presuppone un’area di operatività sfumata che correttamente viene valutata in modo eet,e, rigoroso nel processo penale, nel momento in cui vengono in essere tutti gli elementi costitutivi del reato e le prove relative ad essi, ma che lascia margini di nuova evidenza nel procedimento di prevenzione, in presenza di diversi, ulteriori dati, sia pur ritenuti non determinanti nel processo penale.

A fronte di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, quindi, che, comunque, collocano la commissione del reato coerentemente anche nel periodo cui si riferisce l’ablazione e di una rilevante sproporzione tra gli acquisti patrimoniali e la capacità reddituale dichiarata dal proposto, l’epilogo di confisca non è in contrasto con le opzioni giurisprudenziali ripercorse.

Tali elementi ben possono configurare quegli “indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di compimento dell’attività delittuosa”, richiesti dalla giurisprudenza di legittimità per giustificare le ablazioni riferite a periodi che fuoriescono dal perimetro della pericolosità sociale, per come individuata nella misura di prevenzione. Inoltre, è stato condivisibilmente affermato che tali indici devono essere tanto più rigorosi ed univoci quanto maggiore è il lasso di tempo decorso dalla cessazione della pericolosità (Sez. 6, n. 36421 del 6/9/2021, Palmeri, Rv. 281990) e, dunque, anche dal suo inizio.

Deve, pertanto, affermarsi che, in tema di confisca di prevenzione, è legittimo disporre la misura ablatoria delle utilità acquisite in un periodo antecedente a quello per cui è stata asseverata la pericolosità sociale, purché il giudice dia atto della sussistenza di una pluralità di indici fattuali dimostrativi della derivazione delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di compimento della attività illecita, e tali indici devono essere tanto più rigorosi ed univoci quanto maggiore è il lasso di tempo decorso dal primo manifestarsi della pericolosità conclamata, come delimitata nel decreto applicativo della misura di prevenzione.

4. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti che lo hanno proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n.186 del 2000), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che ritiene equo e congruo determinare in euro 3.000 .

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 14 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.