Tributi – Dichiarazione congiunta – Cartella di pagamento – Notifica al coniuge in qualità di coobbligato – Legittimità (Corte di Cassazione, Sezione V Civile, Sentenza 14 aprile 2020, n. 7803).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUINTA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 26012/2012 R.G. proposto da:

CONSOLI MARIA BRUNA, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Ferrajoli e dall’avv. Giuseppe Fischioni, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Della Giuliana, n. 32.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione n. 67, n. 90/67/12, pronunciata il 6/02/2012, depositata il 2/04/2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14 gennaio 2020 dal Consigliere Riccardo Guida;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Immacolata Zeno che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito l’avv. Giovanni Palatiello per l’Avvocatura generale dello Stato.

FATTI DI CAUSA

Maria Bruna Consoli impugnò una cartella di pagamento (di euro 3.135.359,00) emessa a seguito del passaggio in giudicato delle sentenze che avevano confermato la legittimità degli avvisi di accertamento, per le annualità 1991 e 1992, in rettifica delle dichiarazioni «congiunte» presentate dal marito Carlo Scarani, ai sensi dell’art. 17, della legge 13 aprile 1977, n. 114 (nella formulazione vigente ratione temporis), che accertavano maggiori redditi di partecipazione di quest’ultimo ad alcune società di persone.

Il giudice di prossimità respinse il ricorso, con decisione che, in esito all’appello della contribuente, è stata confermata dalla Commissione regionale, la quale ha ritenuto:

(a) infondata l’eccezione di nullità della notificazione della cartella di pagamento, posto che l’Agenzia aveva prodotto in giudizio il documento estratto dal sistema informativo dell’anagrafe tributaria attestante che l’iscrizione a ruolo era avvenuta nei confronti di Scarani, in qualità di intestatario, e di Consoli in qualità di coobbligata, la quale aveva ricevuto la notificazione della cartella non come debitrice principale, ma come coobbligata;

(b) che la dedotta violazione del diritto di difesa sarebbe stata riferibile, ipoteticamente, al giudizio d’impugnazione degli avvisi di accertamento, ma non poteva essere trasferita nel presente giudizio, testualmente «ostandovi il principio della impugnabilità di ciascuno atto per “vizi propri” stabilito dall’art. 18 comma 3 d.P.R. n. 546/1992.»;

(c) infondata la censura di erronea interpretazione, da parte del giudice di primo grado, dell’art. 17, quinto comma, della legge n. 114/1977, in quanto, secondo la prospettazione dell’appellante, già disattesa dal primo giudice, la responsabilità solidale dei coniugi co-dichiaranti dovrebbe intendersi limitata alle obbligazioni tributarie derivanti direttamente dal contenuto della dichiarazione congiunta e non si estenderebbe alle maggiori imposte accertate in capo ad uno solo dei coniugi.

La contribuente ricorre per la cassazione di questa sentenza, sulla base di sei motivi;

l’Agenzia resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso [I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 3, del d.lgs. n. 546/92 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.], la ricorrente si duole che la sentenza impugnata poggi su una norma – l’art. 18, cit. – del tutto inconferente rispetto alla fattispecie concreta ed estranea rispetto alla ratio decidendí della stessa pronuncia d’appello.

1.1. Il motivo è infondato.

Dalla lettura della sentenza qui impugnata si evince con chiarezza che la CTR ha fatto riferimento al principio di impugnabilità degli atti impositivi per vizi propri, sancito dall’art. 19, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e che, per un mero refuso, privo di conseguenze sul piano giuridico, è stato indicato come «art. 18» anziché (correttamente) come «art. 19».

2. Con il secondo motivo l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c.], la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere qualificato l’allegata lesione del diritto di difesa quale eccezione processuale, insuscettibile di essere apprezzata nel merito, perché proposta nel giudizio d’impugnazione della cartella esattoriale.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Il vizio di motivazione, secondo la formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., vigente ratione temporis, consiste nella «omessa, insufficiente o contradditoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio».

Questa Corte, anche di recente (Cass. 3/10/2018, n. 24035), ha chiarito che: «il «fatto» ivi considerato è un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza in senso storico- naturalistico (Cass. n. 21152/2014).

Il fatto in questione deve essere decisivo: per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza avrebbe condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data (Cass. n. 28634/2013; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 24092/2013; Cass. n. 18368/2013; Cass.n. 3668/2013; Cass. n. 14973/2006).

Ciò premesso, in punto di diritto, nella fattispecie concreta non viene allegato alcun «fatto», secondo l’accezione storico-naturalistica delineata dai succitati princìpi di diritto, ma si sollecita la Corte, in modo non consentito, alla revisione della soluzione giuridica adottata dalla Commissione regionale, che ha escluso che, nel giudizio d’impugnazione della cartella di pagamento, fosse configurabile una lesione del diritto di difesa della parte privata.

3. Con il terzo motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 3, della Legge n. 114/77, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.], la ricorrente censura la sentenza impugnata per essersi posta in contrasto con il dettato dell’art. 17, cit., laddove ha considerato corretta l’intestazione della cartella a carico della stessa contribuente.

3.1. Il motivo è infondato.

In disparte la prospettabile inammissibilità della doglianza in esso contenuta perché formulata in termini poco chiari, nella specie non è ravvisabile alcuna violazione di legge, ascrivibile alla Commissione regionale e, prima ancora, all’Amministrazione finanziaria che, oltre a notificare la cartella al debitore principale (Scarani), l’ha notificata alla moglie (odierna ricorrente), quale condebitore solidale.

4. Con il quarto motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 5, della Legge n. 114/77, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.], la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere affermato, dissentendo dalla prospettazione dell’appellante, che la responsabilità dei coniugi, in caso di dichiarazione congiunta, sussista anche in ordine alla maggiore imposta, accertata a carico di uno di essi, e non soltanto in ordine all’imposta dovuta in base alla dichiarazione congiunta.

5. Con il quinto motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del D.Igs. 472/97, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.], si censura la sentenza impugnata con specifico riferimento al profilo sanzionatorio in quanto l’attribuzione, alla ricorrente, della responsabilità per le sanzioni irrogate in conseguenza della rettifica dei redditi di partecipazione societaria dichiarati dal coniuge, sarebbe lesiva del principio di personalità della sanzione.

5.1. Il quarto e il quinto motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono infondati.

La decisione della CTR è conforme al consolidato orientamento di questa Sezione tributaria, al quale il Collegio intende dare continuità, secondo cui: «l’art. 17 I. 114/1977 (nella versione applicabile ratione temporis) – nel prevedere che i coniugi non separati hanno la facoltà di “presentare su unico modello la dichiarazione unica del redditi di ciascuno di essi” – dispone:

a) che le somme dovute vanno iscritte a ruolo a nome del marito e che la conseguente cartella va a questi notificata nonché che gli accertamenti in rettifica sono effettuati a nome di entrambi i coniugi con notifica eseguita nei confronti dei marito ed, altresì;

b) che “i coniugi sono responsabili in solido per il pagamento dell’imposta, soprattasse, pene pecuniarie ed interessi iscritti a ruolo a nome del marito”.

Tale normativa è consolidatamente letta nel senso che, con la libera scelta di presentare la dichiarazione congiunta, i coniugi dichiaranti accettano anche i rischi inerenti alla disciplina propria dell’istituto e, specificamente, sia quelli inerenti alla previsione della notifica degli atti impositivi al solo marito sia quelli concernenti le conseguenze (sostanziali e processuali) proprie delle obbligazioni solidali; ciò, fatta, tuttavia, salva (cfr. C. cost., ord. 215/04) la possibilità per la moglie di contestare, nel merito, l’obbligazione del marito, entro i termini decorrenti dalla notifica dell’atto con il quale venga per la prima volta a conoscenza della pretesa tributaria nei confronti del coniuge, cui non è attribuita la legittimazione ad agire anche per il coniuge (cfr., tra le altre Cass. ord., 17160/14, 20857/10, 20709/07, 19896/06).

Da tale premessa conseguono due corollari […]. In primo luogo, il corollario secondo cui la responsabilità solidale dei coniugi, che abbiano presentato “dichiarazione congiunta”, opera anche nel caso in cui il coniuge co-dichiarante sia estraneo alla produzione dei redditi accertati nei confronti del dichiarante (cfr. Cass. 9209/11) ed, addirittura, quando detti redditi siano provento di illecito penale da esso commesso (cfr. Cass. 19026/14).» (Cass. 27/01/2016, n. 1463).

6. Con il sesto motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del D.Igs. 602/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.], la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere considerato che l’iscrizione a ruolo delle imposte e degli interessi a carico del marito era avvenuta a titolo provvisorio – per i 2/3 del tributo – in seguito alla sentenza di primo grado, mentre a carico del coobbligato poteva essere iscritta solamente una pretesa fiscale accertata in via definitiva.

6.1. Il motivo è inammissibile.

La doglianza in esso contenuta non risulta essere stata dedotta nel giudizio di merito; al riguardo è opportuno ricordare che, secondo l’orientamento pacifico di questa Corte, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 26/03/2012, n. 4787).

Il contribuente, per evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 16/06/2017, n. 15029; 31/01/2006, n. 2140).

7. Ne consegue il rigetto del ricorso.

8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 14.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 14/01/2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.