Un chiosco alimentare posizionato vicino a casa non viola la normativa sulle distanze (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 19 marzo 2021, n. 7857).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 03834-2016 proposto da:

CARLO (OMISSIS) rappresentato e difeso dall’avv. Mara (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato a Roma, presso lo studio dell’avv. Maria Beatrice (OMISSIS) in Piazza (OMISSIS) 12;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI RAVENNA in persona del sindaco pro-tempore Fabrizio Matteucci, rappresentato e difeso dagli avvocati Ernesto (OMISSIS), Giorgio (OMISSIS), Patrizia (OMISSIS) e Maria Teresa (OMISSIS);

– controricorrenti –

nonché contro

GIORGIO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1160/2015 della Corte d’Appello di Bologna pubblicata il 19/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/10/2020 dal Consigliere Dott.ssa Annamaria Casadonte;

rilevato che:

– il presente giudizio trae origine dal ricorso, presentato dal sig. Carlo (OMISSIS) avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna che aveva rigettato il di lui gravame e confermato la decisione del Tribunale di Ravenna di rigetto della domanda di demolizione e arretramento del chiosco per la vendita di bevande ed alimenti di proprietà del sig. Giorgio (OMISSIS), in quanto nuova costruzione realizzata senza il rispetto della distanza inderogabile di dieci metri ai sensi dell’art. 9 comma 1, punto 2) D.M. 1444/1968;

– il primo giudice ha ritenuto che il chiosco del (OMISSIS), realizzato sull’area pubblica e posto a più di tre ma meno di dieci metri dall’abitazione dell’attore (OMISSIS) non violasse le distanze, essendo applicabile nella zona A di localizzazione del chiosco, secondo le previsioni del regolamento comunale, l’art. 873 cod. civ, con esclusione dell’applicabilità del D.M. n. 1444/1968;

– con l’appello il sig. (OMISSIS), ha dedotto che erroneamente il primo giudice ha negato l’applicabilità dell’art. 9 punto 2) del D.M. 1444/1968 visto che il chiosco deve considerarsi nuova costruzione e censura l’applicazione del criterio della prevenzione temporale come operata dal Tribunale, perché tale criterio va riferito al momento della realizzazione degli edifici e non, come affermato nel provvedimento impugnato, al momento dell’acquisto del bene da parte del (OMISSIS);

– la Corte d’appello ha rigettato l’impugnazione argomentando che la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate dei fabbricati che i Comuni devono osservare ai sensi dell’art. 9, comma 1, D.M. n.1444/1968 non riguarda la zona del centro storico, dove i distacchi possono essere minori e pertanto conclude per l’inapplicabilità della distanza di dieci metri al chiosco in questione;

– la cassazione di detta sentenza viene chiesta dal sig. (OMISSIS) sulla scorta di ricorso affidato a due motivi cui resiste con controricorso il Comune di Ravenna;

– entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380-bis.1. cod. proc. civ.;

– non ha svolto attività difensiva l’intimato Giorgio (OMISSIS);

considerato che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione/falsa applicazione dell’art. 9 comma 1, punti 1 e 2) del d.m. 1444/1968 in relazione all’art. 360 co 1, n. 3 cod. proc. civ.;

– secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe violato le disposizioni citate laddove non ha ritenuto che, in presenza di una nuova costruzione in centro storico, così qualificato il chiosco realizzato dal sig. (OMISSIS), trovi applicazione la distanza di dieci metri prevista dal D.M. 1444/1968, comma 1, punto n.2 ;

– con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 30 co. 1 lett. a) d. I. n. 69/2013 in relazione all’art. 360 co 1, n, 3 cod. proc. civ.;

– ad avviso del ricorrente, la decisione del giudice dell’appello sarebbe viziata perché il giudice avrebbe affermato la derogabilità delle norme del decreto n. 1444/1968 riconoscendo alle Regioni la facoltà di prevedere con proprie leggi disposizioni su quelle da esso dettate;

– i due motivi possono essere esaminati congiuntamente per l’assorbente considerazione che il ricorso è infondato dovendosi procedere, ai sensi dell’art. 384, comma 4, cod. proc civ., in senso correttivo della motivazione in diritto valorizzata dalla corte territoriale per giungere ad un dispositivo conforme a diritto;

– infatti, come eccepito dal Comune controricorrente sin dal primo atto di costituzione e poi riproposto in appello, il chiosco in oggetto è ubicato sul suolo pubblico comunale e, pertanto, rispetto ad esso non trova applicazione la previsione sulle distanze di cui all’art. 9, comma 1, punto n.2) del D.M. 1444/1968 – D.M. che emanato su delega della L. 1150/1942 art. 41-quienquies (c.d. legge urbanistica) ha efficacia di legge dello Stato;

– ciò in quanto l’art. 879, comma 2 cod. civ., dispone che alle costruzioni che si fanno in confine cori le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma debbono osservarsi le leggi ed i regolamenti che le riguardano;

– costituisce altresì principio ormai consolidato, a cui il Collegio intende assicurare continuità, che le norme sulle distanze legali disciplinano i rapporti tra fondi privati contigui e non trovano applicazione quando si tratti di opera costruita su area di proprietà demaniale, atteso che, in tal caso, l’eventuale pregiudizio dei diritti dei proprietari dei fondi contigui deve essere valutato in relazione all’uso normale spettante ai medesimi sul bene pubblico (Cass. Sez., 2, n.1558/1974; Cass. Sez.2, n.9913/2017);

– a tale conclusione sono pervenute le Sezioni unite di questa Corte quando hanno affermato che l’art. 873 cod. civ., che regola la distanza da osservarsi tra costruzioni su fondi finitimi non è applicabile alle costruzioni erette su suolo pubblico (nella specie, chiosco per carburanti), in confine con i fondi dei proprietari frontisti, ai quali spetta soltanto l’uso normale delle piazze e delle strade e l’eventuale limitazione di tale uso non lede un diritto soggettivo del frontista ma può ledere soltanto l’interesse occasionalmente protetto alla conservazione dei vantaggi derivanti da detto uso normale, come la visuale, l’accesso, ecc. (Sez. U, Sentenza n. 1638 del 23/06/1964, Rv. 302363;);

– in applicazione di detto principio è stato, più recentemente, ritenuto legittimo un piano comunale di localizzazione che, relativamente alle rivendite di giornali (edicola) poste sulla via pubblica, deroghi, in riduzione, alle prescrizioni dell’art. 9, del d.m. n. 1444 del 1968, giacché le costruzioni erette su suolo pubblico a confine con i fondi dei proprietari frontisti, sono soggette solo alle disposizioni delle leggi e dei regolamenti che specificamente le riguardano, ex art. 879, comma 2, c.c., non trovando applicazione la disciplina di cui all’art. 873 c.c. né l’art. 9 del D.M. 1444/1968 (cfr. Cass. sez. 2, n. 2863/2016);

– ciò posto e poiché è pacifico che il chiosco del (OMISSIS) è collocato sul marciapiede della piazza e cioè su area appartenente al demanio comunale, va affermata anche in questo caso l’inapplicabilità della disciplina delle distanze di cui all’art. 9 D.M. 1444/1968;

– la conclusione è assorbente rispetto a quella della derogabilità delle disposizioni dell’art. 9 D.M. 1444/1968, prospettata nel secondo mezzo;

– conclusivamente, quindi, il ricorso va respinto ed il ricorrente condannato alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente Comune di Ravenna nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese a favore del controricorrente e liquidate in euro 5300,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 02/10/2020.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.