Un condomino fa di tutto per spaventare i clienti del Pub sottostante: è stalking (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 1 febbraio 2021, n. 3795).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Presidente

Dott. SCARLINI Enrico Vittorio S. – Consigliere

Dott. SETTEMBRE Antonio – Rel. Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) GIOVANNI nato a (OMISSIS) (OMISSIS) il 31/03/1956;

avverso la sentenza del 31/10/2017 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa KATE TASSONE che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

L’avvocato (OMISSIS), per la parte civile, si riporta alle conclusioni depositate in cancelleria unitamente alla nota spese.

L’avvocato (OMISSIS) dopo aver brevemente illustrato i motivi di ricorso chiede l’annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza di prima cura, che aveva condannato (OMISSIS) Giovanni per atti persecutori in danno di (OMISSIS) Paola ed i suoi congiunti, nonché per violazione della corrispondenza indirizzata all’esercizio commerciale gestito dalla donna.

Secondo quanto si legge in sentenza la persona offesa e l’imputato condividevano gli stessi spazi condominiali: la persona offesa come gestore del (OMISSIS) Pub e l’imputato come occupante di un appartamento.

Si trattava, in pratica, di un’area a destinazione commerciale dove, nel tempo, erano state edificate anche unità immobiliari adibite ad abitazione.

A tale centro – al cui interno esisteva un’area destinata a parcheggio – si accedeva attraverso un cancello comandato elettricamente.

La convivenza aveva creato problemi tra i gestori del PUB e gli abitanti degli immobili, tra cui (OMISSIS), il quale aveva intrapreso, fin dal 2009, azioni di disturbo nei confronti dei gestori del PUB, consistenti:

– nell’apposizione, sulle inferriate del centro commerciale, di scritte quali “divieto di accesso”, “passo carrabile”, “proprietà privata”;

– nella sottrazione di corrispondenza destinata all’esercizio commerciale;

– nella collocazione, all’interno della buca delle lettere dell’esercizio commerciale, di un coltello da cucina e spazzatura varia;

– nell’occupazione dell’area di parcheggio riservata al (OMISSIS) PUB, facendovi stazionare vetture proprie, e nell’ostacolare l’accesso al locale commerciale parcheggiando la propria auto in prossimità del cancello d’ingresso al centro;

– nella sostituzione del motore del cancello che consentiva l’accesso al centro commerciale, senza fornire alla (OMISSIS) la chiave di sblocco del meccanismo, in caso di avaria (ma era stata fornita la chiave di accesso);

– nell’aggressione fisica posta in essere in danno del figlio della (OMISSIS), (OMISSIS) Giuseppe;

– nell’abbandono di bottiglie di vetro frantumate nell’area di parcheggio antistante il (OMISSIS) Pub;

– nel proferire invettive nei confronti della (OMISSIS) e dei suoi familiari.

Alla base della decisione vi sono le dichiarazioni della persona offesa e dei familiari di quest’ultima e la visione dei filmati delle telecamere esistenti in loco.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato dolendosi – sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale – del fatto che la Corte d’appello avrebbe omesso di confrontarsi con gli argomenti difensivi e di fornire risposte alle molte censure mosse alla sentenza di primo grado, con le quali era stata rappresentata la grave conflittualità esistente tra (OMISSIS) e gli abitanti del centro, imputabile proprio ai comportamenti della presunta persona offesa.

Questa, infatti, operava – secondo il ricorrente – in spregio dei diritti degli altri condomini, gestendo il Pub in modo illegittimo, consentendo la permanenza degli avventori negli spazi condominiali fino alle tre di notte, pretendendo di tenere aperto il cancello di ingresso fino a tarda ora, tollerando gli schiamazzi degli avventori e l’uso indebito degli spazi comuni, occupati illegittimamente dagli avventori e imbrattati e sporcati proprio da costoro.

Ne sono prova – deduce – le numerose denunce presentate dai condomini, le condanne inflitte alla (OMISSIS) per il reato di cui all’art. 659 cod. pen. e il procedimento amministrativo avviato per la chiusura del locale, di cui era stato accertato il difetto di sorvegliabilità esterna.

Sotto altro profilo lamenta che il giudice d’appello si sia appiattito sulle dichiarazioni della (OMISSIS), di cui è stata omessa la valutazione dell’attendibilità, nonostante si tratti di persona imputata di reati connessi, e che sia stata omessa la valutazione di altre dichiarazioni – rese da terzi disinteressati – “in merito alla aggressione ai danni di (OMISSIS) Francesco in uno con le contraddizioni di quest’ultimo”; contesta l’efficacia dimostrativa dei filmati, da cui si evincerebbe solamente il prelievo – effettuato, per curiosità, da parte sua – di corrispondenza pubblicitaria indirizzata al PUB.

Inoltre, non è stato considerato – circostanza debitamente dedotta in appello – che non esistevano spazi dell’area scoperta riservati al proprietario del PUB (e quindi non c’era stata, da parte sua, occupazione abusiva di area privata) e che era stata proprio la (OMISSIS) a divellere cartelli segnaletici fissati alla recinzione del centro commerciale, per disciplinarne l’accesso.

Infine, deduce, non è stata rispettata la giurisprudenza di legittimità che richiede una prova più rigorosa e una motivazione più stringente allorché – come emerso dall’istruttoria – gli atti di disturbo siano stati reciproci, e nulla è stato dimostrato in ordine all’evento del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non merita accoglimento.

Sebbene il ricorrente parli di “numerose questioni” (ne elenca ventotto), che la sentenza di appello avrebbe omesso di esaminare, in realtà l’impugnativa ruota intorno a pochi argomenti rilevanti per la soluzione della re-iudicanda, sui quali i giudici di merito si sono espressi in maniera completa e priva di palesi illogicità.

E’ vero che la sentenza d’appello è stringata nella parte motiva, ma riporta ampiamente, nella parte narrativa, gli elementi probatori su cui la decisione si fonda e mostra di aderire pienamente alla ricostruzione del primo giudice, a cui si è riportata; inoltre, ha affrontato espressamente – come si dirà – le sole questioni su cui, stante il tenore dell’appello, erano richieste delle risposte.

Le due sentenze si fondono, pertanto, in un unico corpo argomentativo, sicché vanno valutate unitariamente per giudicare della congruenza della risposta giudiziaria.

1. Non corrisponde a verità, innanzitutto, che i giudici abbiano ignorato la grave conflittualità esistente tra le parti, avendone dato ampiamente atto (pag. 11 della sentenza di primo grado e pag. 9 della sentenza d’appello) e avendo proceduto all’esame del materiale probatorio con circospezione e prudenza, basando il proprio giudizio non solo sulle dichiarazione della (OMISSIS) ma, principalmente, sulle riprese della telecamera installata da quest’ultima a guardia del parcheggio.

Hanno tenuto conto dei procedimenti giudiziari avviati nei confronti della persona offesa, rilevando che questa non è stata indagata o imputata per condotte commesse con violenza o minaccia, ma solo per un reato tipicamente riconducibile alla gestione dell’attività commerciale: quello di cui all’art. 659 cod. pen., da cui è stata, peraltro, assolta (pag. 9 della sentenza d’appello).

2. L’assoluzione dal reato di cui all’art. 659 cod. pen. rimarcata dalla sentenza d’appello – costituisce logica confutazione della tesi difensiva, secondo cui la responsabilità della conflittualità esistente tra le parti sarebbe della (OMISSIS).

I giudici hanno non solo rimarcato che quest’ultima non si è mai resa responsabile di comportamenti aggressivi, essendosi sempre rivolta all’Autorità giudiziaria per avere tutela, ma hanno escluso la reciprocità delle offese, tali non potendosi intendere i comportamenti inurbani eventualmente tenuti dai clienti del pub, all’interno o all’esterno del locale.

Oltretutto, la riconducibilità di quei comportamenti alla negligenza della (OMISSIS) è stata logicamente esclusa in base all’assoluzione pronunciata nel giudizio che l’ha riguardata, tant’è che nemmeno l’imputato è stato in grado di indicare condotte riprovevoli imputabili alla persona offesa, salvo addebitarle – con giudizio proprio soggettivo – quello degli avventori.

Nemmeno la rimozione – da parte della persona offesa – dei cartelli apposti dallo stesso imputato sul cancello di ingresso all’area condominiale e sulla relativa recinzione possono inficiare il giudizio del Tribunale e della Corte d’appello, atteso che – come rimarcato dal giudice di primo grado – (OMISSIS) operava in un’ampia struttura commerciale, ricadente in zona omogenea D e F del PRG; vale a dire, in un’area a destinazione commerciale, ove, in violazione della normativa urbanistica, erano state costruite unità immobiliari destinate ad abitazione, tant’è che il TAR aveva annullato i provvedimenti amministrativi che avevano revocato l’autorizzazione alla somministrazione al pubblico di alimenti e bevande (pag. 4).

Dal che si arguisce che i conflitti tra negoziante e abitatori dell’area avevano avuto origine nell’abusività della dimensione residenziale e non già di quella commerciale.

Prova ne è il fatto che non risultano procedimenti amministrativi conclusisi sfavorevolmente per la (OMISSIS), tale non potendosi intendere quello avviato per difetto di sorvegliabilità esterna, sul cui esito nulla è stato dedotto, né dimostrato, e che non riguarda, comunque, le modalità di gestione del pub.

3. La semplice lettura della sentenza impugnata e di quella di primo grado, a cui quella d’appello ha fatto espresso rimando, dimostra inequivocabilmente che i giudici hanno operato un vaglio attento e approfondito delle dichiarazioni della (OMISSIS), ritenendola caratterizzata da “assoluto rigore logico, precisa nella descrizione delle circostanze che hanno acceduto ai fatti, sprovvista di contraddizioni, costante”, sicché hanno escluso qualsiasi intento calunnioso della donna, qualsiasi elaborazione fantasiosa o sentimento di vendetta (pag. 11 della sentenza di primo grado e pag. 9 della sentenza d’appello).

Pur tuttavia, non hanno mancato di passare in rassegna i numerosi riscontri esterni, rappresentati da un numero considerevole di CD, contenenti le riprese delle telecamere di sorveglianza esterna, che hanno filmato le molteplici condotte di disturbo poste in essere dall’imputato in un lungo arco di tempo (sottrazione della corrispondenza, disseminazione di bottiglie nel parcheggio condominiale, sosta selvaggia, occupazione – per puro spirito emulativo – degli spazi antistanti il pub, immissione di rifiuti nella buca delle lettere, ecc.).

Trattasi, all’evidenza, di elementi dotati proprio della particolare efficacia dimostrativa pretesa, in considerazione della asserita reciprocità delle offese, dal ricorrente, sicché anche sotto tale profilo la sentenza resiste vittoriosamente alle censure della difesa.

Inutilmente, poi, quest’ultima insiste sulle responsabilità della (OMISSIS) nell’imbrattamento dell’area condominiale e nell’abusiva occupazione degli spazi comuni, giacché le riprese delle telecamere – su cui i Tribunale e Corte d’appello si sono basati per la formulazione del giudizio di loro spettanza – hanno restituito una realtà diversa (ampiamente sfavorevole all’imputato), che questa Corte non può conoscere se non attraverso il resoconto del giudice di merito.

E altrettanto inutilmente l’imputato ripropone una versione diversa del contrasto intercorso col figlio della (OMISSIS), oggetto di diverso procedimento, dal momento che tale contrasto non ha avuto praticamente peso nel giudizio sullo stalking, basato essenzialmente sulla prova degli innumerevoli atti di molestia sopra passati in rassegna.

4. Per giurisprudenza consolidata l’evento del reato di atti persecutori va accertato attraverso l’esame di tutti gli elementi di prova consegnati dall’istruttoria, comprese le dichiarazioni testimoniali, e attraverso la valutazione della intrinseca insidiosità delle condotte accertate.

Nella specie, l’accento posto dal giudicante sugli innumerevoli atti di disturbo accertati, sulla durata delle molestie e sulla loro gravità – idonea sia a fuorviare la clientela, sia a sottrarre all’impresa la corrispondenza a questa diretta, sia a insolentire le persone, sia a creare timori per la loro incolumità, atteso che frequentemente le situazioni conflittuali sfociano in aggressioni alla persona – dà ampiamente conto del perdurante e grave stato di ansia e di paura ritenuto dal giudicante, atteso che i comportamenti addebitati a (OMISSIS) hanno effettivamente l’idoneità destabilizzatrice ad essa attribuita e atteso che anche la prova testimoniale, attentamente valutata, depone nella stessa direzione.

Anche l’ultimo motivo di ricorso è pertanto infondato.

5. Segue il rigetto del ricorso atteso che i motivi proposti, pur se non manifestamente inammissibili, risultano infondati per le ragioni sin qui esposte; ai sensi dell’art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del procedimento nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori di legge.

Così deciso il 16/12/2020.

Depositato in Cancelleria il 1° febbraio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.