Vettura sottratta dal garage a pagamento: la denuncia di una rapina non salva il titolare della struttura (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 31 maggio 2023, n. 15365).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARRATO Aldo – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CAPONI Remo – Consigliere –

Dott. ROLFI Federico Vincenzo Amedeo – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23351/2018 R.G. proposto da:

GIUSEPPE (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA VIA (OMISSIS) (OMISSIS), 9, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO (OMISSIS)

–ricorrente–

contro

CARMINE (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA VIA (OMISSIS) 6, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) PIERLUIGI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO (OMISSIS)

–controricorrente–

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI n. 473/2018 depositata il 31/01/2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/05/2023 dal Consigliere Dott. Federico Rolfi.

RITENUTO IN FATTO

1. CARMINE (OMISSIS) convenne, dinanzi al Tribunale di Napoli, GIUSEPPE (OMISSIS), chiedendo la condanna di quest’ultimo al risarcimento dei danni – quantificati in almeno € 12.000,00 – pretesi dall’attore stesso per effetto della sottrazione della sua autovettura, avvenuta mentre il veicolo era custodito presso l’autorimessa del convenuto.

Il Tribunale di Napoli, nella regolare costituzione di GIUSEPPE (OMISSIS), respinse la domanda, ritenendo che le prove assunte in giudizio avessero confermato la tesi difensiva del convenuto, e cioè che l’autovettura era stata sottratta nel corso di una rapina, concludendo, pertanto, che tale circostanza veniva ad integrare la prova liberatoria contemplata dall’art. 1780 c.c., e cioè la perdita della cosa per fatto non imputabile al depositario.

2. Proposto appello da parte di CARMINE (OMISSIS), la Corte d’appello di Napoli, nella regolare costituzione dell’appellato, in integrale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva parzialmente il gravame, condannando GIUSEPPE (OMISSIS) al risarcimento dei danni – quantificati in € 10.800,00 – mentre ha disatteso le ulteriori pretese risarcitorie dell’appellante.

La Corte territoriale negava valenza probatoria alla deposizione testimoniale di uno dei custodi dell’autorimessa ((OMISSIS)), rilevando, in primo luogo, l’irritualità dell’assunzione della deposizione – consistita nella lettura al teste della denuncia da lui precedentemente resa ai Carabinieri e nella conferma del contenuto della denuncia da parte del teste medesimo – e, in secondo luogo, l’inattendibilità della deposizione medesima, avendo il teste operato una ricostruzione dei fatti – e cioè della rapina presso l’autorimessa – che la Corte riteneva affetta da contraddizioni ed incoerenze.

La Corte, quindi, rilevava che la circostanza della rapina non fosse stata adeguatamente provata, escludendo conseguentemente la sussistenza della prova liberatoria richiesta dall’art. 1780 c.c.

3. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli ricorre ora GIUSEPPE (OMISSIS).

Resiste con controricorso CARMINE (OMISSIS).

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, nelle forme previste dall’art. 380-bis.1. c.p.c.

5. Le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è affidato a tre motivi.

1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per error in procedendo.

Il ricorrente denuncia, in particolare, la violazione degli artt. 231 e 253 c.p.c. per avere la Corte territoriale dichiarato l’irritualità dell’assunzione della deposizione del teste (OMISSIS), essendosi il giudice di prime cure limitato a chiedere al teste la conferma del contenuto del verbale di denuncia ai Carabinieri.

Oltre a dedurre il fatto che tale irritualità è stata dichiarata sulla scorta di un motivo di appello che doveva ritenersi inammissibile, in quanto nel corso del giudizio di primo grado nessuna eccezione era stata sollevata sul punto dalla difesa dell’odierno controricorrente, il ricorrente invoca il disposto di cui ai citati artt. 231 e 253 c.p.c. al fine di argomentare la piena ritualità della deposizione, lamentando, altresì, la concreta assenza di motivazione a sostegno del giudizio di irritualità espresso dalla Corte d’appello.

1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare il fatto storico costituto dalla rapina a mano armata che avrebbe condotto alla sottrazione del veicolo dell’odierno controricorrente, laddove tale fatto storico avrebbe trovato piena conferma da parte del teste escusso nel giudizio di primo grado.

1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.

Il ricorrente si duole del fatto che, nonostante il rigetto della domanda in primo grado e l’accoglimento solo parziale della domanda all’esito del giudizio di appello, la Corte territoriale non abbia ritenuto la sussistenza di idonee ragioni per disporre la compensazione delle spese di lite.

2. Rileva il collegio che il primo motivo di ricorso è inammissibile.

La Corte territoriale, infatti, ha basato il proprio giudizio negativo in ordine alla deposizione del teste (OMISSIS) su un duplice profilo: da un lato, la Corte ha ritenuto che la deposizione fosse stata assunta in modo irrituale; dall’altro, ha comunque ritenuto che, al di là del primo profilo, la deposizione non fosse attendibile (si veda l’esordio dell’ultimo paragrafo di pag 3: “ciò nondimeno, pur in presenza di siffatta modalità di assunzione della prova testimoniale del (OMISSIS), diversamente da quanto opinato in sentenza dal tribunale, è dato scorgere palesi incongruenze o contraddizioni nella sua testimonianza (…)”).

Il motivo di ricorso, pur spendendosi in ampie argomentazioni volte a contrastare l’affermazione di irritualità della deposizione operata dalla Corte partenopea, non impugna, invece, il secondo profilo su cui si è fondato il giudizio finale della Corte d’appello, e cioè, appunto, quello riguardante la valutazione di inattendibilità della deposizione testimoniale, profilo peraltro ampiamente illustrato e motivato dalla Corte di merito, fermo quanto si osserverà in relazione al secondo motivo di ricorso.

Da ciò consegue l’applicazione del principio per cui qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa ( cfr., tra le tante, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006).

3. Il secondo motivo di ricorso è, invece, infondato.

È sufficiente osservare che, contrariamente a quanto con esso asserito, il profilo della sussistenza di una prova liberatoria ex art. 1780 c.c. derivante dal verificarsi di una rapina a mano armata, ben lungi dall’essere stato trascurato dalla Corte d’appello, ha costituito il fulcro attorno al quale sono venuti a ruotare entrambi i gradi di merito, pur se con esiti conclusivi difformi.

Al giudice di appello, quindi, non può imputarsi di aver negletto quello che, invece , è stato l’ oggetto primario della sua analisi, avendo, semmai, la Corte napoletana escluso la sussistenza di un’adeguata prova del verificarsi di detta rapina, esercitando il potere di interpretazione e valutazione del materiale probatorio, nonché di controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove ad essa riservato ed in questa sede insindacabile in quanto non oggetto di adeguate censure e, comunque, con il raggiungimento di un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).

Il motivo di ricorso – e ciò va sottolineato a completamento di quanto osservato in relazione al primo motivo – cerca, in realtà, di attingere indirettamente proprio il giudizio di inattendibilità della deposizione testimoniale espresso dalla Corte d’appello, proponendo come omesso esame quello che è, invece , è un esame del tutto diretto, anche se ritenuto insoddisfacente da parte del ricorrente.

4. Infondato, parimenti, è il terzo motivo di ricorso.

È sufficiente, al riguardo, richiamare due principi reiteratamente affermati da questa Corte:

I) il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (v., ex multis, Cass . Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13356 del 18/05/2021; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9785 del 25/03/2022; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 27606 del 29/10/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6369 del 13/03/2013);

II) in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11329 del 26/04/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24502 del 17/10/2017).

5. Il ricorso deve, quindi, essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo, con distrazione a favore dell’Avv. Antonio Chianese.

6. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto”, spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 2.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge, da distrarsi in favore dell’Avv. Antonio (omissis).

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della Seconda Sezione civile della Suprema Corte di cassazione, il giorno 10 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.