“Vi do qualcosa…”: l’offerta generica ai Carabinieri vale comunque una condanna (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 21 marzo 2022, n. 9648).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Presidente –

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere –

Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere –

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere –

Dott. DE AMICIS Gaetano – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Francesco, nato il 10/07/1992 a Napoli;

avverso la sentenza del 14/05/2021 della Corte d’appello di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Gaetano De Amicis;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Tomaso Epidendio, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14 maggio 2021 la Corte di appello di Napoli, in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord, ha riformato la decisione emessa il 22 luglio 2019 all’esito del giudizio abbreviato di primo grado, che assolveva Francesco (OMISSIS) dal reato di cui all’art. 322, secondo comma, cod. pen. perché il fatto non sussiste, condannandolo alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, con la riduzione prevista per il rito e la concessione delle circostanze attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 323-bis cod. pen.

2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore, deducendo l’erronea applicazione dell’art. 322, secondo comma, cod. pen. e vizi di illogicità della motivazione, sul rilievo che “l’offerta” contenuta nella dichiarazione fatta dall’imputato al momento dell’intervento della Polizia giudiziaria presso l’abitazione ove egli si trovava ristretto agli arresti domiciliari è stata erroneamente ritenuta idonea a creare un turbamento psichico tale da indurre i pubblici ufficiali operanti ad accettare la promessa.

Per la sua evidente genericità — “vi do qualsiasi cosa” — doveva escludersi qualsiasi potenziale capacità persuasiva dell’offerta nei confronti dei destinatari, i quali, proprio in ragione della qualifica soggettiva rivestita, non potevano ritenersi facilmente influenzabili.

3. Con requisitoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 10 gennaio 2022 il Procuratore generale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va rigettato, in quanto essenzialmente incentrato sulla prospettazione di una serie di deduzioni già ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale, che, nel richiamare il compendio storico-fattuale pacificamente posto a fondamento del tema d’accusa, ha dato ragione del diverso epilogo decisorio, confutando, sulla base di argomentazioni immuni da vizi in questa Sede deducibili, le conclusioni cui era pervenuto il primo Giudice.

Al riguardo, la decisione impugnata ha preliminarmente posto in evidenza:

a) che al momento di un controllo che due Carabinieri in servizio presso la Stazione di Varcaturo stavano svolgendo presso l’abitazione dell’imputato, ove costui si trovava in stato di detenzione in quanto sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari con l’impiego del braccialetto elettronico, i predetti pubblici ufficiali ricevettero l’offerta di una somma di denaro ovvero di altra utilità affinché desistessero dal procedere alla perquisizione della sua abitazione;

b) che la proposta avanzata dall’imputato (rivoltosi ai Carabinieri con la frase “fermatevi un attimo, non possiamo trovare un accordo? Vi do qualcosa”) venne fermamente respinta dai pubblici ufficiali;

c) che la perquisizione domiciliare era finalizzata alla ricerca di sostanze stupefacenti che vennero poi in effetti rinvenute e sequestrate dagli operanti, i quali procedettero altresì all’arresto dell’odierno ricorrente.

Ciò premesso, la Corte distrettuale, diversamente da quanto ritenuto dal primo Giudice, addivenuto ad una pronunzia assolutoria sull’assunto che la condotta in contestazione non fosse sorretta dalla necessaria idoneità ex ante dell’offerta ad indurre i destinatari a compiere un atto contrario ai loro doveri d’ufficio, ha valorizzato una serie di circostanze coerentemente desunte da una complessiva disamina delle modalità della condotta in contestazione, ponendo in rilievo i dirimenti profili ricostruttivi rappresentati, per un verso, dal fatto che l’imputato, non estraneo alla commissione di reati di rilevante gravità, si premurò di allontanare una sua parente dalla stanza in modo da rimanere solo prima di rivolgersi ai pubblici ufficiali verso i quali ebbe a formulare l’offerta nei termini testé richiamati, per altro verso dal fatto che, proprio in quel frangente, egli aveva nella sua diretta ed immediata disponibilità un quantitativo di sostanze stupefacenti che ben avrebbero potuto essere consegnate ai militari operanti per convincerli a non procedere oltre nell’espletamento della loro doverosa attività istituzionale.

Di converso, le ragioni di doglianza dal ricorrente enunciate non si confrontano criticamente con gli elementi essenziali indicati dalla Corte distrettuale al fine di valutare l’idoneità “ex ante” della promessa, con particolare riguardo alla circostanza dell’allontanamento della congiunta per avere un colloquio riservato con i Carabinieri e alle ammissioni provenienti dallo stesso imputato (v. pag. 2 della motivazione), il quale, trovandosi già ristretto agli arresti domiciliari e avendo appena terminato, al momento dell’arrivo dei militari, di fumare uno “spinello”, temeva che la verbalizzazione dell’accaduto potesse ulteriormente aggravare a suo carico il quadro cautelare, così risolvendosi a chiedere agli operanti di “chiudere un occhio”, pur di non subire le gravi conseguenze del controllo di polizia in atto.

2. Secondo un pacifico insegnamento di questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 28311 del 08/05/2003, Esposito, Rv. 225758; Sez. 6, n. 46494 del 23/10/2019, Faleburle, Rv. 277680), ai fini della configurabilità del delitto di istigazione alla corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio, l’idoneità dell’offerta deve essere valutata con giudizio ex ante, sicché il reato può essere escluso solo se manchi l’idoneità potenziale dell’offerta o della promessa a conseguire lo scopo perseguito dall’autore, non rilevando la tenuità della somma di denaro offerta, purché non si connoti dei caratteri della assoluta risibilità o irrisorietà, laddove la relativa indagine di merito costituisce oggetto di un apprezzamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità.

Né è necessario, ai fini dell’integrazione del reato de quo, che sia specificata l’utilità promessa, ovvero quantificata la somma di denaro, essendo sufficiente la prospettazione, da parte dell’agente, dello scambio illecito (Sez. 6, n. 21095 del 25/02/2004, Barhoumi, Rv. 229022), purché l’offerta o promessa, come avvenuto nel caso in esame, sia seria e, alla luce delle circostanze del caso concreto, potenzialmente e funzionalmente idonea ad indurre il destinatario a compiere un atto contrario ai doveri di ufficio (Sez. 6, n. 2716 del 30/11/1995, dep. 1996, Varvarito, Rv. 204124).

Di tale quadro di principi la sentenza impugnata ha fatto buon governo, ponendo in rilievo, sulla base di un apprezzamento in fatto coerentemente motivato e in quanto tale non censurabile in questa Sede, come inequivocabili dovessero ritenersi le modalità e l’oggetto dell’offerta, finalizzata a sollecitare un illecito accordo con i pubblici ufficiali, come pure le sue caratteristiche di serietà, data la disponibilità di sostanze stupefacenti che, in quello specifico torno di tempo e nelle concrete circostanze dai Giudici di merito prese in esame, i predetti militari ben avrebbero potuto accettare in assenza di scomodi testimoni, irrilevante dovendosi ritenere, di contro, il fatto che l’offerta non abbia avuto alcun seguito a causa della ferma e immediata opposizione degli operanti.

3. Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616, comma 1, cod. proc pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 26 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria, addì 21 marzo 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.